Non occorre essere attivista o avere un sesto senso particolarmente sviluppato per rendersi conto che non esistono luoghi al riparo da progetti speculativi inutili, dannosi e grotteschi. Realizzando una mappatura, molto probabilmente, i punti di interesse posizionati per segnalare queste opere della scemenza umana sarebbero così fitti da rendere invisibile il territorio sottostante. Terreno coperto, metaforicamente e materialmente, da cemento, asfalto, edifici improbabili, piste, invasi, pedemontane, tralicci, viadotti e altre amenità.
Ma staremo esagerando?
Ci saranno dei luoghi rimasti al sicuro?
Per esempio, le terre dell’Appennino colpite dal sisma del 2016/2017, almeno lì avranno avuto un occhio di riguardo? Almeno per quelle…
No. Soprattutto in quelle zone ci si sta accanendo con particolare furia. Perché il terremoto è la scusa perfetta per sperperare soldi. Il terremoto per la speculazione è quello che la sabbia è per il Jova Beach Party. Se si segue il raziocinio, un contesto da evitare; ma se s’insegue l’idiota logica del profitto, il terreno ideale.
Foto di Chiara Pavoni
Iniziamo dalla fine, iniziamo dalla Z
La montagna più celebre dei Sibillini è certamente la Sibilla. Vuoi per la sua corona, perché da lei deriva il nome dell’intera catena o per la sua posizione, ma soprattutto per la sua carica storica e immaginifica. Ebbene proprio la Sibilla mostra sul suo fianco lo sfregio più celebre e terribile dei Sibillini, o quantomeno quello che è stato il più celebre e terribile fino all’avvento della Ripresa™ e della Resilienza™. Anche da questo punto di vista la montagna è quindi simbolica e sembra aver preconizzato – a sue spese – quello che sarebbe stato.
Il versante sud della montagna è infatti percorso da una strada bianca, che forma appunto una lunga Z, visibile a chilometri di distanza. Quella strada nasce come progetto nei primi anni Sessanta, voluta da politici e dirigenti locali per collegare quel versante dei Sibillini con gli impianti sciistici di Frontignano. Già all’epoca le giustificazioni erano le solite: aiutiamo il territorio, i pascoli d’altura, il turismo, le comunità locali, ecc.. All’epoca il Parco Nazionale era solo nei sogni di pochi ed i lavori vennero bloccati nel ‘71 dopo anni di denunce, articoli, ricorsi ad opera principalmente del CAI locale e di poche altre realtà dell’ambientalismo. I lavori vennero bloccati, ma la strada aveva oramai raggiunto la cresta e la ferita resta tuttora aperta e visibile.
Abbiamo voluto iniziare dalla Z per due ragioni. La prima è per ribadire ancora una volta – qualora ce ne fosse bisogno – che “i bei tempi non ci sono mai stati” e la montagna è stata da sempre terreno di conflitti, di conquista e speculazione come tutti gli altri territori, niente a che vedere con la stantia narrazione tutta “Natura e Assoluto”. La seconda perché forse basterebbe questa storia, quello sfregio, per sapere cosa resterà dei moderni interventi di “riqualificazione” che si stanno addensando sopra l’Appennino Centrale. Magari non troveremo una Z ma tante P, qualche N e svariate R.
PNRR
Come abbiamo visto, nelle Marche come altrove, grandi opere e devastazioni varie non sono questioni che stanno impattando sulle aree montane solo a partire dagli anni Venti di questo millennio. Ma sono piuttosto parte di un processo di lungo periodo. In tema di infrastrutture con impatti devastanti vogliamo ricordare la Quadrilatero Marche-Umbria che, prima con il completamento tra Foligno e Civitanova Marche e ora con il tratto Fabriano Muccia, ha completamente stravolto un intero territorio a livello ambientale, paesaggistico e sociale. Per poi iniziare a salire in quota basti pensare a quanto sta accadendo da anni sul Monte Catria, con disboscamenti e invasi artificiali che anche qui stanno devastando un’intera area dall’enorme valore naturalistico.
Ma allora – si dirà – dov’è la novità se queste opere vengono pensate, progettate, realizzate da anni, anzi da decenni come nel caso della strada sulla Sibilla? Cos’ha il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di diverso rispetto al resto?
