Più volte nella mailing list di Alpinismo Molotov si è discusso del lupo. Nel marzo di quest’anno abbiamo rilanciato questo appello. Oggi cominciamo la pubblicazione della prima parte di una lunga conversazione avuta con Luca Giunti, guardiaparco del Parco Orsiera-Rocciavrè, collaboratore dell’equipe piemontese di Life WolfAlps e coautore del libro Tav No Tav, le ragioni di una scelta con Luca Mercalli.
Alpinismo Molotov: Per cominciare ti chiediamo un inquadramento storico: il lupo quando si è estinto sulle Alpi? Quando è ricomparso e da dove è venuto?
Luca Giunti: A me piace usare i verbi per quello che valgono e in qualche caso sembrerà che io sia brutale e antipatico. Comincio da quello che mi hai chiesto. Il lupo non si è estinto mai: l’abbiamo sterminato. Estinguersi in scienze naturali vuol dire quando una popolazione giunge in un vicolo cieco naturale per cui restano in pochi e piano piano si estinguono. È una roba che dura qualche generazione. Quella è l’estinzione.
Il lupo l’abbiamo sterminato. L’abbiamo ammazzato in tutti i modi possibili e immaginabili, che sono sostanzialmente di tre tipi: fucilate, tagliole e bocconi avvelenati.
Quando è successo? Il lupo ha abitato la penisola italiana fino all’inizio del ‘900, fino a prima che iniziasse la Prima Guerra Mondiale, con dei nuclei piuttosto consistenti nel centro Italia, Abruzzo, Majella, Monti della Laga, Aspromonte con dei nuclei via via più sfilacciati e via via più esigui nell’Appennino e nelle Alpi. Si ritiene che l’ultimo lupo ucciso nelle Alpi occidentali sia quello del quale si ha una fotografia, una cartolina, scattata nel 1921 a Mondovì. Perché l’abbiamo sterminato? Perché fino al 1950, cioè fino a 25 anni dopo l’uccisione dell’ultimo lupo, la presenza di uomini e donne sulle colline e sulle montagne era capillare a un livello del quale noi non ci rendiamo più conto. I sentieri che noi facciamo, i sentieri escursionistici, erano sentieri che non avevano nessuna funzione escursionistica, l’escursionismo non esisteva. Erano sentieri di collegamento fra le borgate e fra le borgate e i luoghi di lavoro che erano alpeggi e pascoli. Questa presenza sulla montagna è stata capillare e puntuale. Un esperimento interessante è quello di prendere una vecchia cartolina di un certo posto riconoscibile. Pian Cervetto, per dirne uno più famoso, ma anche altri, Sauze di Cesana, il Gad, la stessa Bardonecchia presa dal forte di Bramafam. Se vai con la cartolina in mano a rifare la stessa foto, si vede fisicamente una differenza enorme. Il bosco era quasi zero, era tutto coltivato e terrazzato. A partire dagli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale (non nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, in quel periodo, in tutta Italia la campagna e la montagna hanno costituito un luogo di rifugio e sfollamento) un sacco di gente dalle città sfollava nelle campagne e le campagne erano abitatissime. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale, con la ricostruzione e il boom economico, in Italia c’è lo sfollamento delle montagne a una velocità e a una intensità che non ha avuto uguali negli altri paesi dell’arco alpino. La Francia, Svizzera, il Sud della Germania si sono spopolate, ma non così tanto e non così velocemente. Basta attraversare il confine con la Francia per accorgersene. Il lupo è stato sterminato perché era incompatibile con le attività che facevamo noi: coltivazione e pastorizia. Era incompatibile sia perché si mangiava le pecore, sia perché si mangiava i bambini. Abbiamo un sacco di materiale su questi aspetti, soprattutto del ‘700 e ‘800, ricavato dagli archivi parrocchiali, grida, dall’archivio di stato di Torino. Il lupo nella sua storia si è mangiato anche una certa quantità di bambini, in maniera quasi inevitabile. In quelle condizioni, cioè con una diffusione in montagna della gente in piccole borgate, non esisteva il fenomeno della pastorizia di oggi. In Val Susa ci sono una quindicina, forse meno, di grandi aziende che ha ognuna 3-4mila pecore. Diciamo che ne ha 3mila e le aziende sono 15 abbiamo 45mila pecore. Nel 1900 o nel 1950 le pecore erano lo stesso numero, ma divise in tremila aziende, non in quindici, ognuna delle quali neanche ce le aveva quindici pecore. In quelle situazioni il pascolo delle bestie era governato dai bambini dai 6 ai 9 anni. Le bambine a 9 anni, i maschi due anni prima, erano – a seconda del fisico – considerate adatte a lavorare i campi, quindi ormai sprecati per passare la giornata a non fare niente guardando le pecore. Heidi, il cartone animato, ha un suo senso: i bambini alla mattina presto portavano via 3 o 4 caprette, 4 o 5 pecorelle e si mettevano insieme con gli altri bambini della borgata e avevano un totale di 20 pecore e le portavano al pascolo. Il lupo in quel periodo lì aveva tre grossi problemi: uno, non aveva da mangiare, perché l’uomo sulle montagne non solo era un antagonista, ma ha sterminato cervi, caprioli, cinghiali. Apro una parentesi: all’inizio del 1900 i cinghiali in provincia di Torino erano considerati estinti. Nel 1950 in Val Susa, cervi e caprioli erano zero, completamente estinti. Estinti con lo stesso significato del lupo di prima. Sterminati dalla gente che viveva in montagna e che mangiava patate e segale, qualche tubero, qualche frutto e ogni tanto integrava. Quindi, due, ecco il secondo problema: il lupo non aveva prede, gliele abbiamo mangiate noi. Era obbligato a rivolgersi quasi esclusivamente alle pecore e in mezzo alle pecore, alle volte, c’erano i bambini. Terzo, non aveva l’ambiente adatto. Quando gli uomini vivono in montagna tagliano il bosco e lo tagliano a dei livelli spaventosi. Altra parentesi: oggigiorno, quando qualcuno, nei progetti che esaminiamo noi per la Torino-Lione o anche cose più piccole, come mitigazione ti dice: devo tagliare queste venti piante per far passare questa linea elettrica, ma pianto cinquanta piante da un’altra parte, noi vorremmo dirgli: ma de ché? Tagliane altre cinquanta. Siamo pieni di alberi. Sembra paradossale dover dire “guarda che gli alberi sono tanti, guarda che la copertura boscosa non è più come negli anni ’70, l’Italia è piena di verde”. Semmai dovremmo fare una gestione forestale. Tagliarne qualcuno, fare attenzione che non arrivino troppe specie invasive che invece è un problema enorme. Quindi, chiudendo la prima parte della risposta, il lupo c’è sempre stato, lo abbiamo sterminato noi con tre ragioni fondamentali che sono inevitabilmente collegate alla nostra presenza di homo sapiens sul territorio: modifichiamo l’ambiente, ammazziamo i competitori, togliamo le prede ai competitori.
