Alpinismo Molotov in questi anni ha cercato di raccontare una montagna altra da quella che si legge di solito sui media mainstream e sulle riviste specializzate. Una montagna che è allo stesso tempo rifugio e prigione, cerniera e frattura, terreno da colonizzare e sfruttare, crogiuolo di nuove alleanze. Le vicende individuali e collettive degli esseri umani e degli altri viventi che la abitano per essere lette in un’ottica diversa devono essere osservate da punti di vista obliqui, inaspettati.
È uscita di recente altri.immaginari, antologia dei differenti modi di godere (Golena, 2018), una raccolta di racconti di autrici, autori, autoru transfemmist* e queer. Libertà è il titolo del contributo di Francesca Schiavon. Il suo racconto percorre un crinale, una via incerta e farraginosa, ma con il passo di chi sa immaginare l’azzardo dei passaggi pericolosi.
Libertà racconta allo stesso tempo una vicenda di montagna e di resistenze, sì, al plurale. È ambientato in montagna, nelle fasi conclusive della Guerra civile spagnola, e l’io narrante è ispirato a Teresa, Florencio, Durruti, la Pastora – questi i nomi con cui è stat* conosciut* –, una combattente antifranchista realmente esistita.
Francesca, che in montagna ci vive davvero e ha una piccola casa editrice, ci ha concesso di ripubblicarlo qui integralmente.
Buona lettura.
Libertà
Francisco aveva di nuovo l’espressione di un lupo impazzito. Guardava un punto imprecisato a mezz’aria, beveva a piccoli sorsi dal bicchierino scheggiato la grappa che lui stesso aveva distillato da non so quali scarti della cucina. Io non ne sopportavo nemmeno l’odore, sembrava alcol misto a sudore e cattiveria. E sconfitta. Eravamo nascosti da settimane in una grotta buia, in mezzo alle montagne più inospitali della Spagna, da soli, io con la mia pazienza di pastora, lui con la sua frustrazione di guerriero. Eppure non ci avevano ancora presi, la Guardia Civil non aveva né gambe né coraggio per braccarci fin lassù. Eravamo razziatori impietosi, predatori imprevedibili, affamati, rabbiosi e stanchi oltre ogni limite umano. Tanto che ogni giorno mi chiedevo quale fosse il senso della parola umanità e fino a che punto lo avessimo sovvertito e stravolto. Gli ideali per i quali eravamo finiti lassù erano come affissi su una parete invisibile e, anche se non li vedevamo, li avevamo sempre presenti nella testa, fin dentro agli occhi. Grazie a quegli ideali e ai compagni con i quali li avevamo condivisi avevo imparato a leggere. Non so com’è imparare a leggere quando sei un bambino piccolo, per me, che ho cominciato a vent’anni, è stato come nascere di nuovo e le parole dei libri le cui pagine lentamente decodificavo mi si sono ficcate nella testa con tutta la loro potenza, con il colore, la forma, con tutte le virgole e gli a capo. Non mi lasciano mai.