Italian Limes sarà ospite della nostra festa, Diverso il suo rilievo 2018 (hey, manca pochissimo!). Chi sta dietro e porta avanti il progetto – Marco Ferrari, Elisa Pasqual, Andrea Bagnato – interverrà durante la discussione intitolata Il clima è cambiato che si terrà sabato 2 giugno alle ore 18,00, una tavola rotonda a cui parteciperanno anche Wu Ming 1 e Matteo Meschiari. Questa intervista – realizzata il 19 aprile scorso – ha lo scopo principale di presentare il progetto a chi segue il nostro blog. Per Italian Limes ha risposto alle nostre domande Marco.
AM: Iniziamo dal grado zero: di cosa si occupa il progetto Italian Limes e come è nato?
IL: Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2014 perché siamo stati invitati a proporre un tema di ricerca e un’installazione per la Biennale di Architettura di Venezia. L’intento dei curatori (Rem Koolhaas e Ippolito Pestellini Laparelli per la sezione “Monditalia”, all’interno della quale eravamo ospitati) era quello di esplorare il territorio italiano attraverso una serie di progetti, ognuno dei quali doveva essere incentrato su un luogo e un tema particolari. Ci è sembrato da subito interessante guardare al confine italiano come una sorta di “falso luogo”, un dispositivo attraverso il quale indagare le relazioni fra geopolitica, cartografia e rappresentazione del territorio. Quindi abbiamo deciso di guardare non tanto al confine mediterraneo – all’epoca già ampiamente al centro della cronaca e del dibattito politico – ma a quello settentrionale, alpino: un confine in apparenza “pacificato”, smaterializzato dall’istituzione degli Accordi di Schengen.
AM: Tra l’altro ultimamente, ancora nelle ultime settimane, tutta questa polemica che probabilmente si basa anche su interpretazioni parziali sul confine marittimo fra la Francia e l’Italia è tornata alla ribalta…
IL: Sì, anche su questo confine ci sono molte questioni irrisolte, da questa che hai appena citato tu, a quella più nota del Monte Bianco, che ciclicamente torna sulle pagine dei giornali. A noi, però, interessava mettere in discussione la distinzione fra un confine “interno” (come appunto viene definito quello che separa l’Italia dalle altre nazioni europee) ed uno “esterno”, che delimita lo spazio Schengen a meridione. Ci interessava, in particolare, indagare la scomparsa della manifestazione fisica del confine terrestre a seguito dell’apertura delle frontiere europee di metà anni ’90 – un confine, però, che rimane chiaramente indicato sulla carta. Cos’è un confine, da un punto di vista sia fisico che legislativo? Come lo si riconosce quando lo si attraversa? Esistono delle differenze fra confini naturali e artificiali? Non da ultimo, volevamo guardare alle Alpi come a un caso studio unico nel suo genere: pur essendo un grande parco nel tessuto di un’enorme città policentrica – quale è oggi l’Europa – è ancora un territorio formalmente diviso fra otto nazioni diverse.
La prima mossa che abbiamo intrapreso per la ricerca è stato andare all’Istituto Geografico Militare a Firenze, per capire innanzitutto cos’è un confine dal punto di vista geografico. Dopo aver parlato a lungo con i cartografi e i tecnici dell’Istituto (che hanno aperto le porte dei loro archivi e dedicato molto del loro tempo per raccontarci la storia del confine italiano e in cosa consista il loro lavoro quotidiano), siamo venuti a conoscenza della vicenda del «confine mobile», che poi è diventata il cuore del nostro progetto.
A causa del rapido scioglimento dei ghiacciai alpini per il riscaldamento globale, la linea spartiacque, che determina l’andamento del confine lungo quasi tutto l’arco alpino – e che corre su ghiacciai alle altitudini più elevate – ha subito notevoli spostamenti. Di conseguenza, per molti tratti del confine fra Italia, Austria, Svizzera e Francia non esisteva più una corrispondenza fra territorio e cartografia ufficiale. Per cercare di rimediare a questo problema, fra il 2008 e il 2009, il Governo Italiano ha promosso (e negoziato con le nazioni confinanti) una nuova definizione delle proprie frontiere, introducendo il concetto inedito di confine mobile. Secondo questa nuova legislazione, un’apposita commissione, composta per metà da tecnici dell’IGM e per l’altra metà da rappresentanti degli istituti cartografici dei paesi confinanti, deve determinare gli spostamenti della superficie dei ghiacciai a cavallo del confine per calcolare l’esatta posizione della displuviale, così da stabilire un tracciato aggiornato del confine di stato. Le misurazioni sono effettuate con l’ausilio di strumentazione GPS ad alta precisione.