Solo che noi il lupo non l’abbiamo sterminato completamente, altrimenti non ci porremmo la questione. L’abbiamo sterminato su Alpi e Appennini, ma nel centro Italia – Abruzzo, Aspromonte, Majella – le zone più selvagge d’Italia, le zone dove fa più freddo, dove nevica di più e ci sono i posti più isolati, lì il lupo è rimasto con una popolazione che nel 1970, primo censimento ufficiale dei lupi, è stata stimata in 100 individui.
Oggi la popolazione ha una stima – insisto sulla parola stima – intorno alle duemila unità. Il lupo ha resistito con un numero piuttosto basso in centro Italia. Bisogna ancora dire una cosa: il lupo ha un comportamento che lo rende molto simile a noi, ed è la ragione per la quale noi siamo affascinati dal lupo molto più che da altri animali. Questa caratteristica è la dispersione: i lupi nascono a maggio, fra dicembre e gennaio si tolgono di casa e vanno via. Hanno una vita erratica che può durare tre o quattro anni. È il periodo in cui sono più vulnerabili, finiscono sotto ai camion, sotto i treni, ma in questo periodo compiono spostamenti nell’ordine delle centinaia di chilometri. Riassunto: popolazione di lupi sterminata fuori dal centro Italia. Sterminata continuamente perché ogni volta che dal centro Italia un lupo giovane provava a irradiarsi verso Nord o verso Sud non trovava l’ambiente adatto – c’eravamo noi – trovava bocconi avvelenati, tagliole e fucili e non aveva roba da mangiare. Provava a uscire e non ci riusciva. L’uomo abbandona la montagna nel 1950, circa vent’anni dopo il lupo ha cominciato a trovare meno fucili, meno tagliole e meno bocconi avvelenati, un bosco più fitto e qualche preda. Nello stesso periodo, anni ’60, ’70, ’80, noi homo sapiens abbiamo comprato cervi, caprioli, cinghiali e daini da mezza Europa e li abbiamo sbattuti in tutta la provincia italiana. La gran parte di queste azioni sono state azioni legali. Nel caso del cinghiale ci sono state anche introduzioni illegali, qualche singolo gruppo di cacciatori che se li andava a comprare, ma le immissioni negli anni ’60, ’70, ’80 sono state legali, pagate quasi sempre con soldi pubblici. Lo dico perché prima di giocare una partita bisogna mettere bene le pedine sul tavolo e un pochino in polemica nei confronti dei soggetti tipo Bassignana[1]. Mi dà un pelino fastidio che i cacciatori si ergano a quelli che sanno come gestire la natura. Dal mio punto di vista, e dal punto di vista scientifico, è la categoria dei cacciatori che ha invaso nuovamente l’Italia di cervi, caprioli e cinghiali. Non sono stati i Verdi, non sono stati i parchi, né gli ambientalisti. Sono stati i cacciatori.
Alpinismo Molotov: Per chiudere la domanda: dal centro Italia i lupi in dispersione mano a mano si sono mossi verso Nord (nel nostro caso) fino ad arrivare all’arco alpino…
Luca Giunti: Esatto. Non ce li siamo trovati di colpo in Val di Susa. I primi avvistamenti sono stati nell’appennino di Arezzo, a Nord di Roma, negli anni ’70. Negli anni ’80 ci sono stati i primi ritrovamenti di tracce nell’appennino tosco emiliano e nell’appenino ligure. Negli anni ’90 ci sono state segnalazioni dietro Imperia, Ovada, alessandrino, poi cuneese, poi Val Susa. In campo naturalistico e scientifico l’importante è quando qualcuno si riproduce, perché vuol dire che va tutto bene, non basta la presenza, devi anche starci. La prima riproduzione accertata di un branco di lupi in Val Susa è del 1995. Da allora abbiamo continuamente documentato la presenza stabile di tre branchi in Val di Susa. Branco di Bardonecchia, branco di Salbertrand e il branco dell’Orsiera che sta tra Villarfocchiardo, Sant’Antonino e vallone del Gravio. Questo branco è arrivato nel 2000.
La stessa cosa è successa verso Sud. Avvistamenti a Sud dell’Abruzzo e poi in Aspromonte. Oggi è ben popolata la Calabria e tutta la parte alta della Puglia e tutta la Basilicata.
Alpinismo Molotov: Un branco di lupi quanti individui conta?
