Le Alpi orientali da oltre un secolo sono al centro dell’ideologia nazionalista italiana, un luogo mitologico che la gente conosce solo attraverso i nomi delle vie nelle città e la vulgata che viene insegnata nelle scuole: le terre irredente, la presa di Gorizia, la disfatta di Caporetto, la resurrezione di Vittorio Veneto, cent’anni di retorica sul nordest. Noi che viviamo su questo confine conosciamo benissimo quanto sia tossica questa vulgata, e quanto sia altrettanto tossica la vulgata contrapposta, quella degli austronostalgici. Una vulgata che porta ad esempio alla celebrazione di un personaggio come Rommel, giovane ufficiale nella prima guerra mondiale sul fronte dell’Isonzo, e grande deportatore di civili e militari italiani, sloveni e croati 25 anni dopo, nel settembre ’43.
Le fiamme continuano ad assediare la Valsusa e non solo: vicinanza e solidarietà da Alpinismo Molotov
Immagine satellitare degli incendi, catturata il 25 ottobre
Brucia il Nord Ovest.
Valsusa, Pinerolese, Valle Orco, Valle Stura.
Occitania, parchi, NoTav.
Tre fronti che mai come in questo momento sono sotto attacco a livello globale.
La Catalogna, dove stanno cominciando a circolare squadracce fasciste, è storicamente un “distaccamento” di Occitania, fin dal medioevo fu centrale nel movimento poetico trobadorico e ancora oggi la lingua catalana e quella occitana sono strettissimamente imparentate. La Valle Stura è Occitania.
I Parchi in Italia sono sotto attacco e non da oggi. Questo è il resoconto di Mountain Wilderness sull’ultima recentissima mossa del nemico. Ribordone è alle porte del Parco del Gran Paradiso. Gli incendi in corso ormai da una settimana tra Cumiana e Cantalupa hanno attaccato e verosimilmente distrutto buona parte del Parco Naturale Tre Denti e Freidour e da stanotte minacciano seriamente di finire il lavoro.
La Valsusa non ha bisogno di presentazione per chi conosce Alpinismo Molotov, Giap e Un viaggio che non promettiamo breve.
Ma forse, no, non è vero. La bassa Valsusa, l’indiritto della valle, quello massacrato dagli incendi partiti domenica 22 ottobre e tuttora in corso, è una montagna splendida, selvatica, partigiana, tagliata fuori dai circuiti turistici tranne che per la salita al Rocciamelone. E anche qui un parco: la Riserva dell’Orrido di Foresto, duramente attaccata dall’incendio. E l’altra riserva, quella dell’Orrido di Chianocco, schivata per un pelo.
Le Alpi stanno cambiando molto più in fretta di quanto ci aspettassimo. I singoli segnali, presi uno per uno, possono sembrare stranezze, scherzi della natura, anche se molti sono senza precedenti per chiunque sia ancora in vita. Ma è il quadro generale che spaventa.
Decenni fa, quando gli inverni smisero di produrre neve, all’inizio si pensava che fossero eccezioni. Poi l’eccezione divenne la regola, e la neve abbondante divenne l’eccezione. Nel frattempo l’intera industria dello sci dovette rattrappirsi e accodarsi alla crisi imperante (fatta salva la miopia l’ortodossia degli impianti ad ogni costo). Decenni fa, quando i fiumi cominciarono a diminuire drasticamente la portata d’acqua a regime, si pensava che fosse un fenomeno transitorio. Oggi il Po non nasce più dove nasceva, e arriva striminzito in pianura grazie agli affluenti, finché durano. Quanto tempo ci vuole per ripristinare una sorgente essiccata, una falda scomparsa? Pensiamo davvero che basti un mese di pioggia, che per il momento non si intravede, o un inverno mediamente nevoso, ammesso che arrivi, per far ripartire un funzionamento basato sui decenni e sui secoli?
Nel frattempo diventa un problema, come accaduto in questi giorni, trovare l’acqua per gli incendi nel posto dove gli incendi avvengono.