Inizialmente, questa vicenda ci è sembrata un aneddoto marginale, quasi irrilevante per la sua lontananza dalle questioni che normalmente vengono associate ai confini: di fatto, stiamo parlando di spostamenti di poche decine di chilometri ad altitudini sopra i 3.000 metri, dove non passa quasi mai nessuno. Quando, però, abbiamo iniziato a pensarci in maniera un po’ più approfondita, abbiamo capito che da qui sarebbe nata la ricerca. Un tema così inusuale ci ha infatti permesso di parlare e di legare molti temi tra loro diversi: il cambiamento climatico e l’effetto che questo ha su qualcosa che, come i confini nazionali, sembrerebbe stare su un piano eminentemente politico, indipendente dalle dinamiche ecologiche; la questione del territorio e della sua misura e rappresentazione, in generale; il problema degli strumenti e delle tecnologie che utilizziamo per compiere queste operazioni e che, di conseguenza, hanno un impatto fondamentale sulla nostra visione del mondo e della natura.
Nel corso del Novecento, le Alpi sono state un laboratorio per l’evoluzione delle tecniche di rappresentazione cartografica – sia per il loro isolamento e le difficoltà tecniche che la loro mappatura ha implicato, sia per le vicende politiche che le hanno poste al centro dei processi di evoluzione degli stati europei dopo le due guerre mondiali. Il confine mobile non è altro che il capitolo più recente di questa storia, dove il paradosso dei confini è messo in luce da questa lotta fra una natura che si riconfigura di continuo e la necessità della misura di questo spostamento determinata da una norma di diritto internazionale che è molto difficile da cambiare. Da questo emerge con chiarezza come il concetto stesso di “confine naturale” perda di senso: anche quelli che sembrano più ovvi, come le Alpi, sono, in realtà, costrutti legali, tecnologici. Ogni scelta che ne determina esistenza e posizione non può essere che politica, in quanto la natura costantemente cerca, come dire, di scappare da queste definizioni che noi le diamo. Italian Limes lavora su questo tentativo di spingere all’estremo quest’idea di misura, per dimostrare quanto sia sostanzialmente impossibile stabilire un punto fermo nel continuum delle trasformazioni geologiche e ambientali, e come sia quindi assurdo pensare a un confine naturale di per sé.
AM: In qualche modo il vostro progetto rende evidente il paradosso che, appunto, i confini non sono mai “naturali”, rende evidente che i confini non sono definiti una volta per tutte, anche nel caso in cui non ci siano conflitti che li rimettono in discussione. Evidenzia che sono il risultato di processi politici…
IL: … sì, il progetto è sempre politico. Questo aspetto diventa ancora più evidente quanto più cerchiamo la precisione della misura, quanto più i nostri strumenti, come il GPS, ci permettono di essere accurati, quanto più cerchiamo di essere precisi, ma in realtà mettiamo in crisi la natura stessa di quello che stiamo cercando di misurare.
Se non disponessimo di strumenti così raffinati, paradossalmente, il problema del confine mobile non esisterebbe, perché sarebbe molto difficile osservare con sufficiente precisione lo spostamento della linea spartiacque anno dopo anno. Senza la possibilità di osservare la natura con questo sguardo così ossessivo, il legame fra scioglimento dei ghiacciai e conformazione del confine di stato sarebbe forse invisibile.
AM: In qualche modo chi in realtà ha l’interesse a mantenere questa concezione fissa e determinata del confine, ha servito su un piatto d’argento la possibilità di dimostrare che è tutto il contrario di quello che si crede, no? E anche il contrario di quello che si fa per mantenere questo “dogma”, che però si basa sul nulla, di fatto…
IL: Il confine mobile è una definizione brillante dal punto di vista legislativo, perché risolve in modo semplice ed efficiente una questione che, altrimenti, si trasformerebbe in un rompicapo diplomatico. Il caso del confine mobile sulle Alpi è anche un modello di cooperazione pacifica fra stati che potrebbe essere preso ad esempio per dirimere questioni geopolitiche di ben altra scala e portata – penso a tutti quei territori che si stanno trasformando velocemente a causa del riscaldamento globale, dall’Artico all’Himalaya. Dal punto di vista filosofico, invece, è come se mettesse in crisi la natura stessa del concetto di confine come è inteso dalla modernità, come limite della sovranità nazionale di uno stato, poiché ne decreta l’indeterminabilità.
