di Martina Gianfranceschi, Simonetta Radice e Vecio Baeordo
Alpi Ribelli non è un libro ribelle. Nel sottotitolo, Storie di montagna, resistenza e utopia, la parola più importante è “Storie”. Storie di ribellione ambientate lungo l’arco alpino, scelte tra gli innumerevoli esempi che dimostrano la costante propensione delle terre alte a resistere ai soprusi delle terre basse: pianure, città, stati, mercati, capitali. Probabilmente se fosse un libro “militante” sarebbe superfluo: la sua utilità invece è quella di documentare la continuità, attraverso le epoche storiche, di un’attitudine riottosa dei territori alpini.
Questa propensione alla rivolta tuttavia, come l’introduzione spiega, non può essere ridotta semplicemente all’autodifesa, a volte disperata, di minoranze geograficamente periferiche e teoricamente arretrate per le quali ribellarsi fu l’unica scelta possibile. Al contrario, si direbbe che lo sguardo “dall’alto” in alcune occasioni e in determinati momenti storici sia stato in grado di esprimere una concezione della realtà più naturale e lungimirante (verrebbe da dire “illuminata”) di quella che sarebbe stato logico attendersi dal mondo delle città, più ricche, acculturate e teoricamente progredite, che invece alla prova dei fatti si sono dimostrate spesso, fino ai giorni nostri, schiave della propria centralità e di qualche tipo di pensiero unico. Le storie di questo libro molto spesso sono lotte combattute anche, quando non soprattutto, per rivendicare la validità e la superiorità di quelle visioni del mondo. Visioni che in questi ultimi decenni possiamo ritrovare approssimativamente riassunte nelle istanze ambientaliste e altermondialiste.
Le storie del libro sono spesso concatenate con grazia e mestiere: possono partire dal finale della precedente, possono lanciare nel finale quella che segue. Qui possiamo invece scomporre la sequenza e provare a distinguere le tipologie più frequenti di ribellioni, perché le tematiche sono per lo più ricorrenti.