Luca Giunti: Da molti anni c’è un certo numero di persone – e io sono una di queste – che, soprattutto nel periodo invernale, segue i branchi di lupi. Non vuol dire che vedo i lupi tutti i giorni. So qual è il loro territorio e almeno una volta ogni dieci giorni vado a fare un giro per ritrovare le loro tracce sulla neve, raccogliere gli escrementi, vedere se ci sono predazioni e ascoltare eventuali ululati. Siamo ragionevolmente certi sui nostri numeri riguardo ai branchi e sulla loro posizione. Quando dico ragionevolmente certi, dico scientificamente certi, che non vuol dire che se dico cinque è cinque. Vuol dire cinque con il margine di errore universalmente accettato in ambito scientifico. Sempre diffidare di quelli che sparano cifre univoche: 146, 20. Con lo zero, ci insegna Angelo Tartaglia, significa che hai calcolato l’arrotondamento fino alla seconda cifra decimale… ma di cosa stiamo parlando? Quelli che ti dicono: sai, ci sono 542 caprioli in bassa Val di Susa… Fesserie. Dimmi la forchetta statistica! Abbiamo una buona stima, quindi una stima con un margine di errore, per quanto riguarda la composizione e la conoscenza dei branchi e una stima più debole per quanto riguarda la conoscenza degli animali in dispersione. Sappiamo dove partono e in qualche caso sappiamo dove sono arrivati, perché attraverso il materiale genetico abbiamo individuato dei soggetti che sono partiti dalla Val Pesio e tre anni dopo la stessa mappa genetica è stata trovata al confine fra il verbano-cusio-ossola e la Svizzera; o altri casi in cui un lupo è stato nel verbano e poi la stessa mappa genetica è stata trovata su un cadavere di un animale ucciso in foresta nera, in Germania. Sulla dispersione sappiamo poco. Sappiamo tutto quello che c’è da sapere, ma è poco. La composizione media dei branchi sull’arco alpino è 3,5 individui. Attenzione però, stiamo facendo un discorso rigoroso dal punto di vista scientifico. Alla tua domanda bisognerebbe contro rispondere con un’altra domanda: quando vuoi che te lo misuri? In quale periodo vuoi che io ti risponda? Adesso siamo qua, sopra Villarbasse, non ci sono branchi. A dicembre arriva un giovane lupo maschio in dispersione che arriva chissà da dove. Il territorio è protetto, ci sono delle prede, trova una compagna e si piazza qua. A febbraio io conto il branco – questo è un branco – è composto da due individui. La femmina si trova bene, si accoppia, si riproduce e a maggio fa quattro cuccioli. Stanno tre settimane dentro la tana, poi la femmina li porta fuori, comincia a svezzarli. Diciamo che la femmina è stata molto brava o molto fortunata e li ha tenuti in vita tutti e quattro. A giugno io conto il branco: totale sei, il triplo di febbraio. Ma i giovani cuccioli, come sempre succede in natura, vanno incontro a un tasso di mortalità elevato. È abbastanza plausibile che di quattro cuccioli, alla fine dell’estate, gliene rimangano due. Uno è finito sotto un’auto e l’altro è venuto fuori un po’ male. Capita soprattutto se è una femmina di primo parto: ha una zampa rotta o due denti che non si sono sviluppati. Riconto a fine agosto: i lupi sono quattro. A dicembre i giovani sono grandi come gli adulti e non sono distinguibili. A dicembre o gennaio mamma e papà ricominciano la stagione degli amori e i giovani vanno via. Se lo conto adesso siamo di nuovo a due. Per questo nell’arco di un anno la media è 3,5. Ci sono due cose da dire sul numero di lupi che compongono un branco. Uno: inevitabilmente – lo conferma il gradiente di Bergman – man mano che si va verso Nord aumentano le taglie degli animali. I lupi dell’artico o della Siberia sono più grandi dei nostri e gli animali che vivono in gruppi o stormi aumentano il loro numero. È un fenomeno ampiamente studiato ed è attribuito sostanzialmente al fatto che dovendo sopravvivere in situazioni sempre più estreme, inverni sempre più lunghi, disponibilità di prede sempre più bassa (ma più grandi, gli alci sono più grandi dei cervi) i branchi aumentano. Se misuro i branchi dell’artico il numero non è lo stesso. Il giro dell’anno è lo stesso, ma la media è 5,7. Con la natura in generale, ma con i lupi in particolare la nostra specie ha un problema enorme ed è la differenza fra quello che sappiamo dal punto di vista scientifico naturalistico e quello che ci immaginiamo. Il lupo è in assoluto l’animale più presente nel nostro immaginario collettivo. Non ce n’è un altro: lo usiamo in pubblicità, nei modi dire, nei titoli dei giornali… ieri leggevo Il venerdì di Repubblica e c’era un articolo su un “furbetto del quartierino”, il titolo era il lupo di Milano. Quando faccio le conferenze faccio vedere che quando io dico branco di lupi nella testa partono tutta una serie di cose per cui mi immagino 25-30 lupi. Ci sono delle copertine de La domenica del Corriere, dei film che costruiscono questo immaginario.
Tra l’altro, branco o lupo vengono associati nel linguaggio normale a cose negative. Il branco è il nome di quelli che in gruppo compiono violenze sessuali o massacrano un extracomunitario. Dal nostro punto di vista è un’aberrazione. Il branco di lupi non si comporta così. Il branco di lupi, insieme a quello di orche e forse ci sarà qualche altro animale, è qualcosa che viaggia come un orologio con dei compiti ben precisi. Uccide in maniera scientifica. Lancia attacchi solo se ha una buona probabilità di avere successo. Comunque, come in tutto il mondo naturale, gli attacchi che vanno a buon fine sono circa il 20%. Ieri è partita la nuova serie di Quark e ci sono dei meravigliosi filmati naturalistici di una nuova serie della BBC che io ho già visto in inglese, dedicati alla caccia. Ma dovrebbero mettere un “leggere attentamente le avvertenze”. Ieri sera c’era l’orso bianco che mangiava la foca. Va bene che mi han fatto vedere che prima non c’è riuscito, ma poi mi han fatto vedere quando la foca l’ha presa, il film è dedicato alla predazione. Quell’attacco lì è uno di cinque, gli altri quattro sono andati male. Per quell’orso lì, sopravvissuto grazie a quell’attacco, ce n’è almeno un altro, e forse due, che invece, sfigati, non sono riusciti ad andare avanti, non hanno passato l’inverno e sono morti. Per me è molto interessante parlare del lupo: è un argomento che attira molto, provo a dare informazioni che credo corrette e provo a suscitare delle riflessioni sul fatto che noi abbiamo un rapporto demenziale con la natura. Da un lato la idealizziamo, dall’altro la demonizziamo, non riusciamo a capire che