Da tempo nella mailing-list di Alpinismo Molotov è viva una discussione su uso dei rifugi, conseguenze delle attività da questi proposte sull’ambiente montano e contesti.
La vocazione originaria dei rifugi alpini è via via cambiata nel tempo, la montagna – o meglio, la presenza umana in montagna – banalmente non è immune dai mutamenti sociali che viviamo quotidianamente a valle. Capita così che la notizia di iniziative organizzate in qualche rifugio che paiono del tutto aliene dall’ambiente montano ci pongano di fronte una serie di domande (oltre a una reazione a caldo di indignazione): esiste un limite che definisca ciò che è legittimo e sensato proporre in montagna? Se esiste, è immaginabile tracciarlo in modo definitivo? Ha senso farlo? Rispondere non è facile, soprattutto volendo evitare di farlo in modo dogmatico, mantenendo l’equilibrio tra la necessità di tutela di un ambiente naturale fragile come quello delle “terre alte” senza cadere in una visione purista e un po’ nostalgica. Perché in campo entrano una serie di elementi di cui tenere conto, fattori culturali (come pensiamo, è stata pensata e penseremo la montagna), ambientali e anche economici; più nello specifico: i diversi contesti in cui sono presenti rifugi, i rifugisti con le loro necessità e le loro differenti idee di montagna, le caratteristiche contemporanee del turismo, i profili socio-culturali dei potenziali frequentatori di un rifugio.
Un modo per portare allo scoperto questa discussione ci è stato offerto pochi giorni fa, quando abbiamo ricevuto una lettera aperta sulle attività proposte dal rifugio Giovanni e Olinto Marinelli, situato nelle Api Carniche. In particolar modo l’iniziativa più discutibile – che si ripete da qualche anno, sollevando a ogni edizione critiche (si veda questo post su Gogna Blog)– è una festa in quota con musica da discoteca sparata dalle casse e molta gente presente, perlopiù scorrazzata al rifugio su mezzi motorizzati. Un caso, questo del Marinelli, significativo e che insieme ad altre notizie che si trovano sulla stampa anche in questi giorni – come la chiusura del rifugio Guido Lorenzi sul gruppo del Cristallo a seguito della chiusura dell’ovovia che permetteva di raggiungere comodamente il rifugio… – pongono la questione di quale futuro immaginare per i rifugi in montagna.
Pubblichiamo quindi a seguire la lettera aperta, in attesa di tornare in futuro a indagare il tema con nuovi post. Certo è che – pur non volendo sacrificare alla presa di posizione un’analisi che tenga conto della complessità di questi argomenti – su alcune iniziative non si discute, che sia l’éliski (ma anche l’éli senza ski), il bob estivo o i disco party in quota, la nostra risposta è una e una sola: «no, grazie».
Lettera aperta
La montagna. Un’ascesa emozionale con sfumature diverse per tutti e tutte, uno dei pochissimi angoli rimasti in un mondo frenetico, consumista ed omologato ove la natura pare fare il suo corso, ove per una volta s’ha da adattarsi a tempi e ritmi scanditi dall’ambiente, ove il reale si riappropria della sua centralità, dilatando spazio e anime.
Montagna, ove vivere diviene vera e propria resistenza. Per i montanari l’ospedale è a valle e il medico condotto appare solo per qualche giornata. Le scuole passano per lunghi viaggi in corriera così come spesso accade per poter mantenere la propria famiglia. Servizi quasi illimitati per chi la usa pochi mesi come parco giochi, mentre le sue genti restano abbandonate per il resto dell’anno.
Nonostante queste contraddizioni c’è chi, caparbio, s’aggrappa alla propria terra sbilenca, scomoda e dura con la dignità che merita, con l’ostinazione tipica del nostro popolo, contrastando le centinaia di borghi fantasmatici, costituiti spesso da ruderi o da case vacanza utilizzate alla spicciolata.
La Mont, cussì la clamin in marilenghe, è anche uno spicchio di libertà, di contatto con il tutto, che ci riporta ad un’armonia svanita in altri luoghi, ad una realtà fatta di lentezza e sudore, ad un essenziale che rende patetico ogni bisogno indotto, a respiri lunghi e profondi, ad alimentare lo stupore ad ogni passo. Tanti e tante continuano con quel sudore a mantenere vivi i trois (sentieri) della memoria che furono dei contrabbandieri, dei soldati, dei carbonai, delle genti tutte che si spingevan per la fienagione fin sotto i dirupi o che scippavano i loro boschi con lealtà. Sentieri che oggi son percorsi da chi non ci sta a rinchiudersi in un Outlet, da chi non riesce a riempirsi l’anima senza ascoltar silente il respiro del tutto, da chi freme alla vista dei nostri camosci, devoti alla fuga, da chi si cura dall’alienazione sfiorando il cielo.
Oggi la vedo svilita ed umiliata, calpestata da interessi e da un business tipico della voracità della piana. Non è una novità, ma nella nostra terra, coscienza e rispetto hanno difeso il territorio da trasformazioni che in altre regioni l’han asservito a meri interessi, stravolgendolo per sempre. Facilitando ascese mitiche della storia dell’alpinismo con funivie, sbancamenti, ferraglia varia.
La morfologia dei nostri monti ci è stata alleata e continuiamo spesso a viverli integri, contribuendo alla sussistenza delle genti che lì vi dimorano.