Gli incendi divampano sempre per mano dolosa, lo sappiamo. Ma prima ancora dolosi sono tutti gli incendi – questi in Valsusa come quelli in California – anche per la tenacia con cui chi governa il pianeta evita di prendere atto dei cambiamenti globali e agire di conseguenza. E ancora, per restare all’Italia, per molto più tempo è stato doloso lasciar decadere il territorio sottraendo continuamente risorse, fino a ridurlo alla fragilità e alla vulnerabilità estrema che stiamo vedendo: a memoria d’uomo nessuno ricorda incendi così estesi sulle nostre montagne.
Risorse che vengono spese a piene mani – soldi, uomini, mezzi – quando si tratta di far girare soldi, ormai innegabilmente sporchi di sangue e cenere, per fare un buco inutile in una montagna. Soldi uomini e mezzi che mancano drammaticamente quando tutto va a fuoco e la gran parte della guerra la combattono i volontari del posto.
Gli asteroidi sono montagne volanti. Alpinismo Molotov e la Wu Ming Foundation
Di cose ne sono cambiate da quando, nel 2014, con l’escursione alla vetta del Rocciamelone e l’idea di raccontarla in un récit d’ascension collettivo iniziò a prendere forma l’idea di Alpinismo Molotov. Nel gennaio 2015 annunciammo l’avvio del nostro blog con un breve post in cui scrivemmo: «C’è una banda disparata a cui piace la montagna e a cui piace camminare. Per un bel pezzo sono stati in piazza Giap a discutere e a raccontarsi di libri, montagne, scalatori-scrittori e scrittori-scalatori».
A stretto giro arrivò il Manifesto di Alpinismo Molotov, poi le tante discussioni nel retrobottega e i post sul blog, nel mentre la banda disparata si faceva via via più numerosa. E quest’anno il grande salto: la nostra prima festa, Diverso il suo rilievo, ché troppa era la voglia di incontrarsi fuori dalla virtualità del web, forte il desiderio di sincronizzare i respiri e il passo percorrendo sentieri, di scambiare a viva voce e con gli occhi negli occhi pensieri, parole e risate.
Giap è tuttora la nostra «casa madre», una piazza ricca di scambi e possibilità d’incontro, fondamentali per noi che siamo convinti che lo sguardo sulla montagna e lo sguardo che ci restituisce la montagna possano essere “nuove armi” con cui affrontare il vivere quotidiano solamente se si forza costantemente il campo visivo a includere altro e oltre la montagna. D’altronde, cosa sa di montagna chi sa solo di montagna?
Si fa presto a dire lupo. #AlpinismoMolotov e Luca Giunti live
Alpinismo Molotov è una mailing list, un blog, una struttura collettiva dislocata sul territorio senza una sede fisica. Contemporaneamente Alpinismo Molotov è nata sui sentieri di una concretissima montagna, immaginata dai respiri, i passi, gli sguardi, il sudore di essere umani che condividevano lo stesso spazio/tempo.
Fino a giugno scorso abbiamo camminato e scritto, esplorato e raccontato: libri, sentieri, storie, conflitti. Poi è venuta Diverso il suo rilievo, la nostra prima festa e ci siamo confrontati con la dimensione live. E ci è piaciuta. Abbiamo quindi deciso di affiancare all’attività on line una presenza dal vivo, in luoghi fisici, davanti a persone in carne ed ossa.
Martedì 10 ottobre ci sarà la prima di una serie di uscite ancora in corso di costruzione. Parleremo di lupi, ancora una volta con Luca Giunti.
“Lupo” non basta
I lupi sono tornati sulle montagne. Quali lupi? Veri? Immaginari? A due zampe? E perché erano andati via? Domande stimolanti che riguardano la Natura e l’Umano. Infatti, quella del “Lupo” è, soprattutto, una questione politica.
In un dialogo serrato, divertente e scorretto, Alpinismo Molotov e gli attori e le attrici della compagnia L’interezza non è il mio forte estorceranno a Luca Giunti alcune possibili risposte, scientifiche, irrituali, sorprendenti, su di noi prima che sui lupi.
Vi aspettiamo il 10 ottobre, alle 21,30, al Molo di Lilith, via Cigliano 7, Torino. Ingresso libero con tessera ARCI.
