di Filo Sottile
La Via del Sentiero (The Footpath way) è un antologia di e per camminatori. Uscì per la prima volta nel 1911, probabilmente curata da Hillaire Belloc. Si tratta di una mappa, uno stato dell’arte della viandanza nel mondo anglosassone. L’Alfabeto delle Orme è un reading musicato che all’interno di quella mappa, zeppa di vie, soste e ipotesi, traccia un itinerario possibile. Gli scritti de La Via del Sentiero, come shangai profusi su un tavolo, hanno diversi punti di incastro e sovrapposizione. Wu Ming 2 e Frida X ne reinventano il gioco: giungere da un capo a un altro camminando in equilibrio sui bastoncini.
Guardando le linee, le svolte, le intersezioni appare il profilo del viandante. Individuo completamente moderno, che si mette in cammino per liberarsi dal giogo sociale e, allo stesso tempo, muovendosi a piedi in luoghi remoti o appena fuori le rotte tracciate, cerca nuove chiavi di accesso per comprendere il mondo e gli esseri umani. L’avventura del viandante è sempre una quest story: cerca risposte a domande: chi sono? Esiste la grazia? Qual è il mio posto in mezzo agli altri?
Ma L’Alfabeto delle Orme è anche un lavoro critico. Estrapola da La Via del Sentiero ciò che è più significativo per il camminatore contemporaneo: si impossessa di immagini forti, esortazioni, riflessioni funamboliche e cassa misoginie, razzismi e un certo senso di superiorità classista che appare qua e là.
Il confronto fra gli scritti e le letture in musica è fertile. Anche l’atto del camminare reclama la sua storicità e si dichiara figlio dei tempi. Oltre un secolo dopo essere state scritte, le parole di questi scrittori raminghi seminano il dubbio in noi: quei paesaggi sono i nostri paesaggi, abbiamo lo stesso modo di contemplarli, viviamo degli stessi sentimenti, degli stessi stupori?
I. Canto della Strada, Walt Whitman
Qui il viaggio prende l’avvio, con un arpeggio teso e terso. È quasi uno scampanio: si respira l’aria fresca e vitale di una mattinata di primavera. E quando Wu Ming 2 dà suono alle parole, queste si concretizzano in ampi respiri. «In piena salute, libero». Libero anche dal fato o dal destino: «io stesso sono buona sorte». È la strada la protagonista del canto, il luogo in cui si apprende la lezione dell’accoglienza: ogni essere vivente è invitato a muoversi liberamente, spogliarsi dei vincoli. I premi in palio sono il piacere, la gratuità, la generosità, l’accettazione. La strada e il percorso compiuto diventano la più fedele espressione del viandante. E la chiusa è un ulteriore invito a viaggiare insieme, dimentichi di professori, predicatori, avvocati e magistrati.
II. Guarda un uomo camminare, Hillaire Belloc
Su una pulsazione cardiaca accelerata, spinta da una vertigine acrobatica, Wu Ming 2 prova a tenere in equilibrio le parole sul tempo. E tutto quadra: c’è persino la possibilità di fischiettare un refrain su un tappeto di banjo. Belloc guarda al viandante con l’occhio straniato di uno scienziato alieno. La sua riflessione sembra iscriversi nello stesso orizzonte di senso delle Istruzioni per salire le scale di Cortázar. Non c’è niente di naturale nel camminare, si tratta di un gioco da funambolo, di un artifizio circense: l’equilibrio è un concetto dinamico. Belloc specifica inoltre che si può camminare solo abbandonando di continuo la posizione di comfort, lasciandosi cadere. Ed è un pensiero che fa il paio con quanto espresso da Whitman nel Canto della strada: «tutti i compiti eroici vennero concepiti all’aria aperta».
III. La vita semplice, Thomas De Quincey
Siamo solo al terzo pezzo e già si affaccia una chitarra elettrica nervosa, accompagnata da una sezione ritmica ostinata. Wu Ming 2 scorteccia una ad una le parole e ne libera l’ironia pungente. La viandanza di De Quincey non riesce a essere davvero un “fuori”, assillata com’è dalle questioni economiche. Perdersi raminghi a camminare, anche nella più assoluta semplicità di mezzi, resta comunque un lusso. Ed è questo, forse, che gli fa dubitare che Giovenale abbia ragione quando dice che il viandante con le tasche vuote può cantare in faccia al ladro. Qui, in questo Alfabeto delle Orme, la massima diventa comunque un ritornello sufficientemente punk da ricordarci che già all’inizio del viaggio abbiamo rinunciato ai vecchi premi lucidati per godere di nuovi premi grezzi.