Tanti i punti d’appoggio in alta quota. I numerosissimi bivacchi, custoditi gelosamente e coccolati dall’amore di chi se ne è assunto la responsabilità, per renderli fruibili a tutti e tutte. Poi, i rifugi. Esser rifugista è (o dovrebbe essere) una scelta di vita, una dichiarazione d’amore per le terre alte, non una forma per sbarcare il lunario tentando d’arraffare l’arraffabile! Implicito è il rispetto per questi territori, la simbiosi con essi e l’importante funzione di formazione e di ricovero. Come quei locali invernali imposti dal CAI ed utilizzati dai pochi che continuano a vivere la montagna con qualsiasi clima ed in qualsiasi stagione.
Per qualcuno da anni non è così.
Nel corso dell’estate al rifugio Marinelli, in concessione CAI, si sono susseguite iniziative, alcune ben inserite nel contesto come tutte quelle che vengono proposte nei rifugi. Altre che fanno rabbrividire chi la montagna la sente scorrere nel sangue. Basta il taccuino pieno e sulla Cjanevate si può salire in elicottero! Non su una picca qualsiasi, sulla Cjanevate! Con le sue dolorose memorie storiche a percorrerla, con la sua asprezza a selezionare i pochi che si spingono su quella cresta. Cumò a baste pajà! Come ta citât!
Il clou si raggiunge con Scollinando, manifestazione che si ripete da anni nella più totale accondiscendenza di “istituzioni” come il CAI o la SAF. Discoteca e sagra (o meglio raffinato catering) d’alta quota. Baccanale orgiastica di rumori e vuoto importati dalla piana. Fotocopia di un’alienazione ben prezzolata che di solito dimora su arenili-formicai. Negazione del vento, delle rocce, delle nuvole, del respiro del bosco, del rispetto delle forme di vita che popolano questi luoghi ameni. Antitesi emotiva ed etica di coloro i quali vivono e/o frequentano la montagna.
Come spazio de-antropizzato, come spicchio di libertà altrui in cui entrare in punta di piedi, come rieducazione personale e scoperta dell’infinito che ci circonda.
Orecchie da mercante sulle denunce ed occhi velati su chi violenta la montagna!
Frotte di festaioli che salgono a piedi o magari con un SUV a far da navetta – a pagamento, s’intende. Musica ad alto volume percepibile a chilometri di distanza, che inonda e s’attacca alle vallate, che fa tremar cervi, camosci ed escursionisti. Fiumi di alcool e danze sui tavoli!
A questo vogliamo si riduca la nostra montagna? Questo è il turismo consapevole che vogliamo sviluppare? Magari associato ad una bella strada a pagamento con una bella spianata ove parcheggiare.
Per i San Tommaso di turno lascio il link dello Scollinando 2015, facilmente potranno reperire testimonianze video sui precedenti. Ma tanto si sta parlando di fatti di dominio pubblico.
Si risponde che è solo per un giorno all’anno, ma certo! Allora apriamo, come già è stato fatto, ben inteso con deroga speciale, le creste e le valli monticate alle traversate in moto enduro o perché no ai quad, ai rally d’alta quota, alla caccia di specie protette, alla ruberia delle ultime risorse naturali.
Si risponde che la vita nei rifugi è dura (ma nei nostri paesi di monte lo è anche di più). Guarda caso il rifugio Marinelli è l’unica struttura regionale in cui avviene questo scempio. Nelle altre passano pianoforti o violini, readings o conferenze. Perfino i rifugi più piccoli o quelli posti lontano da mete affollate come il Cogliàns (e che di problemi economici ne hanno!) non hanno mai osato spingersi a tanto! Perché son consci del loro ruolo, perché legati da un profondo rispetto dei luoghi. Perché la Mont non è un business da massimizzare a tutti i costi, è una gemma incastonata in delicati equilibri già devastati dall’antropizzazione selvaggia.
Basti pensare a come essa venga gestita nella vicina Slovenia, ove il rispetto e la consapevolezza sono raffigurati perfino nella loro bandiera, con il Triglav in bella mostra. Lì il salvadi, la mont sono una risorsa preziosa per l’economia di quelle genti. Essenziale, ma mai ridotta a luna park. La fatica è il primo prezzo richiesto per godere di tali magnificenze. Fatica e rispetto. Parole che fungevano da cardine anche per il popolo friulano che vede oggi svenduta la sua terra dai pochi che se ne dividono i profitti. Quei nomi dovrebbero essere sulle pagine dei giornali, i nomi di chi si gira dall’altra parte, di chi vuole cementificare, di chi deroga, di chi s’appropria, di chi avvelena.
Se proprio vogliamo nasconderci dietro il comodo paravento dello sviluppo delle comunità montane che cela interessi di cittadini ben vestiti e di habituè dell’intrallazzo, smettiamola di puntare sui modelli che hanno avvelenato la piana! Sviluppiamo un turismo etico e consapevole delle nostre ricchezze. Il tempo dei mostri di cemento che hanno ucciso per sempre località come Sella Nevea è finito: le alternative, anche messe in pratica nel piccolo (alberghi diffusi, parchi regionali, eco-musei ecc.), non mancano. Che la voce sia data a chi la montagna la abita, a chi da lei è costretta a fuggire, a quelli che vi ritornano con spirito rinnovato e rispettoso. Per gli altri, la piana con le sue porcherie e ruberie, è pronta ad accoglierli!
Romans dal Lusinç
Prin di Lui dal 2016.