Dall’abisso alla vetta: come Alpinismo Molotov incontrò Nicoletta Bourbaki al Bus de la Lum
Lord Running Flam: Percorriamo la strada per il Bus de la Lum, incassata tra un campo da golf e un pascolo: due prati tosati, l’uno da umane macchine l’altro da bovine fauci. Ma la differenza che più salta all’occhio è quella tra gli steccati: quello del campo da golf è una normale simbolica staccionata che arriva più o meno all’anca – giusto per far capire ai civili che quella è area riservata – quello del pascolo invece è assurdamente alto, come se le mucche qui saltassero alla Fosbury. Il filo è elettrificato, o meglio, i fili: sono cinque, paralleli, mettici il lampione in cima e le torrette ed è subito Auschwitz-Birkenau. Basta però alzare lo sguardo verso nord ed intravedere le rupi prealpine dell’Alpago che occhieggiano tra le nuvole e la foschia per spazzare via ogni paragone con la desolante piana pre-carpatica, ma la visione del lager accanto al campo da golf mi rimane per il suo potere allegorico. Penso ad altri steccati, altre frontiere non molto lontane, dietro alle quali si ammassano persone ridotte a bestiame mentre proprio accanto pochi benestanti si sollazzano sfacciatamente nel lusso. In mezzo una cospicua fetta di popolazione esclusa dall’élite ma cionondimeno intenta a difendere la frontiera, magari sbraitando contro il governo per un aumento del voltaggio della corrente nei fili. Non posso non ricollegare l’assurdità di questo stato di cose alla buca più grande presso la quale ci stiamo recando, dove è nato un culto – diventato poi religione di stato – per il quale i carnefici diventano vittime: è la chiave di volta di tutti i paradossi degli ultimi tempi, ultimo in ordine di apparizione gli aiuti umanitari ai migranti trasformati in atti criminali da decreti governativi e mass media.
Le spore allucinogene del Cansiglio stanno facendo effetto anche su di me? Beh, le allucinazioni non è che siano maligne a prescindere, possono essere anche ricreative, addirittura rivelatorie, maieutiche. E poi certo, ci sono quelle tossiche, i bad trip, e l’unica cosa peggiore dei bad trip è uno che cerchi di coinvolgere gli altri nel proprio bad trip, tutti gli altri. E da queste parti ci hanno dato dentro, chi l’avrebbe mai detto che un ambiente così bucolico e rilassante celi simili intossicazioni psichedeliche?
Alta Felicità 2017: una «camminata-racconto» lunga quattro giorni
Filo: È lunedì e mezzogiorno è passato. Il furgone è già stipato delle vettovaglie e delle attrezzature di Fornelli in lotta, m’è rimasto giusto un angolino per infilarci la tenda e infatti sono qui a smontarla.
I volontari del festival smembrano gazebo, fanno pulizia, chiacchierano, ridono.
Scambio due chiacchiere con un compagno della valle che perlustra l’area campeggio alla ricerca di immondizia. Sono rimaste poche tende ormai, sparpagliate. C’è quell’aria irreale di certe domeniche mattina d’agosto in città. Gli ultimi ospiti ancora in circolazione sembrano camminare su cuscinetti d’aria. Silenziosi, ma presenti, ben evidenti, come pesche mature su un albero. E io pure mi sento così, sospeso.
Finché non si leva il grido: «Pierooo! Pierooo!»
Ed è lì che sento il click nella testa.
Sara, Miriam ed io siamo arrivati sabato e da allora sentiamo echeggiare, «Pierooo!», questo richiamo. Rimbalza da una parte all’altra dell’area campeggio, di giorno, di notte, in coro (maschile, femminile, misto) o da solista.
Tre giorni e due notti, ho avuto il tempo di fantasticarci su.
Ora, impegnato nel gioco di smontare la tenda senza mai uscire dall’ombra del frassino, nella testa si è fatto un click.
Ieri pomeriggio mentre i Bhutan Clan accompagnavano Wu Ming 1, alle prese con la lettura di cinque brani da un Un viaggio che non promettiamo breve, non ci avevo fatto caso. Ora – click – mi viene in mente il pezzo su Giacu, il folletto che si aggira fra i castagni della Clarea, il compagno che ha l’abitudine di perdersi nei boschi.
Il «Giacuuu!» ululato da Roberto con il suo accento della bassa, il «Giacuuu!» che più volte mi è capitato di sentire durante certe passeggiate qui nei dintorni e questo «Pierooo!» si fanno un tutt’uno. Giacu e Piero probabilmente sono nati nello stesso modo.