– È il diamante più grande del mondo.
– No, – corresse lo zingaro. – È ghiaccio.Gabriel Garcia Marquez – Cent’anni di solitudine
È un’estate, quella del 2022, che sembra non finire mai. Nella seconda metà di ottobre è finalmente arrivata un po’ di pioggia, ma con temperature ben sopra la media e in ogni caso non sufficiente a colmare la carenza idrica dei mesi precedenti. Le gare di Coppa del Mondo di Sci, previste nel comprensorio Cervinia Zermatt a fine ottobre sono state annullate per impraticabilità di campo. E una manifestazione legata agli sport invernali che viene annullata perché, di fatto, manca l’inverno, ci sembra emblematica. Allo stesso modo non ci è sembrato tardi raccogliere e dare forma a una serie di osservazioni e di immagini che ci siamo scambiat* nel collettivo nei mesi scorsi, in seguito alle nostre uscite durante la cosiddetta “bella stagione”.
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18 giugno 2022
Salita in giornata con la prima funivia, condizioni molto secche tipo fine agosto. Temperature tropicali già dal primo mattino. Pendio di salita in ghiaccio fino a 3800m circa, dopo un pochino di neve è ancora presente.
3 luglio 2022
Partiti con la prima funivia da Staffal ore 7/30.
Le condizioni del ghiacciaio sono da fine agosto. Molti crepacci aperti, pozzanghere e rigoli d’acqua che scendono copiosi.
3 luglio 2022
Oggi il meteo è stabile, ma rispetto a un mese fa la situazione neve si è stravolta, il ghiacciaio di Bors era un lenzuolo bianco, senza un segno, ora è per metà pietrame, l’altra metà e grigio e con crepi…
Simonetta: Queste sopra sono tre relazioni di salita alla Punta Giordani: lungo la via normale la prima e la terza, la seconda lungo la Cresta del Soldato, pubblicate su Gulliver.it e su On-ice, prima che io arrivassi in zona, il 10 luglio 2022. La punta Giordani, che rientra nell’elenco dei Quattromila delle Alpi, è in effetti una spalla della Piramide Vincent al Monte Rosa, una salita estremamente facile, che viene spesso percorsa da chi per la prima volta si avvicina all’alta quota.
Appena scesa dalla funivia, guardo la via di salita e ci metto più di un attimo a riconoscerla. Non c’è più traccia di neve. Striature di ghiaccio nero, crepacci visibilmente aperti, ruscelli che ci scorrono sotto i piedi mentre ci dirigiamo verso la Capanna Gnifetti. L’Isola di roccia si è sensibilmente allargata. La via normale è costellata di sassi, in un modo che mi ricorda l’Etna dopo un’eruzione. In queste condizioni, sarebbe più corretto dire che non esiste più una via normale.
Salii per la prima e unica volta alla Punta Giordani lungo la normale nell’estate 2014. Un’estate assai piovosa preceduta da un inverno ricco di neve. Le condizioni erano talmente buone che nemmeno ci legammo, tutti i crepacci erano chiusi. In quella stessa stagione salii a metà settembre la capanna Margherita. Anche in quel caso fu una salita quasi senza storia, copertura nevosa ancora buona, nessun crepaccio, temperature molto basse.
Può sembrare un atto di egoismo o semplicemente fuori luogo andare in quota in una stagione del genere. Eppure avevo bisogno di legarmi ancora a una corda, di infilare i ramponi, di essere sicura che uno degli ambienti che amo di più al mondo esistesse ancora.
Via normale alla punta Giordani – Luglio 2014 vs. luglio 2022
È un’estate che potremmo tranquillamente definire spaventosa, anche se video come questo lasciano pensare che qualcuno la trovi divertente. Con la benedizione della stampa locale, che si limita a constatare la “viralità” del contenuto.