ne siamo un pezzo e senza quella natura noi moriamo nel giro di quindici minuti. Mi piace sbatacchiare qualche idea preconcetta o troppo stratificata. Da molti anni ormai in ambito scientifico la parola “branco” è stata abbandonata e si usa l’espressione “nucleo familiare”. Anche per quanto riguarda la gerarchia. La gerarchia è un fenomeno molto studiato nei lupi, molto enfatizzato e che negli ultimi anni è stato abbassato di importanza. Questa descrizione sociale per cui c’è il maschio alfa, la femmina alfa, gli individui sottomessi, l’omega che poverino le prende da tutti… Questa impostazione viene da osservazioni che sono state fatte a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘90 del secolo scorso, ma oggi sono state un po’ rivisitate e gli viene data meno forza per due ragioni. La prima è che la gran parte di queste osservazioni sono state condotte su lupi non completamente in libertà, ma chiusi in recinti, magari anche molto grandi, ma dai quali i lupi non avevano la possibilità di uscire per la dispersione che è un fenomeno molto caratteristico della socialità del lupo. In un territorio che teneva dentro i lupi, le dinamiche e la gerarchia all’interno del gruppo venivano ovviamente esasperate. La stessa cosa succede agli umani: più stiamo lontani e meno abbiamo bisogno di gerarchie, ma tutte le strutture umane che raggruppano in spazi ristretti un numero elevato di persone hanno bisogno di una gerarchia, altrimenti è il caos. Campi di concentramento, caserme, conventi, carceri hanno bisogno di una gerarchia. Il secondo aspetto è che in quegli anni lì il 100% dei ricercatori che studiavano lupi erano maschi e per i maschi è molto naturale e ovvio soffermarsi sugli aspetti della gerarchia. A partire dal primo decennio degli anni 2000, nel mondo della scienza e dell’etologia sono aumentate le ricercatrici e anche perché si è cominciato a studiare i lupi fuori dai contesti di recinto, i lupi avevano tutte le possibilità di allontanarsi quando avevano bisogno di andare via e oggi la gerarchia è interpretata come una normale dinamica all’interno di un nucleo famigliare. I genitori sono gerarchicamente più alti dei cuccioli. Tua figlia non decide lei dove va oggi o dove va in vacanza, fra undici anni non verrà mai più con voi, ma per una parte della sua vita non mette becco nelle decisioni, le subisce. Tu sarai un bravo genitore responsabile e terrai conto delle sue esigenze, ma non è lei che decide se stasera mangia una pizza all’aperto o mangia a casa. La gerarchia è importante, ma non va enfatizzata, e ormai fra i ricercatori si dice che è quasi il momento di smettere di parlare di maschio alfa o femmina alfa, il fenomeno è conseguenza di un fattore spaziale, ma anche di un differente sguardo di genere: è arrivato qualcuno con una prospettiva nuova.
Alpinismo Molotov: C’è una questione che tangenzialmente hai toccato. In un numero di Science del 2011 c’è una ricerca in cui si dimostrano i danni subiti dagli ecosistemi nel momento in cui sono comparsi i grandi predatori. Lauri Oksanen, uno dei ricercatori coinvolti, in un’intervista pubblicata da Gaianews, dice che: “in assenza di grandi predatori, gli erbivori cominciano ad aumentare in modo esponenziale e l’aumento non si ferma prima che il foraggio non sia gravemente impoverito, e che la mortalità per fame diventi uguale alla natalità. In questa fase, la sopravvivenza di alberi e alberelli è pari a zero e le foreste sono destinate a diventare brughiere, pascoli, gariga, macchia mediterranea”. Ci sembra interessante provare a capire cosa è successo sulle Alpi dal momento in cui il lupo è scomparso. In qualche modo hai già risposto, dicendo che nel caso italiano mancavano anche le prede…
Luca Giunti: È stato realizzato un documentario: Come i lupi cambiano i fiumi [si veda appena sopra, n.d.r.], che offre un buon esempio di ciò. Parto da lontano. La nostra specie è la più grossa perturbatrice di equilibri naturali che mai si sia vista sul nostro pianeta. Uno studioso americano ha coniato il termine antropocene, per dire che siamo nell’era dell’uomo, da contrapporre agli altri -ceni per segnalare la forza delle modifiche fatte al pianeta dalla nostra specie. Oggi la comunità scientifica paragona la presenza della nostra specie alla potenza del famoso meteorite che 70 milioni di anni fa ha innescato la sequenza di eventi che ha portato all’estinzione dei dinosauri. Ciò detto, noi siamo dei grandi perturbatori della natura e questa, se lasciata tranquilla, ha continuamente un equilibrio, non è mai statica, è adattabile. In termini scientifici si dice che ha una capacità omeostatica, la stessa capacità che ha il nostro organismo che subisce continuamente sbalzi – glicemici, chimici, di calore, ecc. – ma li compensa, lavora cioè per mantenere l’equilibrio. Fatto questo pippone iniziale quasi inutile, torniamo al punto. In una catena alimentare ben costruita, con poche perturbazioni, ognuno trova il suo spazio e questo spazio ha normalmente un vantaggio sia nei confronti del livello trofico superiore, sia nel livello inferiore e a volte anche in quello parallelo. Vado a spiegare: tutti i predatori, dall’orca alla mantide, sono selezionati come numero dalla disponibilità delle prede, quindi in assenza di prede un predatore muore, perché non ha possibilità di spostare la sua capacità alimentare. Questo è interessante perché noi umani siamo invece capaci di farlo, noi spostiamo le nostre risorse, cambiamo l’alimentazione, spostiamo piante, vedi la patata e il pomodoro, ad esempio, che arrivano dall’altro mondo. Quindi un predatore ha una funzione regolatrice nei confronti di ciò che viene mangiato ma, nello stesso tempo, ciò che viene mangiato ha una funzione regolatrice su chi lo mangia. Perché, ripeto, se la risorsa mangiata viene mangiata troppo, la risorsa che mangia diminuirà in proporzione. Quando tornerà ad aumentare la risorsa mangiata tornerà ad aumentare la risorsa che mangia. Non solo, se incastro in questo meccanismo il lupo, che è un superpredatore, lui tenderà ovviamente a mantenere più basso il numero dei cervi e dei caprioli – banalmente, li mangia, quindi diminuiscono – ma c’è anche un altro effetto positivo, documentato in alta Val di Susa, che è una delle ragioni che fa arrabbiare i cacciatori. Noi siamo andati a prendere i cervi credo in Jugoslavia nel 1960 e li abbiamo sparsi. Si sono trovati benissimo, avevano un sacco da mangiare e nessuno che li mangiava, quindi si sono espansi. Non solo, ma