di Filo Sottile
Un anno fa usciva Ailanto: l’albero maudit che porta il paradiso fra il cemento, un articolo che ha girato tanto e che ha fatto discutere, cosa che non può che farci piacere.
In questi mesi ho incontrato molte persone che hanno voluto dirmi la loro sull’ailanto. Sono grato in particolare a due contadini – uno per passione, l’altro anche per mestiere, Gino Gallo e Luca Abbà – che un po’ a denti stretti mi hanno confessato che l’articolo ha in parte saputo ristrutturare l’idea che si erano fatti della malapianta.
Questo inverno ho conosciuto una donna, una compagna, che ha definito l’articolo ingenuo. Poi, indagando, ho scoperto che nel giardino della casa in cui è andata ad abitare si è trovata a dover combattere con la strenua voglia di vivere dell’ailanto. Capisco perfettamente la questione, mi procuro la maggior parte dei soldi che mi servono per campare facendo il giardiniere e da apprendista orticoltore ho una cognizione molto chiara e nient’affatto romantica di cosa sia il diserbo manuale. Ma, intendiamoci, non è mia intenzione andare in giro a disseminare ailanti, sono in grado di disseminarsi da soli e non necessitano dell’aiuto di nessuno. Tra l’altro, nel frattempo, ho scovato un articolo1 del 29 settembre 1919 che dimostra che per un periodo gli ailanti in Italia sono stati coltivati e il governo addirittura li regalava.