Eppure sono sempre di più i segnali per cui “the show can’t go on”, basta scorrere le notizie. Sul Monte Bianco è stato creato un nuovo percorso di salita dal versante italiano alternativo ai pericoli del ghiacciaio del Dôme. Sulla medesima via di salita al Bianco, ha chiuso in data 18 luglio il rifugio Gonella, a causa della mancanza di acqua. Secondo il gestore, inoltre, «La mancanza di acqua va di pari passo con le condizioni della via di ascesa al Bianco, che quasi parallelamente diventa impraticabile. Adesso si trova ancora un passaggio per salire, ma prevedo che con questo caldo tra 10-15 giorni non lo sarà più a causa dell’apertura dei crepacci.»
Ma il Gonella non è certo l’unica struttura a rischio: c’è la concreta possibilità, infatti, che una struttura su quattro debba chiudere prima del previsto, secondo quanto afferma Riccardo Giacomelli, presidente della Commissione Centrale Rifugi del Cai.
Se per il Gonella la chiusura a luglio non è comunque cosa del tutto nuova per i problemi legati alla mancanza d’acqua, il ghiacciaio di Saas Fee (Feegletscher) sarà per la prima volta chiuso ai turisti per lo sci estivo: l’apertura, peraltro ridotta, sarà riservati agli allenamenti.
Di fronte a tale situazione il sito della Radiotelevisione Svizzera riporta testualmente: «Il riscaldamento globale sta spingendo i gestori degli impianti di risalita a valutare la produzione di neve artificiale sul ghiacciaio come possibile soluzione, ma una simile opzione sarebbe complicata e costosa da implementare a quote così alte.» Chi l’avrebbe mai detto? Questa ostinazione al “business as usual”, se non facesse spavento, potrebbe quasi fare tenerezza. Forse però, meglio ricorrere direttamente alla magia, pardon, alla religione, come il vescovo di Parma Enrico Solmi che, in riva al Po, prega per porre fine alla siccità.
Abbassandoci di quota la situazione non migliora, anzi.
A: La Lombardia è una regione ricca d’acqua, tra torrenti, fiumi, laghi e ghiacciai.
In Valle Camonica origina il fiume Oglio, il secondo per lunghezza di tutta la Lombardia, e da questo il lago d’Iseo.
In alta Valle Camonica è stata sviluppata una fitta rete di sbarramenti dei laghi alpini, i quali alimentano un vasto sistema idroelettrico.
Camminare in queste zone significa imbattersi continuamente in specchi d’acqua, dal lago di fondovalle ai torrenti di mezza costa che formano una intricata rete di piccole e medie vallette, per salire ancora più su e trovarsi in una costellazione di laghi alpini che originano dal ghiacciaio dell’Adamello, il più vasto delle Alpi italiane.
La gente di questa vallata è abituata a convivere con acqua e con precipitazioni in media maggiori che in Lombardia. Anche per via di questo, forse, la siccità di quest’estate si è fatta notare più che altrove.
Il 2022 si accinge a essere il meno piovoso degli ultimi anni. Per scorgere un livello idrometrico positivo del lago d’Iseo è necessario tornare al 2 luglio: dati del genere si sono registrati soltanto nella torrida estate 2003, va però detto che, leggendo i dati dell’autorità del bacino, nelle serie di allora il livello oscillava e il deflusso era regolato per irrigazioni / compensazioni, a differenza di quest’anno. Ora, da mesi, si legge un sotto zero costante, e non ci si è arrivati da un inverno felice.
Il lago si sta avvicinando sempre più ai livelli minimi assoluti ed è dall’inizio dell’anno sotto media (viene monitorato dal 1933), nonostante qualche pioggia tardo estiva – autunnale.
La sua salute poi, per usare un eufemismo, non è delle migliori. La scarsità di ossigeno in profondità è cosa nota da tempo, il grado zero di ossigenazione è invece una novità.
Qualcosa è stato fatto per le acque superficiali che sono migliorate negli anni, il fatto è che il lago è profondo 250m e non sono mai stati studiati – o molto poco – i meccanismi di ricambio delle acque, dell’idrodinamica del lago, anche se le cause paiono poco naturali (almeno da studi condotti dall’università di Brescia, che da qualche anno è impegnata in un progetto di monitoraggio).