non hanno mai avuto la necessità di sviluppare un comportamento antipredatorio, quindi i cervi dell’alta Val di Susa, contrariamente alle loro abitudini normali, avevano gruppi molto numerosi (50, 60, 70 cervi), si vedevano quasi durante tutto l’arco della giornata, anche in zone aperte, ed erano ragionevolmente avvicinabili. Infatti negli anni Ottanta e Novanta tutti noi abbiamo riempito gli archivi di fotografie di cervi in maniera esagerata, tanto che venivano anche dall’estero a fotografare i cervi nostri perché con le strade militari gli arrivavi a duecento metri e col teleobiettivo era facile. Nel 1995 è arrivato il lupo, questo nei primi anni si è trovato al ristorante… bavaglino, forchetta, una bellezza, pieno di roba da mangiare! Nel giro di tre o quattro anni tutti i cervi della Val Susa hanno imparato la lezione: oggi è sempre abbastanza facile vederli, ma molto più difficile che negli anni Ottanta; non ci sono più gruppi così numerosi; all’inizio della giornata, alle nove del mattino, sono tutti scomparsi nel bosco; escono solo alla sera e se tu inizi ad avvicinarti mettono in pratica un comportamento antipredatorio. Questo va benissimo, nel senso che il lupo fa selezione come tutti i predatori, anche se il lupo è molto opportunista e quindi non è un gran selezionatore in assoluto però fa la sua opera – animali un po’ più deboli, un po’ più anziani, cuccioli che non hanno la mamma vicino –, fa un po’ di pulizia diciamo… Ma, nello stesso tempo, tiene tonici e vitali gli animali di cui si nutre, perché quelli deboli se li mangia. Questo cambiamento di abitudini non è stato apprezzato dai cacciatori che abituati per una quindicina d’anni ad andare a caccia facile, si sono trovati di colpo ad avere una caccia un po’ più difficile. E poi, nonostante questa caccia un po’ più difficile, ti vengono a dire che i cervi sono diminuiti… ma meno male che sono diminuiti. E in questo dibattito parlano sempre i cacciatori e gli allevatori, raramente parlano gli agricoltori. Questi ultimi ti dicono che se fosse per loro cervi e caprioli dovrebbero essere estirpati dalla faccia della terra, perché gli mangiano insalate, cavoli, qualsiasi cosa… l’agricoltore non vede molto di mal occhio la presenza del lupo che gli mangia qualche capriolo e soprattutto li tiene pronti a scappare al primo rumore.
Nel filmato che citavo prima, il naturalista mostra come la predazione da parte del lupo su popolazioni di cervi molto abbondanti che cominciano a compromettere la parte vegetale, quindi anche il rinnovo di certi alberi le cui radici fungono da addensante per il terreno, riduca i danni causati dai grossi erbivori: gli effetti positivi sono: aumento degli alberi, aumento della stabilità dei versanti, migliore possibilità per i fiumi d’avere il loro percorso tranquillo e non invaso dalle frane. Ma ancora, in altre aree del pianeta dove la composizione della catena alimentare ha altri animali al suo interno, altri predatori – ad esempio in alcune aree degli Stati Uniti, lo sciacallo – sono state pubblicate, sempre su Science e su Nature, delle ricerche molto interessanti che hanno dimostrato che dove è tornato il lupo, la presenza di sciacalli, che era un problema, è diminuita. Perché il lupo va in competizione non solo con le prede, ma anche con altri predatori. Da noi ci aspettiamo – non ne siamo ancora certi, abbiamo solo degli indizi, lo verificheremo nei prossimi anni – che laddove il lupo si insedia stabilmente si riduca almeno in piccola parte la popolazione delle volpi che, pur non essendo un problema, sono numericamente in crescita. Questo a dimostrazione del fatto che la presenza di un predatore di questo tipo ha dal punto di vista naturalistico degli effetti assolutamente benefici. La stessa cosa, per venire al dettaglio della vostra domanda, inevitabilmente ce l’ha il lupo sulle Alpi e anche sull’intera penisola italiana. Uno degli aspetti della natura, a mio avviso, sconosciuti in Italia è l’enorme proliferazione degli ungulati: i dati che ci fornisce l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ci dicono che caprioli, camosci, daini, cervi e anche mufloni (anche se questi più a macchia di leopardo) hanno dei tassi d’incremento nell’ordine del 15-20% all’anno. Quindi abbiamo oggi una popolazione di ungulati stimabile – vado a memoria, riferendomi agli ultimi dati disponibili che sono riferiti al 2013 – attorno al milione di capi in Italia. Da un certo punto di vista è bellissimo, perché possiamo vedere abbastanza facilmente questi animali, ma attenzione, perché essendo il nostro un paese altamente antropizzato con un enorme quantità di strade, con limiti di velocità che nessuno rispetta… c’è un cartello che vi sarà capitato spesso di incrociare, triangolare con la rappresentazione grafica di un capriolo che salta, che serve a dire “attenzione, sei in una zone dove potrebbero di colpo passarti davanti alla macchina degli animali selvatici, se lo centri è colpa tua”. Questo ti dice quel cartello. E l’assicurazione, che sia la tua o quella della Provincia di Torino, non ti paga i danni; perché non esiste una velocità limite che permette di ipotizzare che tu potrai evitare i caprioli, no, posso solo dirti che ci sono i caprioli… fatti tuoi. Questo è diventato sempre più un problema nazionale: la quantità d’incidenti stradali con gli animali selvatici ha un trend in aumento – non voglio dire che il lupo sia la soluzione a questo specifico problema, per carità –, ma qualsiasi azione predatoria che in qualche termine riduca la presenza di animali selvatici, da questo punto di vista, non può che essere vista con favore, sia una caccia ben regolamentata, sia ovviamente la presenza dei predatori.
Quindi, piace tanto alla nostra specie pensarlo, ma è sbagliato concettualmente approcciarsi a questioni di natura con il concetto causa/effetto… La natura non è così, la natura ha tante cause per pochi effetti, tanti effetti in conseguenza a poche cause. È un sistema complesso.
Alpinismo Molotov: Abbiamo visto dati di Life WolfAlps che dicono che il lupo è in lenta ma continua crescita, mentre la quantità di animali di allevamento che il lupo uccide è stabile da anni. Tutto ciò è frutto di una campagna di prevenzione che prevede l’uso di cani da pastore e reti elettrificate mobili per il ricovero notturno delle greggi. A fronte di questo, secondo te perché sui media si solleva una campagna denigratoria ad ogni nuova uccisione, cioè ogni volta che il lupo fa fuori una pecora?
