Anni fa Eduardo Galeano scrisse un bellissimo libro, dal titolo A testa in giù, nel quale raccontava come troppe cose assurde, disdicevoli (la disuguaglianza, i soprusi, la povertà, etc.) che affliggono gli esseri umani fossero trattate in modo da farle sembrare naturali. Per poterlo fare bisogna aver frequentato una scuola che insegna le cose alla rovescia, cambiando o nascondendo il significato e il senso del mondo circostante.
È una scuola sempre aperta, diffusa in tutto il mondo, non solo nell’America del sud, a cui si iscrivono volentieri uno sterminato numero di individui, di ogni sesso, colore, religione, stato sociale:
«Il piano di studi prevede corsi obbligatori di impotenza, amnesia e rassegnazione, grazie ai quali gli oppressi del pianeta imparano a subire la realtà invece di cambiarla, a dimenticare il passato per permettere ai dittatori di ogni tempo di restare impuniti, ad accettare passivamente il futuro, perché tentare di immaginarselo è un vizio che viene regolarmente punito…»1
Seguito pedissequamente, tale piano di studi permette di magnificare la tolleranza degli intolleranti, la libertà dei liberticidi, la democraticità dei fascisti e dei neonazisti, e via mistificando. Ecco allora che in montagna è bello andarci in elicottero e in quad, non a piedi; che Predappio diventa un luogo di culto, non la sede aperta dell’apologia del fascismo; che la fotografia dell’esecuzione di contadini sloveni da parte dell’esercito italiano diventa la prova della crudeltà dei partigiani; che l’ascesa di tre neonazisti su una cima africana su cui arrivano annualmente decine di italiani diventa motivo di orgoglio patriottico, ed il ricordo di un’impresa alpinistica (per le condizioni in cui avvenne quella veramente memorabile, e giustamente ricordata) viene amputato di quasi tutto per poter rientrare nel conformismo di chi si dice non conforme.
Visto che il loro squittire, irragionevolmente amplificato, potrebbe arrivare a confondere qualcuno vogliamo suggerire un’altra lettura, oltre a quella di Galeano, che può servire a vedere la Fuga sul Kenya di Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti per quello che era e non per quello a cui la si vorrebbe ridurre.