IV. L’euforia della strada, John Burroughs
Il distintivo della musica nera è far muovere il culo. A lungo, prima di impossessarsene, le élite bianche hanno giudicato di cattivo gusto l’ancheggiamento. Qui Frida X offre un tappeto funky per far correre sculettanti parole feroci e irridenti. John Burroughs punta il dito ai suoi connazionali americani. «Abbiamo il cuore pesante – dice – siamo camminatori svogliati» e soprattutto «trasformeremmo il pagamento a usura in una legge naturale». Ogni azione deve generare un profitto quantificabile e immediato. Burroughs, dal canto suo, ha da offrire solo l’entusiasmo del viandante per la visione della stella del mattino e per un’intuizione: «questo è il circuito degli dei». Le passeggiate dell’americano si fanno tutt’al più perché il medico le consiglia e con la stesso stato d’animo di Pinocchio quando tira giù la medicina per allontanare i conigli neri.
E parlando di salute, Burroughs si mette ad ancheggiare oscenamente davanti a un parco termale, i resort del suo tempo, luoghi in cui si scimmiotta la vita a contatto con la natura e si tiene il culo incollato alla sedia per non correre il rischio di essere tacciati di cattivo gusto.
V. Sull’andare in viaggio, William Hazlitt
Frida X si trasforma in un’orchestra di xilofoni. Il suono della percussione lignea sembra riecheggiare i moti d’animo interiore, quando i pensieri si concretizzano nel passo, nello scricchiolio delle ossa, nel ritmo del respiro, nel tonfo della suola sulla terra. A William Hazlitt piace camminare in solitudine. La natura, dice, è una compagnia più che sufficiente. Non è contro la città, ma se va fuori dalla città è per dimenticare la città: per questo anche lui evita la bolgia metropolitana dei parchi termali.
Non si sente perduto a camminare da solo. È l’occasione di respirare, godere della propria libertà e pensare. È una riflessione sul tempo e sull’attenzione questa. Sul fare le cose a tempo debito e concentrandosi su di esse, godendosele appieno, senza sentire la necessità di twittarle, immortalarle su Istagram o condividerle su Facebook in tempo reale.
VI. Lode al camminare, Leslie Stephen
Il suono di lancette d’orologio impazzite (e di nuovo viene in mente Cortázar) segnala cortocircuiti della memoria. «Quando un uomo invecchia, alcuni moralisti gli suggeriscono di trovare consolazione per le crescenti infermità, guardando indietro a una vita ben spesa». Di nuovo siamo al profitto. Che cosa ci ho guadagnato in questa vita?
Leslie Stephen dice di saper ricordare con precisione solo le camminate. Il resto – persino l’amicizia – sfuma, si dilata nel tempo, perde i contorni. Le camminate no, sono là, vivide, etichettate con data e registrazioni di profumi, sensazioni, paesaggi, pensieri.
I vecchi spesso ricordano vividamente episodi dell’infanzia, le prime viandanze, quelle «sulle rive di uno stagno infestato dai topi, o in un campo reso romantico dalle trappole dei bracconieri».
Qui ritorna la chitarra elettrica, a evitare i fraintendimenti. I ricordi delle viandanze non sono ricordi sportivi: essi sono privi di vanità e di spirito di competizione e sono la rete in cui è possibile pescare altre memorie nelle acque di una vita.
VII. Viandanze, Robert Louis Stevenson
È la colonna sonora di una passeggiata al tramonto. I piedi dolcemente dolenti, quando poggiano, segnano il tempo. Il paesaggio è accessorio. È il cuore, come diceva John Burroughs, che conta. I viandanti sono alla ricerca di sentimenti piacevoli: speranza, sazietà spirituale. Quella sazietà che può venire dal pensiero che si cammina nel circuito degli dei, nella grazia, in un tempo mitico.
È la consapevolezza dell’esistenza di questa catena di piaceri che manca ai poltroni da parco termale e agli sportivi. Piaceri che si assaporano nel passo misurato del viandante, perché il passo è la misura del tempo presente. Il sedentario è sempre proiettato in un altro tempo, dedito a prepararsi a ciò che verrà. Lo sportivo, invece, preso dallo sforzo fisico, brucia l’appuntamento con l’attimo.
La viandanza è la disposizione a lasciarsi suonare dal vento come un flauto, a farsi colorare da ciò che è intorno.
È la lezione dell’accoglienza diceva Whitman. E tale viandanza si intraprende da soli e termina «in una pace che oltrepassa compressione».
VIII. Walking, and the wild, part 1, Henry David Thoreau
Ecco il primo dei due brani di Thoreau, non presenti nell’antologia. Siamo di nuovo completamente all’interno delle dinamiche sociali del nostro tempo.