A Paratico (sud del lago) è stato installato un depuratore potenzialmente in grado di filtrare e ripulire; in assenza di studi idrodinamici, però, resta da capire cosa possa depurare. Ci sono poi grossi problemi di reflui e collettori fognari: i paesi rivieraschi si sono attrezzati per depurare e monitorare quel che si sversa, il grosso impatto lo danno però gli abitati a mezza costa e soprattutto quelli della valle, con piene di torrenti che scaricano di tutto, sistemi di depurazione inadeguati/inesistenti e reti fognarie mal gestite.
Se questo è lo stato del lago, dei laghi, perché mentre impaginiamo e pur con qualche pioggia in corso, il livello di riempimento è ancora ridicolo, l’Oglio non se la passa molto meglio, ha una portata d’acqua bassissima, decisamente sotto media e la situazione non migliorerà sicuramente a breve.
La tendenza di calo di disponibilità idrica è in atto da tempo, l’estate appena trascorsa – secca e rovente – l’ha rafforzata svuotando anche i bacini glaciali. Stando a recenti report del meteo svizzero quella del 2022 è stata tra le più calde e prolungate, nonché la più secca. E lo stesso si può dire della valle Camonica.
Mentre la siccità morde e anche in svariati comuni valligiani è stata razionata l’acqua, i continui record di innalzamento dello zero termico, per fasi prolungate, hanno spolpato i ghiacci dell’Adamello.
In Presena i teli servono ormai giusto per coreografia, tutt’al più per mantenere un poco di manto nevoso che consenta lo sci.
Teli e quel che resta del ghiacciaio Presena
In Cresta Croce – come su tutto l’Adamello – la situazione perdurante di ghiaccio vivo in scioglimento senza neve a proteggerlo, ha portato a situazione di stress e scioglimento costante dei ghiacci, per lunghi periodi sia di giorno che di notte.
Gli scatti sono desolanti.
Le cascate del Mataròt non sono mai state così gonfie (video), e tuttavia per i bacini alpini, nonostante i muraglioni, non si sono riusciti a mantenere nemmeno le volumetrie naturali.
Nel Ghiacciaio di Lares, di fianco all’omonimo lago, il terzo per estensione in Adamello, si sono aperti vistosi crateri. La situazione di disgelo che si è presentata per tutta estate è preoccupante.
Ghiaccio di Lares, estate 2022
Sempre restando in Lombardia, niente meglio di questo video in timelapse che documenta il ritiro del fronte del ghiacciaio di Fellaria negli ultimi tre anni rende conto di quanto la situazione sia tangibilmente drammatica.
Scendendo di quota, i Laghi Gemelli, molto vicini alla Valle Camonica, in Val Brembana, si sono divisi come non accadeva da 20 anni.
Immersi in questo clima, i boschi non se la sono passata meglio, i castagni hanno patito particolarmente e il paesaggio tardo primaverile estivo di mezza costa ha presentato colori del tutto autunnali.
A sinistra media valle, a destra boschi sopra Tavernola Bergamasca, luglio 2022
Nonostante la situazione desolante, da sconforto, le uniche misure ipotizzate dalla politica istituzionale sono volte a una tutela fittizia dell’agricoltura, slogan terminali per poter andare in deroga sommando scippi ai problemi.
L’assessore regionale Rolfi ha dichiarato, ad esempio, che «se necessario dobbiamo prelevare più acqua dal lago d’Iseo, Idro e Garda, andando anche sotto i livelli minimi stabiliti», come a dire che per non salvare l’agricoltura si potesse dare il colpo di grazia ai bacini e alle persone che li popolano.