Luca Giunti: Prima di tutto, la ragione principale e sostanziale, la più scontata, ovvia, la più facile, è che il lupo è un animale che tira, che fa audience e quindi ogni articolista che deve scrivere qualcosa sul lupo… quell’articolo dell’Eco del Chisone è illuminante. Dentro l’articolo viene espresso con molto dubbio che quello sia davvero un lupo, ma nel titolo io non scrivo un canide, scrivo che un lupo è stato avvistato. Magari lo metto fra virgolette, ma scrivo lupo. Perché il lupo è un animale fortemente incastrato nel nostro immaginario collettivo. A proposito d’immaginario collettivo, prima ho detto qualcosa legato alla parte negativa, attenzione però perché il lupo ha anche continuamente valenze positive, e questa è una delle ragioni per cui ci piace tanto, perché vorremmo essere tutti buoni, ma sappiamo benissimo che siamo fatti a metà, una parte buona e una parte cattiva. Il lupo è uguale, è il simbolo della famelicità, della ferocia, della lussuria (con lupanari si indicano i bordelli, si chiamano lupe le prostitute) e nello stesso tempo il lupo è il simbolo dei misteri della natura, dei segreti del mondo dei morti e della morte, è il simbolo della lealtà, della fedeltà, cioè tutte una serie di virtù positive. Questo si può dimostrare per esempio andando a vedere i protagonisti di alcuni giochi di ruolo, sia in italiano che in inglese, dove il protagonista che è un eroe è lone wolf o lupo solitario, attribuendogli le virtù positive legate al lupo. La seconda ragione per cui questo fenomeno di predazione sulle pecore viene enfatizzato è una ragione di tipo politico; ne abbiamo un esempio in Piemonte, abbiamo avuto la giunta Cota, che aveva deciso di cavalcare questa cosa per ragioni politiche, perché voleva il voto degli allevatori, gli prometteva cose contro i lupi che peraltro poi non ha messo in pratica, anche perché sostanzialmente non le può fare nessuno… il lupo è di per sé una questione politica, anzi meglio dire una questione sociale, dal mio punto di vista.
Noi homo sapiens abbiamo deciso che il lupo è una specie protetta, che una specie sia protetta o non lo sia è una scelta sociale, una scelta politica, quindi una scelta legislativa. Il lupo sta nella stessa casella dove ci sta lo stambecco e la foca monaca. Al contrario dello stambecco e della foca monaca fa dei danni (in realtà, se senti quelli del Gran Paradiso, ti dicono che anche lo stambecco inizia a rompere un po’ le balle, anche se non si può dire) la foca monaca invece è santa, il panda è santo. È di per sé una questione politica e quindi la singola regione non ci può fare un fico secco dal punto di vista del dire “apriamo la caccia al lupo”… quando Bassignana dice che vuole un piano di gestione soffia sul fuoco. Il lupo è una specie protetta, chi gli spara compie un atto illegale, un atto di bracconaggio. Chi mette un boccone avvelenato compie un atto di bracconaggio, è sanzionato penalmente, nessuno è mai andato in galera ma qualcuno ha pagato delle sanzioni piuttosto significative, non tantissimi, però succede. Detto questo, perché quelle robe lì vanno sui giornali? Audience, politica… Poi secondo me andrebbero viste le cose anche da un altro punto di vista, che è il punto di vista degli allevatori: non si può negare che abbiano un danno dal ritorno del lupo, un disagio, delle scomodità. Le cose che tu hai elencato – guardiania, sorveglianza, cani, recinzioni elettriche, dissuasori, ecc. – sono corrette e sono ragionevolmente efficaci. Abbiamo dimostrazioni in tutto il mondo: l’introduzione di questi sistemi abbatte la percentuale di danni. Bisogna tenere presente alcuni fattori: uno, attenzione che il lupo non è l’unica causa di danni alle greggi, c’è il fulmine, ci sono i cani inselvatichiti che possono causare la morte diretta oppure indirettamente per diroccamento, cioè le pecore impaurite che cascano giù in un burrone; due, in qualche caso ci sono delle malattie che colpiscono gli animali che, per normale profilassi, con una misura che può apparire drastica ma è giustificata ed efficace, l’Asl tende ad arginare estirpando il gregge. Uno dei più importanti allevatori dell’alta valle di Susa, una decina di anni fa, aveva milleseicento pecore che hanno preso una malattia, l’Asl ha verificato che la percentuale di capi colpiti dalla malattia era superiore a un certo numero e ha deciso che il gregge andava sterminato. Sono state abbattute milleseicento pecore, avevano la “lingua blu”. Allora, capite che se questo allevatore l’anno prima ha avuto dieci pecore uccise dal lupo, dopo la decisione dell’Asl dovrebbe avercela più con quest’ultima. Però è vero che il lupo, soprattutto sulle Alpi italiane, diventa la goccia che fa traboccare il vaso, diventa il bersaglio su cui si concentrano tutti i problemi degli allevatori. Insisto sulle Alpi italiane, che ci sia o non ci sia il lupo, la legge in vigore oggi non permette a un allevatore di mucche o di pecore di non sorvegliare il proprio gregge. C’è una legge che nessuno ha mai abrogato che stabilisce che ci vuole un pastore ogni venticinque mucche e un pastore ogni cinquanta pecore con custodia continua. Tanto è vero che in qualsiasi momento la tua mucca fa un danno a qualcuno tu ne rispondi, in qualsiasi momento la tua pecora sfonda il recinto di casa mia o del rifugio in alpeggio, tu mi paghi, le pecore sono le tue… In qualsiasi momento il tuo cane, che non è qui ma è a casa tua, morde un bambino tu sei responsabile, siamo d’accordo? Funziona così il mondo… Nel caso specifico di pastori di pecore e di mucche c’è specificatamente una norma di legge: uno ogni venticinque mucche, uno ogni cinquanta pecore. Però le nostre Alpi sono semiabbandonate, con alpeggi che non sono di proprietà, ma sono di proprietà comunale che di anno in anno vengono affittati con dei contratti molto brevi: storicamente sono sempre stati fatti contratti di uno o due anni, contratti con dei costi bassissimi, con tre o quattromila euro ti porti via una montagna per un anno come pascolo. Su questo sistema abbiamo introdotto da tantissimi anni – so che dico delle cose spiacevoli – il concetto, il principio, dei contributi. Io sono uno di quelli che, con tanto rispetto per le