Filo: È lunedì e mezzogiorno è passato. Il furgone è già stipato delle vettovaglie e delle attrezzature di Fornelli in lotta, m’è rimasto giusto un angolino per infilarci la tenda e infatti sono qui a smontarla.
I volontari del festival smembrano gazebo, fanno pulizia, chiacchierano, ridono.
Scambio due chiacchiere con un compagno della valle che perlustra l’area campeggio alla ricerca di immondizia. Sono rimaste poche tende ormai, sparpagliate. C’è quell’aria irreale di certe domeniche mattina d’agosto in città. Gli ultimi ospiti ancora in circolazione sembrano camminare su cuscinetti d’aria. Silenziosi, ma presenti, ben evidenti, come pesche mature su un albero. E io pure mi sento così, sospeso.
Finché non si leva il grido: «Pierooo! Pierooo!»
Ed è lì che sento il click nella testa.
Sara, Miriam ed io siamo arrivati sabato e da allora sentiamo echeggiare, «Pierooo!», questo richiamo. Rimbalza da una parte all’altra dell’area campeggio, di giorno, di notte, in coro (maschile, femminile, misto) o da solista.
Tre giorni e due notti, ho avuto il tempo di fantasticarci su.
Ora, impegnato nel gioco di smontare la tenda senza mai uscire dall’ombra del frassino, nella testa si è fatto un click.
Ieri pomeriggio mentre i Bhutan Clan accompagnavano Wu Ming 1, alle prese con la lettura di cinque brani da un Un viaggio che non promettiamo breve, non ci avevo fatto caso. Ora – click – mi viene in mente il pezzo su Giacu, il folletto che si aggira fra i castagni della Clarea, il compagno che ha l’abitudine di perdersi nei boschi.
Il «Giacuuu!» ululato da Roberto con il suo accento della bassa, il «Giacuuu!» che più volte mi è capitato di sentire durante certe passeggiate qui nei dintorni e questo «Pierooo!» si fanno un tutt’uno. Giacu e Piero probabilmente sono nati nello stesso modo.