Martino (Tuco): Le Alpi Giulie sono piuttosto basse: la cima più alta, il Triglav, non raggiunge i 2900 metri. I ghiacciai rimasti dopo la fine dell’ultima glaciazione sono piccoli. Tuttavia la loro pressoché totale scomparsa, negli ultimi 30 anni, è il sintomo di un male profondo. Le Alpi Giulie sono basse, è vero, e hanno pochi ghiacciai, ma sono sempre state piene di acqua. La zona tra il Kanin e il Triglav è una delle più piovose d’Europa. D’inverno si possono formare accumuli di neve di 5/6 metri già a una quota di 1400m. Le cavità carsiche si riempiono di neve sospinta dalla bora e a volte diventano vere e proprie ghiacciaie naturali. In primavera la neve comincia a sciogliersi a maggio e il disgelo solitamente si protrae fino a metà luglio. L’acqua di fusione non scorre via in superficie, ma penetra nelle cavità della roccia calcarea e si raccoglie in fiumi e laghi sotterranei. Questo regime idrico solitamente fa sì che i fiumi e i torrenti non vadano in secca durante l’estate. Anche il Torre, che dopo lo sbocco in pianura scompare sotto la ghiaia, in realtà è ricco d’acqua, che ricompare in superficie sotto forma di risorgive nella bassa pianura. Negli ultimi decenni questo delicato sistema idrico ha cominciato a entrare in crisi. Abbiamo avuto sempre più spesso inverni estremamente secchi, senza neve fino a dicembre inoltrato. Di converso, a volte ci sono state primavere estremamente piovose, e in quota nevose, con accumuli di neve anche di tre o quattro metri – sopra quota 2000 – nel solo mese di maggio. Ma la neve di maggio non è una neve buona. Non ha il tempo per stabilizzarsi e compattarsi, perché dopo poche settimane comincia a sciogliersi sotto il sole (o la pioggia) di giugno. La neve buona è quella di novembre-febbraio, che si trasforma progressivamente in ghiaccio nei mesi freddi. L’inverno `21/’22 è stato drammatico. La stazione meteorologica di Kredarica, a 2500m, ha registrato i seguenti dati pluviometrici: gennaio 52mm, febbraio 62mm, marzo 32mm, per un totale di 148mm. Nello stesso trimestre dell’inverno `20/’21 le precipitazioni complessive avevano raggiunto i 420mm. La situazione non è migliorata in primavera: quest’anno sono mancate anche le piogge e le nevicate di maggio. Il risultato è che nel luglio più caldo di sempre i laghi e i fiumi sono ridotti ai minimi termini. Documentiamo qui di seguito alcune situazioni emblematiche, scelte senza pretese di completezza, e seguendo un criterio anche affettivo.
La sorgente dell’Isonzo/Soča si trova a circa 1000 metri di altezza, in una cavità sul fianco della Velika Dnina. Vi si accede percorrendo prima un ripido sentiero nel bosco, e poi una breve ferrata. L’entrata dell’antro si trova in piena battuta di sole, ma dall’interno della montagna esce un’aria gelida che d’estate è una vera goduria. Quando gli occhi si abituano alla penombra finalmente si vede, a pochi metri dall’entrata, una polla d’acqua color zaffiro che sembra quasi luminosa. L’interno della montagna è pieno d’acqua, e la fenditura della Velika Dnina la fa sgorgare all’esterno in una forra piena di cascatelle e giganteschi pietroni levigati. Un tempo l’acqua all’interno della grotta arrivava fino al livello di ‘ingresso, e si poteva toccare. Nei miei viaggi in bicicletta negli anni ottanta ho riempito mille volte la borraccia nella sorgente della Soča: mi facevo apposta il sentiero e la ferrata solo per il piacere di bere quell’acqua. Con gli anni però il livello dell’acqua si è progressivamente abbassato. Anche nelle annate buone, in quest’ultimo decennio, l’acqua resta comunque un mezzo metro al di sotto della roccia calpestabile, e ormai non è più possibile riempire la borraccia senza correre dei rischi veramente grossi. Ma bassa come quest’anno, l’acqua non l’ho mai vista: almeno due metri sotto il livello dell’ingresso.
Zapotoški slapovi (cascata ai piedi del Grintavec). A pochi chilometri dalla sorgente della Soča, dopo aver attraversato un deserto di ghiaia bianchissima, ci si infila in una gola stretta e tortuosa. Improvvisamente la gola si allarga, e si arriva a una piscina di acqua color smeraldo, tutta circondata da pareti di roccia, in cui precipita una cascata fragorosa, alta una decina di metri. L’acqua è fredda, 8/10 gradi, ma nessuno resiste alla tentazione di spogliarsi e tuffarsi nella pozza. Quest’anno però la cascata non era affatto fragorosa, l’acqua era almeno trenta centimetri più bassa del solito, e soprattutto era (quasi) calda: almeno 15 gradi, a pelle.
