di Mr Mill
Ci sono eventi che diventano perno per una molteplicità di narrazioni, sia per stile che per punti di vista. Quando si tratta di eventi tragici avvenuti in montagna spesso quel che si legge tra le righe dei primi resoconti giornalistici ha il tono sensazionalistico, per poi virare su quello scandalistico nel momento in cui si procede nel tentativo di individuare il fattore unico e determinante – magari nella carne e nelle ossa di un o un’alpinista – della tragedia, in un giochetto che ha poco senso giacché si svolge tutto ex-post. Arrivano poi le ricostruzioni più circostanziate, scritte da chi è in possesso degli strumenti conoscitivi minimi per interpretare fatti che si sono svolti in situazioni e luoghi di cui non tutti hanno conoscenza, né diretta né, spesso, nemmeno mediata (escludendo i superficiali articoli di cronaca di cui sopra). I protagonisti coinvolti in prima persona in uno di questi eventi forniranno da subito materiale per l’elaborazione di queste prime – e già tra loro eterogenee – narrazioni sotto forma di interviste o dichiarazioni, ma solo con il passare del tempo arriveranno a proporne un personale racconto completo. Per ultime capita che vengano prodotte narrazioni in cui l’evento d’origine diviene un semplice pretesto per la costruzione di una narrazione che sappia sedurre il gusto del grande pubblico, in cui le ragioni conoscitive vengono annullate e la complessità mistificata.
Le narrazioni di quel che accadde nel maggio 1996 durante la discesa dall’Everest da parte di tre spedizioni commerciali, in cui persero la vita tre alpinisti, ben rappresenta la dinamica sopra descritta. Nell’arco di poco tempo su Alpinismo Molotov sono state pubblicate due recensioni che riguardano diverse narrazioni di quei tragici fatti: quella del film Everest scritta da Martina Gianfranceschi (qui) e quella proposta da Roberto Gastaldo del best-seller firmato dal giornalista-scrittore-alpinista Jon Krakauer dal titolo Aria sottile (qui). Niente più di un caso, in Alpinismo Molotov non era stato programmato di affrontare questi diversi punti di vista a riguardo dei fatti che si svolsero oramai 20 anni fa nella zona della morte sull’Everest. Allo stesso modo io non avevo programmato la lettura della ricostruzione da parte di Anatolij Bukreev – che fu una delle guide di una delle tre spedizioni coinvolte nei fatti – scritta a quattro mani con il giornalista Gary Weston Dewalt. L’essermi trovato tra le mani questo libro – dal titolo Everest 1996 – non ho potuto non interpretarlo come un hasard objectif molotov e pertanto, senza attesa, l’ho letto di gran lena. E ora ne scrivo.