AM: Una delle traiettorie d’indagine del vostro progetto, come hai già accennato, è il rapporto tra geografia e politica: ci puoi descrivere brevemente come si configura questo rapporto e la sua importanza come strumento di indagine della realtà odierna (e perché no, futura)?
IL: Il rapporto tra geografia e politica è indistricabile, nel senso che quando guardiamo una carta geografica guardiamo sempre a una sintesi di processi e caratteristiche di un territorio e non al territorio stesso: fare una carta significa decidere che cosa vi faccio vedere e cosa invece decido di tralasciare.
AM: Infatti le stesse carte geografiche si differenziano già dal nome: quelle in cui sono rappresentati gli stati nazionali si chiamano appunto politiche, con la descrizione di un territorio suddivisa per confini…
IL: Anche quello che può essere un documento scientifico, come la rappresentazione fisica del territorio, ha una sua valenza politica: chi la disegna? Con che intento e per che pubblico la pensa? Con quali tecnologie sono stati raccolti i dati che informano la rappresentazione?
AM: Praticamente la vostra indagine è un po’ simile a quella che fa, che dovrebbe fare, uno storico nel valutare le proprie fonti, mi viene da pensare…
IL: In parte sì, nel senso che cerchiamo sempre di lavorare a cavallo tra la ricerca in archivio e l’intercettazione di tematiche contemporanee. Non essendo degli storici, utilizziamo questo tipo di ricerca per capire un po’ l’origine di certe dinamiche che osserviamo nell’oggi. Come una rappresentazione cartografica non è mai un documento neutro, così la tecnologia: tutti gli strumenti con cui operiamo nel mondo sono stati progettati da qualcuno, con un intento preciso. Noi in generale cerchiamo sempre di mantenere questa forte politicizzazione dello sguardo, semplicemente per far capire come, appunto, la complessità è ovunque e dobbiamo sempre essere in grado di decodificarla e renderla leggibile senza perderne i dettagli – sia quando si guarda alla storia, al passato, sia quando si guarda al futuro.
Lo scioglimento dei ghiacciai, oltre ad avere una conseguenza nel tracciamento dei confini italiani, ci permette di considerare anche altri temi legati al cambiamento climatico, che riguardano l’amministrazione del territorio, la gestione delle acque, e le conseguenze di processi globali su un territorio locale. Quello che vediamo succedere qui (ma come in moltissime altre aree del pianeta) è il frutto di una storia e di politiche che non appartengono a quella realtà geografica, ma che hanno conseguenze molto concrete perché viviamo in un mondo complesso e strettamente interconnesso.
AM: Quanto hai appena detto, le conseguenze su chi vive in aree in cui gli effetti del mutamento climatico sono già esperibili, mi sembra un buon aggancio al dibattito in cui vi abbiamo invitato a partecipare durante la nostra festa. Sarete infatti chiamati a intrecciare le vostre riflessioni con quelle di Matteo Meschiari – antropologo e scrittore che in Artico nero racconta le conseguenze sulla vita delle popolazioni artiche a seguito degli sconvolgimenti climatici – e Wu Ming 1 – che si è già occupato in alcuni suoi libri di montagne, quindi del rapporto geografia e politica – e ora sta lavorando al progetto Blues per le terre nuove.
Per noi di Alpinismo Molotov risulta più congeniale approcciare le questioni da punti di vista non usuali e in forma non frontale, nel tentativo di aprire alla vista prospettive differenti. Voi avete indagato lo scioglimento dei ghiacciai – conseguenza diretta del cambiamento climatico in atto – con una prospettiva obliqua. In qualche modo ci pare che questo sia un tratto che ci accumuna, la ricerca di un “diverso rilievo”, che ne pensi?
IL: Mi sembra sia una definizione abbastanza pregnante perché i confini mobili, queste creste di ghiaccio che si spostano di continuo e sembrano sfuggire allo sguardo cartografico, sono letteralmente un “diverso rilievo”, no? C’è una forte risonanza su questo tema, da tutti i punti di vista.
AM: Quindi anche voi, mi confermi, ritenete importante cercare punti di vista che siano in qualche modo spiazzanti.
IL: Sì, assolutamente. Non dobbiamo mai spaventarci di fronte alla complessità, ma cercare di creare più collegamenti possibili attorno a temi che apparentemente sono fra loro slegati ma che in realtà risultano strettamente connessi quando li si guarda più a fondo. Il confine mobile mette in crisi alcune strutture del pensiero moderno che diamo per scontate, e che, ad esempio, ci dicono che alcuni modi in cui organizziamo la realtà sono più “naturali” – e, quindi, legittimi – di altri: non è così, tutto è frutto dell’attribuzione di un significato preciso, figlio di scelte che si possono mettere in discussione.