La cascata ai piedi del Grintavec. Luglio 2021 vs. luglio 2022
Il Krnsko jezero, lago del Krn, si trova a circa 1400 metri di altezza sotto la parete nord del Krn. Il lago è alimentato dallo scioglimento della neve, e a sua volta alimenta (per insondabili vie sotterranee) il torrente Lepena, affluente della Soča. Vicino al lago c’è un palo, che da bambino chiamavo “il palo delle sette nevi”, su cui ogni anno viene segnata l’altezza della neve a fine aprile. L’anno scorso il segno era a 285cm. Quest’anno non c’era nessun segno. L’effetto della mancanza di neve si può vedere confrontando queste due foto: il lago quest’anno è almeno mezzo metro sotto il livello normale.
Il lago del Krn. Luglio 2021 vs. luglio 2022
Il lago di Raibl/Rabelj si trova a circa 900 metri di altezza sotto il passo del Predil, versante nord. È un lago naturale di sbarramento, che si è formato millenni fa in seguito alla caduta di una frana. È alimentato dalle nevi del Kanin e del Montasio, e a sua volta alimenta il torrente Slizza/Ziljica/Gailitz. Due km a valle del lago ci sono le miniere ormai chiuse di Cave del Predil. Per quasi un secolo nella miniera si sono estratte blenda e galena, cioè piombo e zinco. Una valle devastata dell’estrattivismo feroce, ma anche un pezzo di storia della classe operaia. Quando la miniera è stata chiusa nel 1991, la Slizza è rinata: ora è un torrente splendido, dalle acque trasparenti, mentre quando la miniera lavorava a pieno regime aveva il colore del piombo, e non c’era traccia di vita nelle sue acque. L’altra faccia della storia è la morte del paese. Negli anni settanta Cave aveva 2000 abitanti, scuole e persino un cinema. Ora è un paese abbandonato, in cui si potrebbero girare film western crepuscolari. Delle lotte operaie non è rimasto nemmeno il ricordo.
Fantasmi della lotta di classe a Cave del Predil (1996)
Il museo minerario racconta i minatori in modo stucchevole, come fossero stati i sette nani. Sono contraddizioni, queste, a cui noi di alpinismo molotov non ci siamo mai sottratti, perché per noi la montagna è sempre un territorio che racconta anche di conflitti. Tornando al lago, quest’anno l’acqua è almeno due metri sotto il livello normale. La foto del 2022 è stata scattata dal punto in cui nel 2021 finiva l’acqua bassa. Ora in quel punto ci si trova sul ciglio di una scarpata che scende ripida verso l’acqua, che si trova almeno due metri più in basso.
Il lago di Raibl. Luglio 2021 vs. luglio 2022
Simone: Nelle Marche l’estate 2022 non è stata diversa da quella del resto d’Italia: iniziata presto, finita – per quanto possa essere fuori luogo questo termine considerando che siamo arrivati a fine ottobre e giriamo in maniche di camicia con 25 gradi a metà pomeriggio – molto tardi. Quindi precipitazioni ridotte al lumicino, fiumi in secca, comuni con razionamento dell’acqua per lunghi periodi, insomma il riscaldamento globale che ci alita sul collo. Poi, in un normalissimo giovedì di metà settembre, il disastro. Un temporale autorigenerante ha stazionato in un’area molto vasta del pesarese, dell’anconetano e – anche se in misura minore – del maceratese, portando picchi di precipitazioni elevatissime che nel comune di Cantiano (PU) ha toccato picchi di 400 mm all’ora. Le conseguenze sono state un ampio territorio devastato (Senigallia, Ostra, Arcevia, Pergola, Cantiano, Frontone, Cagli sono solo alcuni dei comuni più colpiti), 12 morti accertati (una donna risulta essere ancora dispersa), corsi d’acqua più o meno grandi che hanno allagato interi paesi “portando in piazza” il loro carico di fango e detriti, una conta dei danni che si aggira intorno ai 2 miliardi. Tutto questo in una regione che – è sempre bene ricordarlo – nel centro sud del suo territorio stenta ancora a riprendersi dal terremoto di 6 anni fa.