C’è urgenza nell’aria, il pericolo è imminente, la chitarra morde il freno e poi straripa in una corsa a rotta di collo. È il pezzo più breve dell’intero reading, un ragionamento teso, un grido d’allarme.
Le strade sono fatte per chi ha fretta e per chi sbriga degli affari. Chi non ha fretta, cammina su sentieri non battuti, in paesaggi non troppo diversi da quelli percorsi da Omero o da Chaucer. Ma sempre più spesso la terra è frazionata, smembrata, violentata da recinzioni, steccati e macchine antifurto. Tali limiti invalicabili confinano il viandante sulla strada e fanno dunque coincidere il suo tempo con il tempo del borghese, ne arginano le possibilità utopiche nel tempo e nello spazio. Reimpossessiamoci di tale utopia prima che sia troppo tardi.
IX. Walking, and the wild, part 2, Henry David Thoreau
La viandanza è una macchina del tempo e, in particolari momenti di grazia, ci può condurre in una piega della storia antecedente alla comparsa della nostra specie.
È novembre, il sole sta per tramontare. Un attimo di sospensione nella luce calda e serena, sottolineato dall’apertura in maggiore dell’arpeggio di chitarra, un paradiso che più volte si è presentato sulla superficie del globo.
I viandanti, insieme a un ratto e a un falco di palude, ne sono spettatori privilegiati. Un diluvio d’oro un fulgore glorioso. L’atmosfera è quella che si respira ai limiti dell’immaginario, come fossimo in certe pagine cosmiche di Peter Kolosimo.
È questo il nostro cammino, la meta dei viandanti che vogliono percorrere la terra liberi e in piena salute: dirigersi verso quel luogo in cui il sole accenderà la nostra vita di una luce che risveglia.
Dedicatissimo
L’Alfabeto delle Orme descrive un viandante solitario e romantico, ma che si confronta già con questioni stringenti in cui anche noi posteri proviamo a farci largo. E pone seriamente la questione della religione della viandanza, quel sentimento che rende possibile a noi figli scissi e contraddittori del nostro tempo di sentirci parte di un tutto universale e di immaginare vite libere e degne d’essere vissute.
Ho avuto la fortuna di crescere vicino a un bosco. Un intrico di sentieri che amo e che ho percorso da solo o in compagnia in lungo e in largo, provando ognuna delle sensazioni passate in rassegna dai viaggiatori de La Via del Sentiero.
Nell’ultimo anno e mezzo, nei prati che per anni ho attraversato e sui quali ho dormito, fatto l’amore e condiviso il pane, il vino, le sigarette, le chiacchiere, i silenzi, il sole, la pioggia, la neve, i tramonti, le lune piene, si sono moltiplicati steccati, recinzioni, fossati.
Luoghi che sono stati vissuti e percorsi e goduti da tante e tanti sono divenuti inaccessibili, privati, esclusivi.
Desidero chiudere facendo cenno all’iniziativa di un gruppo di novantasei cittadini di Rivalta di Torino che, con l’appoggio dell’associazione Pro Natura, hanno acquistato una porzione di bosco ubicata sul Truc Bandiera, una delle cime della collina rivaltese, per tutelarne l’accessibilità a tutti. A me piace pensare che questo Alfabeto delle Orme sia stato suonato e declamato per chi, come loro, rende disponibili i luoghi in cui viaggiare a piedi e parla la lingua dell’accoglienza.
«La Via del Sentiero»: prime recensioni, tra parole e musica. - Giap
| #
[…] La prima, firmata da Filo Sottile e pubblicata sul blog di Alpinismo Molotov, si concetra sulla musica (cioè l’aspetto al quale teniamo di più). “Il distintivo della musica nera è far muovere il culo. A lungo, prima di impossessarsene, le élite bianche hanno giudicato di cattivo gusto l’ancheggiamento. Qui Frida X offre un tappeto funky per far correre sculettanti parole feroci e irridenti. John Burroughs punta il dito ai suoi connazionali americani. «Abbiamo il cuore pesante – dice – siamo camminatori svogliati» e soprattutto «trasformeremmo il pagamento a usura in una legge naturale».” Il resto è qui. […]
2,3,4 giugno ad Avigliana ci sarà la festa di Alpinismo Molotov - TG Valle Susa
| #
[…] il suo Alpi ribelli (Laterza, 2016) 20: cena 21,30: Concerti: Anonima Coristi (Val Pellice) + Wu Ming 2 & Frida X […]
Nav Danya » DIVERSO IL SUO RILIEVO – LA PRIMA FESTA DI #ALPINISMOLOTOV
| #
[…] il suo Alpi ribelli (Laterza, 2016) 20: cena 21,30: Concerti: Anonima Coristi (Val Pellice) + Wu Ming 2 & Frida X […]