Immagine satellitare degli incendi, catturata il 25 ottobre
Brucia il Nord Ovest.
Valsusa, Pinerolese, Valle Orco, Valle Stura.
Occitania, parchi, NoTav.
Tre fronti che mai come in questo momento sono sotto attacco a livello globale.
La Catalogna, dove stanno cominciando a circolare squadracce fasciste, è storicamente un “distaccamento” di Occitania, fin dal medioevo fu centrale nel movimento poetico trobadorico e ancora oggi la lingua catalana e quella occitana sono strettissimamente imparentate. La Valle Stura è Occitania.
I Parchi in Italia sono sotto attacco e non da oggi. Questo è il resoconto di Mountain Wilderness sull’ultima recentissima mossa del nemico. Ribordone è alle porte del Parco del Gran Paradiso. Gli incendi in corso ormai da una settimana tra Cumiana e Cantalupa hanno attaccato e verosimilmente distrutto buona parte del Parco Naturale Tre Denti e Freidour e da stanotte minacciano seriamente di finire il lavoro.
La Valsusa non ha bisogno di presentazione per chi conosce Alpinismo Molotov, Giap e Un viaggio che non promettiamo breve.
Ma forse, no, non è vero. La bassa Valsusa, l’indiritto della valle, quello massacrato dagli incendi partiti domenica 22 ottobre e tuttora in corso, è una montagna splendida, selvatica, partigiana, tagliata fuori dai circuiti turistici tranne che per la salita al Rocciamelone. E anche qui un parco: la Riserva dell’Orrido di Foresto, duramente attaccata dall’incendio. E l’altra riserva, quella dell’Orrido di Chianocco, schivata per un pelo.
Le Alpi stanno cambiando molto più in fretta di quanto ci aspettassimo. I singoli segnali, presi uno per uno, possono sembrare stranezze, scherzi della natura, anche se molti sono senza precedenti per chiunque sia ancora in vita. Ma è il quadro generale che spaventa.
Decenni fa, quando gli inverni smisero di produrre neve, all’inizio si pensava che fossero eccezioni. Poi l’eccezione divenne la regola, e la neve abbondante divenne l’eccezione. Nel frattempo l’intera industria dello sci dovette rattrappirsi e accodarsi alla crisi imperante (fatta salva la miopia l’ortodossia degli impianti ad ogni costo). Decenni fa, quando i fiumi cominciarono a diminuire drasticamente la portata d’acqua a regime, si pensava che fosse un fenomeno transitorio. Oggi il Po non nasce più dove nasceva, e arriva striminzito in pianura grazie agli affluenti, finché durano. Quanto tempo ci vuole per ripristinare una sorgente essiccata, una falda scomparsa? Pensiamo davvero che basti un mese di pioggia, che per il momento non si intravede, o un inverno mediamente nevoso, ammesso che arrivi, per far ripartire un funzionamento basato sui decenni e sui secoli?
Nel frattempo diventa un problema, come accaduto in questi giorni, trovare l’acqua per gli incendi nel posto dove gli incendi avvengono.
Gli incendi divampano sempre per mano dolosa, lo sappiamo. Ma prima ancora dolosi sono tutti gli incendi – questi in Valsusa come quelli in California – anche per la tenacia con cui chi governa il pianeta evita di prendere atto dei cambiamenti globali e agire di conseguenza. E ancora, per restare all’Italia, per molto più tempo è stato doloso lasciar decadere il territorio sottraendo continuamente risorse, fino a ridurlo alla fragilità e alla vulnerabilità estrema che stiamo vedendo: a memoria d’uomo nessuno ricorda incendi così estesi sulle nostre montagne.
Risorse che vengono spese a piene mani – soldi, uomini, mezzi – quando si tratta di far girare soldi, ormai innegabilmente sporchi di sangue e cenere, per fare un buco inutile in una montagna. Soldi uomini e mezzi che mancano drammaticamente quando tutto va a fuoco e la gran parte della guerra la combattono i volontari del posto.