persone che lavorano, pensa che il sistema dei contributi sia stato deleterio, dovunque sia stato utilizzato. Quando è stato applicato ai pescatori, ad esempio, è crollato il numero di pescatori, pescatori di pesce di mare intendo. C’entra il lupo, arriviamo a toccare la questione: come mai, come ho detto all’inizio, siamo arrivati ad avere poche aziende che portano su tremila pecore? E quando mai posso controllare e sorvegliare correttamente tremila pecore? Con un proprietario di gregge che non è molto presente e uno o due garzoni rumeni, perché bisogna anche che chiamiamo le cose col loro nome, sottopagati? Non è concepibile. Come faccio io a guadagnarci e non aver troppo danno? Perché prendo tremila capi per X contributi e questi contributi arrivano a pioggia in base al numero dei capi che porto, o in base al numero dei capi che porto e l’estensione del pascolo che affitto, perché si ritiene che io lavorando lì sul posto migliori i pascoli. Allora la mia critica, la critica di molti, è: sono venticinque anni che a te Luca Giunti ti sto dando i contributi per il miglioramento dei pascoli, in venticinque anni quel pascolo lì è degradato, ogni anno sempre di più, c’è qualcosa che non funziona… o tu hai lavorato male e allora mi ridai i soldi oppure il sistema è sbagliato e ne troviamo un altro. Ma con questo sistema io non guadagno dalla qualità del mio lavoro, ma dalla quantità… quindi prendo capi di bestiame e li sbatto in montagna. Aggiungo che in questo caso io prendo i capi, li sbatto in montagna, poi se ne perdo trenta o quaranta non è un problema (diroccamenti, cani, ecc.), ma quando torna il lupo è un problema, perché il lupo viene a trovare il gregge tutte le sere, e tutte le sere mi mangia tre pecore e dopo un mese sono andate via novanta pecore… e questo sistema diventa insostenibile. E allora, su questo sistema, è chiaro che l’aumento della sorveglianza, i cani da guardiania, le recinzioni e tutto il resto diventano un costo economico, che è la parte meno importante visto che il costo di questo materiale viene quasi sempre sostenuto dall’ente pubblico, ma soprattutto diventa una questione di tempo: ho bisogno di uno o più garzoni, io padrone devo andare davvero a vedere il gregge, magari non posso più farlo come secondo lavoro o del tipo “lavoro giù in stalla a fare il formaggio e su intanto prendo i soldi dalle pecore”.
A questo vanno aggiunte delle altre considerazioni: non ci illudiamo che il guadagno economico di un gregge di pecore arrivi dalla lana o dal latte, la lana oggi è considerata un rifiuto. Allora, di nuovo questo è un problema sociale, come abbiamo fatto ad arrivare al punto di considerare la lana un rifiuto? C’è qualcosa che non funziona nel modo in cui abbiamo costruito questa società… Stessa cosa per il latte, anche se quello di capra sta recuperando un poco di mercato. Il pecorino della Val di Susa non ha una tradizione o una presenza che lo rendano fonte di guadagno. Curiosamente negli ultimi anni c’è un certo recupero del mercato della carne delle pecore causato dal fatto che sono arrivate in Italia delle popolazioni che per tradizione culturale e religiosa si mangiano gli agnelli, anche se noi li lasciamo affogare nel Mediterraneo, in piccola parte grazie a loro si è risollevato il mercato delle carni di pecora, di agnello. Chiudo segnalando questo: il 21 di gennaio a Cuneo c’è stato un importante e significativo convegno nazionale sulla questione del lupo, noi eravamo presenti, c’era tutto lo staff del progetto Life WolfAlps, sono stati presentati tanti lavori che toccano diversi aspetti. Uno di questi era la presentazione di una ricerca basata su un’indagine fatta fra gli allevatori ai quali era stato chiesto di indicare in ordine di priorità i problemi della loro vita da alpeggiatori. Il lupo ha guadagnato la medaglia di bronzo, non l’oro. Prima è risultata una legge nazionale, che deriva da una normativa europea, che costringe, e costringerà sempre più, tutti i comuni a mettere all’asta i propri alpeggi. E l’alpeggio di Pian Signore, l’alpeggio di Monte Benedetto, che fino a due o tre anni fa venivano passati di anno in anno alla stessa famiglia di affittuari che pagava una cifra abbastanza bassa, devono ora essere messi all’asta. E allora cosa succede? Già si è verificato. Il signor Luca Giunti, di una famiglia di malgari che da sempre viene qua, non la vincerà più quell’asta lì, perché la vince uno di pianura, con una grande azienda e migliaia di mucche di pianura, che può mettere sul tavolo del comune quindicimila euro, mentre io arrivo a mettercene tremila. Lo affitta lui, perché poi lui sulla base dell’estensione dei pascoli affittati chiede i contributi, con questi contributi che gli arrivano dall’Unione Europea lui si paga tranquillamente il costo dell’affitto ma poi non è incentivato a portarci su delle bestie. Questo hanno indicato i pastori come primo problema. Secondo problema, la fatiscenza dei fabbricati d’alpe. Questo, di nuovo, è un enorme problema strutturale, perché la gran parte dei nostri fabbricati d’alpe sono di proprietà pubblica che come detto li mette in affitto di anno in anno, il pubblico non ha mai avuto – e oggi ancora di meno – soldi per fare un investimento per mettere “a bella” un alpeggio. Quei pochissimi che ce l’hanno fatta si contano sulle dita di una mano ma sono vent’anni che nessuno ha soldi per fare questo. Si può discutere, da naturalista, da guardiaparco, sulla reale necessità che ci sia una strada per arrivare all’alpeggio (perché in alcuni casi è stata utile ma in altri, ricordiamocelo, non è servita a riqualificare l’alpeggio), però la fatiscenza dei fabbricati d’alpe è indicato come il secondo dei problemi degli alpeggiatori. Io lo marco molto questo, perché quando noi da turisti, permettimi di dire “idioti”, gironzoliamo per il resto delle Alpi diciamo “ma che bello il Trentino”, oppure “Oh ma che bella la Svizzera!” o “che ordine che c’è in Austria”, dimentichiamo che quelli sono alpeggi, con le mucche esattamente come hanno i nostri… Com’è che quelli sono tutti puliti, tutti in ordine, hanno il wifi e chi ci abita ha i figli che vanno a scuola, che si laureano… com’è possibile che qua no?