Intanto “il Piano” ha un nome che cola liquami, perché “ripresa e resilienza” sono due pacchi bomba ricoperti da carta regalo della Disney. Due termini con un’accezione apparentemente positiva che nascondono mostri. Tra l’altro è bene ricordare che a livello nazionale il termine resilienza ha iniziato a circolare con frequenza proprio a seguito del PNRR, ma in quello che viene chiamato “cratere” (le aree colpite dal terremoto 2016/2017) è arrivato anni prima. Già ai tempi della festa di Alpinismo Molotov a Macereto nel 2018 usciva dalle fottute pareti e tempo fa su Giap veniva definita così:
Pseudo-virtù neoliberista. Nell’attuale neolingua «resilienza» significa adattarsi al disastro, adattarsi alla merda, anzi, cogliere nell’innalzarsi del livello della merda una preziosa opportunità: ce l’hai già fino al mento, no? Allora assaggiala, ti piacerà. Ecco, bravo. Ah, fai pure il bis? Ottima prestazione. La tua e, soprattutto, la nostra. Infatti s’era già deciso di fartela mangiare. Ringrazia i nostri esperti.
Ma veniamo alla novità, o meglio alle novità, più rilevanti del PNRR: stanno nella mole enorme di denaro a disposizione, nella rapidità con cui arriva a destinazione, nella velocità con cui va speso e – aspetto centrale – nel momento storico in cui tutto ciò sta accadendo. Si parla infatti di circa 200 miliardi di euro in 6 anni, molti dei quali – è bene sempre ricordarlo – presi a debito, che devono essere spesi immediatamente. Questo “immediatamente” può essere sottovalutato da chi non è avvezzo alle dinamiche di comuni e regioni. In linea puramente teorica un ente: ha in mente un progetto e/o un servizio, cerca dei fondi per realizzarlo, scrive il progetto, ottiene i fondi e passa alla fase realizzativa. Con il PNRR tutto questo processo è completamente saltato, si è ribaltato trasformandosi in: ci sono un mucchio di soldi, non possiamo perderli, inventiamoci una cosa qualsiasi per spenderli. Il combinato disposto di questo approccio unito alla classe dirigente che attualmente amministra i nostri territori da un punto di vista politico e burocratico genera mostruosità inenarrabili.
Sul “momento storico” invece riprendiamo quanto abbiamo già scritto in conclusione al post in cui abbiamo annunciato che ci saremmo rimessi in cammino: “[…] il cambiamento climatico non è un episodio né tantomeno una prospettiva. È quel che stiamo già vivendo, qui, ora”. Ovvero, tutti questi interventi infrastrutturali devastanti vengono realizzati nel pieno della crisi ambientale e climatica, mentre i ghiacciai si sciolgono, i boschi bruciano e l’acqua viene razionata. Nel momento in cui nessuno si azzarda più a negare gli effetti devastanti di quanto sta accadendo. Il tocco di classe del capitale è inoltre quello di unire il disfacimento degli ambienti naturali a messaggi che ti invitano a salvare il pianeta facendo qualche doccia in meno. Oppure quello di agire attraverso apparenti paradossi: di fronte a un mondo reso quotidianamente sempre più rischioso e insicuro (da un punto di vista climatico, ambientale, economico) si legifera e si reprime in nome della sicurezza e della riduzione del rischio. Basti pensare al costante impulso “chiusurista”, ovvero a quell’idea fattasi strada ormai da tempo e divenuta egemone con la prima ondata pandemica, stando alla quale la “buona” pratica per affrontare i problemi è comprimere gli spazi, come dimostra anche il recente dibattito seguito al crollo del ghiacciaio in Marmolada.
Come tutte queste premesse si declinano all’atto pratico?
Quale carta a caso avranno pescato nel mazzo truccato?
Per esempio quella raffigurante un progetto da 36 milioni di euro (29 milioni di euro dal PNRR, 7 milioni di euro dal privato) nel comune di Sarnano, alle porte di un Parco Nazionale, quello dei Sibillini, proprio nel mezzo di quelle terre d’Appennino colpite dal sisma 2016/2017.
Cosa prevede questo progetto nel dettaglio?