AM: Sì, retroattivamente poi anche quelle questioni come lo scioglimento dei ghiacciai e la rilevanza di questo fenomeno dal punto di vista filosofico e politico, se osservati dal vostro punto di vista, ne fa emergere l’importanza. O comunque ti fa capire che può essere un punto di osservazione privilegiato…
IL: Sì, perché banalmente, volendo insistere, non è vero che questo confine con l’Europa di Schengen sia scomparso. Dal 2014 (quando abbiamo iniziato il progetto) ad oggi i controlli a molti valichi di confine sono stati ripristinati, rendendo evidente come i trattati di Schengen siano reversibili, una condizione storica privilegiata e fragile: lo scenario di un irrigidimento permanente dei confini sta diventando sempre più concreto con il cambio del clima politico globale a cui stiamo assistendo negli ultimi mesi.
La misura dello spostamento della linea di confine a 3.500 metri di quota, attraverso un ghiacciaio, diventa quindi un simbolo molto potente della presenza di questi confini!
AM: Poi a mettere in crisi questi dispositivi possono essere anche fenomeni che non sono endogeni, come noi immaginiamo, che i confini interni all’Europa possono mutare solo se mutano i rapporti tra singoli stati nazione all’interno dell’Unione Europea, ma possono cambiare perché determinati da fattori esogeni, come i flussi migratori che a loro volta, spesso, sono anche una conseguenza dei cambiamenti climatici. Quindi c’è un ritorno di tutti questi temi che circolano. Noi qualche mese fa abbiamo pubblicato un post intervista a Luigi D’Alife proprio sulla questione di Bardonecchia e del confine, il colle della Scala che viene attraversato dai migranti, e appunto il titolo era Alpi, confine reale e disumano. L’idea era proprio quella di evidenziare che questi confini, che ormai noi diamo per scontato che risultino quasi fittizi, lo sono solo fino al momento in cui a chiedere di attraversarli sono certe persone…
IL: Certo, i confini contemporanei sono filtri complessi che selezionano chi e cosa li può attraversare: sono un sistema territoriale che riconosce e discrimina gli individui in base alla loro cittadinanza, lingua, gruppo sociale di appartenenza, ricchezza. Diversamente da quanto possa sembrare osservando una carta geografica, i confini internazionali non sono quasi mai una linea, ma un arcipelago lineare fatto di infrastrutture di controllo, sistemi di polizia, zone d’eccezione.
AM: In ultimo, oltre a trovarvi in rete e potervi ascoltare prestissimo dal vivo alla nostra festa, c’è in preparazione qualche evoluzione per il progetto?
IL: Finora il progetto ha preso la forma di una serie di campagne glaciologiche, installazioni interattive, tavole rotonde, e un sito web su cui la genesi e i temi di lavoro sono illustrati in maniera abbastanza approfondita. Siamo stati più volte sul ghiacciaio del Similaun, che abbiamo preso ad esempio per lo studio del confine mobile e che abbiamo misurato per generare i dati grazie ai quali abbiamo potuto realizzare molte visualizzazioni interattive. Come ultimo capitolo del lavoro, è in programma la pubblicazione di un libro che vedrà la luce in autunno di quest’anno per i tipi di Columbia University Press e ZKM—Center for Art and Media. Il libro conterrà anche contributi esterni, fra cui una conversazione con Wu Ming 1, una con il gruppo di glaciologi con cui abbiamo collaborato per la componente scientifica del progetto e, infine, alcuni saggi di docenti e studiosi internazionali che si occupano di territorio e geopolitica. Ci sarà anche un testo sul rapporto tra il colonialismo interno ed esterno all’Italia, in particolare durante il fascismo.
AM: Beh, speriamo che lo traducano, che venga pubblicato anche in italiano…
IL: Per il momento il libro sarà in edizione internazionale, solo in lingua inglese – del resto il progetto ha sempre avuto una visibilità più internazionale che italiana, anche per l’ambito in cui è nato, la Biennale di Venezia, una mostra che avviene in Italia ma in dialogo con un pubblico molto più ampio. Speriamo anche noi che il libro possa suscitare interesse e poter poi godere di una traduzione in italiano.
Le immagini e le fotografie utilizzate sono di Studio Folder, che ringraziamo per la concessione d’uso.