Foto aerea del fiume Misa dopo l’alluvione, con in fondo Senigallia. (meteoweb.eu)
In questa foto satellitare si vedono i corsi d’acqua marchigiani con i detriti riversati in mare. (il messaggero.it)
Di fronte a questa catastrofe la politica regionale ha risposto con prontezza e lungimiranza al grido di Dio, Patria e Fanghiglia gestendo malissimo e con gravi ritardi i primi interventi, affermando in alcuni casi che i morti sono morti anche per comportamenti errati e soprattutto negando qualsiasi collegamento tra quanto accaduto e i cambiamenti climatici in atto. Il rapporto della Protezione Civile pubblicato dalla Regione Marche parla di “evento millenario” per affermare che non fosse assolutamente prevedibile, peccato che andando a leggere sul sito del CNR si scopre che «Il Catalogo degli eventi di frana e inondazione con danni alle persone, realizzato da Cnr-Irpi, evidenzia che nelle aree interessate dalla perturbazione del 15 settembre si sono in più occasioni registrate vittime a causa delle esondazioni dei fiumi, come già avvenuto ad esempio nel 2014, quando nei territori di Senigallia e Ostra Vetere (AN) si registrarono 3 vittime. In generale, analizzando i dati del Catalogo per un periodo temporale più ampio e a scala nazionale, nei 22 anni tra il 2000 ed il 2021 le regioni con il più alto numero di vittime per fenomeni di inondazione sono state la Toscana (27), la Sicilia (25), la Sardegna (24) e la Liguria (24). Durante lo stesso periodo la regione Marche ha subito vari eventi alluvionali che hanno in totale causato 7 vittime.»
Morti e dispersi per eventi di inondazione nel periodo 2000 – 2021 (cnr.it)
Di fronte a questo quadro è corretto parlare di “evento millenario”? Non si potrebbe parlare molto banalmente di eventi ricorrenti? Di una tendenza? Quasi di una certezza?
Conclusioni
Nel Paese dell’emergenza assurta a nuova normalità, l’unica emergenza che sembra non contare è proprio quella climatica, che pure è sempre più visibile, sempre più tangibile. Si tratta di una situazione che è oramai sistemica e far finta di non capire che questo sistema economico ci sta portando verso la catastrofe sembra essere lo sport nazionale, una nuova specialità olimpica.
E invece, come un cane che si morde la coda, la noncuranza con cui (non) affrontiamo la questione nasce proprio dal fatto che, se l’emergenza climatica mette in discussione il sistema economico, nessuno vuole davvero mettere in discussione il sistema economico, Mark Fisher docet.
Continuare a portare avanti investimenti sui combustibili fossili (basti pensare a Piombino o a Ravenna), spendere i fondi del PNRR per aumentare la cementificazione anziché per mettere in sicurezza i territori, continuare a sperperare denaro in grandi opere e grandi eventi in nome del capitale non sono eventi millenari, sono infatti scelte che “capitano” ogni giorno, in montagna come in pianura. E non sono neanche progetti di una o dell’altra forza politica, sono sempre bipartisan. Come lo sono i mancati interventi di messa in sicurezza delle aree colpite dall’alluvione, che sono infatti responsabilità di chi si trova ora al governo della regione (FdI) come di chi li ha preceduti (PD). Quindi non solo il sistema che ha causato e causa tragedie come la recente alluvione marchigiana non viene mai messo neanche in discussione, ma non vengono neanche realizzati gli interventi che – anche se parziali e non risolutivi del problema alla radice – consentirebbero di evitare morte e distruzione nell’immediato.
A distrarci poi da questo paradosso in cui tutti siamo immersi, a farci pensare che non tutto il male sia qui per nuocere, ci pensa il caro energia, con i media mainstream che iniziano a dirci che, in fondo, un giorno caldo in più è un giorno di bolletta salata in meno.
Contro l’industria dello sci -
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[…] in nome dell’impatto e delle contraddizioni che un evento del genere rappresenta. In più, anche dopo un estate straordinariamente siccitosa, si stanno moltiplicando gli interventi legati al potenziamento delle infrastrutture sciistiche […]