Ecco, il lupo qui arriva in una situazione marginale, oramai di sopravvivenza, la lana non vale niente, il latte non te lo comprano, fai una vita “di cacca”… sei ricco eh, non sono poveri, però stai facendo una vita marginale, in buona sostanza i tuoi figli non trovano da sposarsi… cose che già raccontava cinquant’anni fa Nuto Revelli quando raccoglieva le testimonianze delle ragazze che sposavano gli operai e non i contadini che si facevano un mazzo così… in una situazione marginale di questo tipo l’arrivo del lupo è la goccia che fa traboccare il vaso, è il catalizzatore. Voglio concludere però questo ragionamento segnalando che il lupo è un catalizzatore di queste dinamiche descritte, è un catalizzatore negativo, ma proprio perché incastrato così tanto nel nostro immaginario collettivo e solleva questioni – attenzione – può diventare un catalizzatore positivo. Il problema degli alpeggi, che per vent’anni noi abbiamo trascurato, il lupo lo riporta sul tavolo, quindi la presenza del lupo – se gestita bene, con intelligenza politica, politica con la grande P maiuscola, con una strategia e degli obiettivi, con regole chiare – può addirittura diventare un’opportunità da questo punto di vista, perché guarda caso l’Unione Europea sul lupo ha un sacco di soldi da distribuire, avendolo messo nelle specie a protezione assoluta, e quindi ci ha messo grandi stanziamenti dietro. In questo momento vengono usati dal progetto Life WolfAlps che ha, come tutti i grandi progetti di questo tipo, tre grandi filoni: la ricerca, la divulgazione e la prevenzione dei danni. Il lupo fa danni: dal punto di vista dei numeri assoluti sul patrimonio zootecnico piemontese parliamo di cifre ridicole, perché sta a meno del due per cento del patrimonio ovino piemontese, quindi in questi termini è un problema che non esiste… è chiaro che il singolo allevatore che subisce danni è arrabbiato come una biscia e noi dobbiamo lavorare per migliorare quella situazione, però il lupo, solo dal punto di vista dei rimborsi diretti, quindi pagamento con soldi pubblici dei danni causati, vale intorno ai settantamila euro all’anno. Allora uno dice, come società, come politica, che si tratta di un sacco di soldi, non li voglio spendere, bisogna che risolviamo il problema. Benissimo, a questo punto però io dico che bisogna ricordarsi che la regione Piemonte ogni anno per i danni della fauna selvatica spende un milione e cinquecentomila euro; di questa cifra il lupo ne vale settantamila, se il problema dunque sono i soldi per i rimborsi dei danni causati alla fauna selvatica alle attività umane bisogna che prima risolviamo, ad esempio, il problema degli ungulati (cervi, caprioli e cinghiali) che ne vale seicentomila; il problema di corvi, cornacchie, gazze ecc. che si mangiano il granoturco e che ne vale quasi quattro-cinquecentomila a seconda degli anni; e poi, medaglia di bronzo, in Piemonte dovremmo risolvere il problema della terza categoria che vale circa duecentomila euro di danni all’anno, quale categoria è? Ghiri, scoiattoli e tutti i topoidi. E come mai fanno così tanti danni? Perché mangiano le noci e le nocciole, in particolare quali nocciole? Dove finisce la gran parte di questi duecentomila euro di rimborso della regione Piemonte per i danni alle nocciole? Alla Nocciola Dolce di Langa la cui proprietà principale è della più famosa ditta dolciaria del mondo, che combinazione fa la Nutella. Che legalmente, non è illegale quello che fa, sulla base di ettari ed ettari di noccioleti rileva dei danni, arrivano i periti che certificano il danno – alla Ferrero come al singolo contadino – e rimborsano. Allora, il lupo ne vale settanta, i ghiri ne valgono più di duecento, quattrocento corvi e gazze, seicento i cinghiali. È chiaro che se parliamo solo dal punto di vista economico il lupo lo sopportiamo…
20 luglio 2016, Villarbasse (TO)
[1] Prima di iniziare la conversazione abbiamo dato da leggere a Luca Giunti un articolo di Paolo Polastri, intitolato Un “lupo” cittadino avvistato in via Rivalta?, uscito il 13 luglio scorso su L’eco del Chisone, in cui si ipotizza che a Orbassano, centro di 25mila abitanti dell’hinterland torinese, la videosorveglianza di una villa abbia ripreso i movimenti notturni di un lupo. Nell’articolo, Alessandro Bassignana (vicepresidente di Federcaccia Piemonte), interpellato da Polastri, dice: «Sì quello filmato a Orbassano sembrerebbe proprio essere un lupo. Anche non fosse così, ma ci sembra difficile credere che ad essere avvistati siano sempre cani simil-lupo, il problema è serio. Se ne vedono a ridosso di grossi centri urbani. Ci sembra che la situazione sia sfuggita di mano a qualcuno. I lupi sono troppi, decisamente, e cominciano a rappresentare un potenziale pericolo non solo per gli animali di allevamento, ma pure per quelli d’affezione. […] Riteniamo che il problema debba essere affrontato seriamente, e il lupo vada “gestito” con piani di controllo, esattamente come in Europa già fanno Francia, Svizzera, Spagna, Finlandia, Svezia, Norvegia. Si tratta di un bellissimo animale, ma la sua presenza deve pur sempre restare compatibile con le attività umane, essendo il lupo un predatore carnivoro. Un domani potrebbe diventare un pericolo per le persone averne sottovalutato la presenza sul territorio».
La foto del lupo in apertura e quella dei cervi, entrambe scattate in Val Susa, sono di Luca Giunti.
La seconda parte dell’intervista si può leggere qui.
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