Una pista sintetica in Neveplast, nuovi bacini di accumulo idrico per gli impianti di innevamento artificiale, uno zoo (“naturalmente” attraversabile in auto come in un safari), tapis roulant, una nuova cabinovia funicolare a terra, una pista per i “gommoni da neve”, una teleferica “a volo d’Angelo”, più altre amenità. Il sindaco di Sarnano – comune che come primo risultato si è aggiudicato la “Bandiera nera” di Legambiente – ha dichiarato nel corso della presentazione del progetto qualche settimana fa che questo “prima di essere un progetto è un sogno”. Avesse usato la parola incubo al posto di sogno avremmo potuto anche essere d’accordo, incubo che prenderà il nome di Sibillini mountain experience, ovviamente nome affibbiato all’area dagli stessi ideatori. Su questo, e sui nomi usati a proprio piacimento e solo quando fa comodo, occorre ricordare che il comune di Sarnano non è mai voluto entrare – per scelta – all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Salvo poi volerne utilizzare nome e prestigio a proprio piacimento.
Questo progetto scellerato, più volte soprannominato il “Luna Park della montagna” ha avuto un discreto risalto sulla stampa locale e nazionale, causando reazioni molto dure da parte di associazioni e persone appassionate di montagna. L’Alleanza delle associazioni ambientaliste delle Marche scrive in un comunicato parole che ci sentiamo di condividere:
[…] Sarà proprio un caso che per realizzare qualche tappeto di plastica, mettere qualche cavo sospeso tra due picchi, ristrutturare qualche skilift e qualche baita, fare qualche piazzola da campeggio, anche se pomposamente la vogliamo chiamare “glamping”, si siano mossi importanti progettisti dalle grandi città del nord? Il rischio che si intravede allora è che si tratti ancora una volta dell’ormai vetusto modello colonizzatore della montagna, aduso ad appropriarsi di ogni residua risorsa lì disponibile, lasciando poi sul territorio, finiti i soldi, i simulacri arrugginiti di tali realizzazioni, come quelle che già tristemente da molto tempo fanno mostra di sé, sui versanti e le creste dei Sibillini. […].
Reazioni “indignate” e – per quanto ci riguarda – ridicole si sono riscontrate in area PD. Ridicole perché fin tanto che alla guida della Regione Marche si sono alternati presidenti di regione del Partito democratico il modello di sviluppo pensato per la montagna non era così differente da quello della “mountain experience”, e perché basterebbe guardare a quanto sta accadendo in altre regioni amministrate dal PD (i progetti del Corno alle Scale sono solo un esempio).
Per completezza del quadro aggiungiamo che dallo stesso mazzo di carte da cui è stato pescato il progetto sarnanese hanno pescato un “Jolly”: il riferimento è a quanto sta accadendo a Montefortino – comune a poche decine di chilometri da Sarnano – e più precisamente nella frazione di Rubbiano. Rubbiano è “la porta d’ingresso” per la Gola dell’Infernaccio, uno dei luoghi simbolo dei Sibillini. In questa frazione, per larghissima parte ancora Zona rossa a causa dei ritardi della ricostruzione post sisma, il comune ha deciso di espropriare terreni (compresi quelli di un’azienda agricola) per realizzare un parcheggio da 500 posti auto a uso e consumo turistico. Naturalmente anche in questo caso c’è abbondanza di parole dal senso ambiguo come valorizzazione, rinascita, qualità e via dicendo.
Le nostre critiche al progetto – ai progetti – che abbiamo velocemente descritto non sono quelle di chi vorrebbe difendere il proprio giardino o di chi vede la montagna come un luogo romanticamente incontaminato e regno incontrastato della “natura” (intesa come altro dal genere umano e non come macro-insieme di cui facciamo parte). Nascono invece da chi vuole opporsi alla ferocia di un sistema economico che annienta, depreda e distrugge crinali come periferie, ecosistemi come classi sociali. Perché le aree interne hanno le loro peculiarità, ma non sono estranee dai conflitti e dai meccanismi che regolano il resto del territorio.
Per tutte queste ragioni domenica 18 settembre indosseremo gli scarponi, per conoscere ed attraversare quei luoghi sempre in bilico tra racconti edulcorati e rassicuranti e interventi raccapriccianti. Per invocare la Sibilla contro chi ne deturpa nome, storia e luoghi.
Dettagli e logistica seguiranno nelle settimane a ridosso dell’evento.
Post scriptum
Tra invasi, tralicci e piste in plastica. 18 settembre 2022, una camminata molotov sui Sibillini – Rivoluzione Anarchica
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[…] Il 18 settembre, attraverso una semplice camminata, andremo ad osservare da vicino i luoghi che rischiano di finire sotto i colpi del PNRR. Gli oramai famigerati 36 milioni di euro necessari per realizzare l’altrettanto celebre […]