Pubblichiamo oggi, in occasione del 71° anniversario del massacro di Lipa, il récit d’ascension antifascista che la sezione orientale di Alpinismo Molotov ha compiuto sull’Učka o Monte Maggiore, Istria / Croazia, il 1° marzo 2015. Un primo dispaccio di quell’impresa uscì su Giap il giorno stesso. Questa relazione è insieme complementare e integrativa, una non esclude l’altra. Ciò che si è privilegiato in queste righe è la riproduzione del passo oratorio e delle storie da esso evocate, più che la “scalata” vera e propria.
I nostri bastardi senza gloria sull’Ucka: Barbara, MisterLoFi, Rikutrulla, Alessandro, Tuco, Scalva, Federico, Vigj e Ciopsa. Special guest nel récit, Beppe Vergara. Con un cameo di Piero Purini.
Buona defascitizzazione.
Prima parte: guerriglia (culturale).
Due gran montagne dividono l’Italia dai barbari, l’una dimandata monte Caldera, l’altra monte Maggiore nominata.
Così diceva Leandro Alberti (1479-1552) o almeno così sostenne Mazzini nel 1866 rivendicando all’Italia l’Istria, la “Carsia” e le Alpi Giulie. Curioso è che nella regione attorno al monte Maggiore-Učka – la fantasiosa Venezia Giulia – nel 1927 abitassero diverse persone di cognome “Alberti”, peccato che fino a qualche anno prima però si chiamassero Abracht, Albrecht, Avber, Albert. Il Maggiore fu lo spartiacque rivendicato anche da Salvemini nel 1916, uno non proprio in odore di fascismo. Sembrava che il “patriottismo” italiano, anche quello più a sinistra, non riuscisse a prescindere dal dominio della vetta più alta dell’Istria. Eppure questo rilievo, punto d’incontro della catena dei Vena e dei Caldiera, non fu storicamente territorio d’italiani, piuttosto pascolo per i pastori cicci, popolo di lontana ascendenza valacca, più o meno slavizzato (per assimilazione “naturale” lungo i secoli, ndr), deriso dagli abitanti della costa per la sua arretratezza o forse solo per la deliberata assenza di dimestichezza con la civiltà marinara: “cicio no xè per barca” è il detto che li stigmatizzava, ripetuto ancora oggi ogni qualvolta un individuo dimostri scarsa propensione per una qualsivoglia arte.
Salvemini era convinto che un confine posto su questo spartiacque avrebbe contribuito alla fratellanza delle genti italiche e slave, un errore madornale di geografia che sarebbe risultato fatale per i popoli di questa penisola, qualunque lingua parlassero. L’Amministrazione militare italiana dopo il 1919 e quella fascista infatti infersero una ferita purulenta a queste terre, legando il tricolore italiano a sopraffazione, violenza e morte, specie quando l’Italia invase la Jugoslavia nel ’41 avviando una politica di deportazione di interi villaggi croati e sloveni, anche istriani – tecnicamente cittadini italiani – in campi di concentramento come Rab/Arbe, Molat/Melada, Gonars e tanti altri. Campi di morte assurdi: a Molat – ci ricorda Tuco – si fucilavano i prigionieri come rappresaglia per i pali di telegrafo abbattuti dai partigiani.
Da qui lo sdegno che ci assalì quando lo stesso Tuco ci riportò la notizia di una sortita delle Muvre, il gruppo escursionistico dei neofascisti di Casaclown, sul monte Maggiore in occasione del giorno del Ricordo del 2014, a sventolare tricolori e rivendicare l’italianità sulla sponda orientale dell’Adriatico, proclami sinistri proprio per il loro portato storico su questa vetta. S’imponeva una contro-sortita a disinfettare il monte ma non era solo questo, noi si voleva salire sull’Učka o Maggiore per dire che i fasci lì proprio non c’entrano un cazzo e non ci azzeccano proprio con l’andare in montagna tout-court. Cicio no xè per barca? Può essere, ma di sicuro Fascio no xè per monte. Ce lo ricorda anche il grande alpinista Ettore Castiglioni:
Il vero alpinista non può essere fascista, perché le due manifestazioni sono antitetiche nella loro profonda essenza.