Sono i passi condivisi con uno sguardo ribelle alla montagna a fare delle nostre uscite delle esperienze “Molotov”. Questo anno con i confinamenti e le chiusure motivati dalla pandemia in molti casi questa condivisione è stata resa impossibile. L’abbiamo aggirata, questa impossibilità, come nelle terre alte si fa per evitare un ostacolo, riunendo le normalissime, necessarie, liberanti, cospiranti, resistenti evasioni con la consapevolezza e il proposito di vederci e camminare spalla a spalla appena possibile.
È sul Carso che eravamo andati subito prima del lockdown ed è da qui che ripartiamo. Il Carso è molotov: terra alta senza averne l’aria, scavalca confini statali e linguistici, duro, ribelle e fecondo.
Qui un gruppo di noi ha incontrato nuovi compagnx di scarpinate ed è da questo incontro che nasce questa uscita.
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Camminando lungo il sentiero guardo la terra e sento il dolore come ruggine ricopre quell’orrore di filo spinato. Alzo lo sguardo, cortocircuito. La struggente purezza con tutta la sua forza mi si staglia davanti irremovibile. La montagna. Ogni mio passo è in bilico tra il baratro della guerra avvinghiato nella terra e il turbine di bellezza di questa natura impavida. Ingenuamente mi chiedo come abbia fatto l’odio ad arrivare fin quassù. (Sabina)
Lo.Fi.: E quindi rieccoci qua, a riallacciare lo scarpone dell’alpinismo molotov “nordestino”, ché in effetti costituì il nucleo primigenio di AM tutto, considerando che è sulle tracce della prima ascensione di Felice Benuzzi al Mangart che nacque questa avventura di gambe e parole.
Poi il testimone passò a nord-ovest, con il battesimo ufficiale sul Rocciamelone, ma il nord-est – gli “orientali” secondo la ripartizione SOIUSA delle Alpi – c’era e riportò gli occidentali sulle Giulie, sulla loro cuspide massima, il Triglav, poco dopo.
Quella che mancava era l’articolazione di un gruppo locale stabile, forte e discorsivamente autonomo come quello di nord-ovest orbitante intorno alla Valsusa. L’ostacolo maggiore era forse il tema di fondo: lotte vive a nord-ovest, fossili a nord-est, incapsulate in radioattive questioni memoriali. Per carità, siamo ben contenti che il TAV da queste parti si sia inabissato nelle profondità carsiche da diversi anni, ma il fatto che metà degli attacchi politici da queste parti procedano da fatti accaduti tra i 100 e i 75 anni fa rende il “movimento” alquanto angusto, anchilosato, e a maggior ragione lo si sente in montagna dove le articolazioni ben oliate sono fondamentali… Così sulle macerie del castelletto della Tofana (in foto la galleria, agosto 2015), nella campagna #MontagneControLaGuerra lanciata per contrastare il revival nazionalista del centenario della prima guerra mondiale, ci arenammo una prima volta e continuammo ad arenarci ad ogni tentativo di rivitalizazzione, come quando io e Ciopsa ci arrampicammo sul Cellon, o quando con una comitiva italo-slovena salimmo il Porezen a ricordare la resistenza contro nazisti e fascisti. Ci arenammo nella seconda parte della scalata, quella del racconto, anche per soggezione verso quel boccone di storia che avremmo dovuto mandare giù, come negli imponenti récit dell’Učka e del Bus de la Lum.