Tremosine: a sinistra la strada della Forra, a destra il punto sommiate della frana
Una “semplice” frana
Nel corso di un soleggiato pomeriggio, il 16 dicembre 2023, un costone di roccia affacciato sulle sponde bresciane del Lago di Garda, a Tremosine, è precipitato in acqua. Nessun innesco particolare: nessuna presunta pioggia battente. Nessun sisma o lieve scossa registrati dai sismografi e nemmeno lavori di costruzione o scavo con utilizzo di mine a sollecitare la montagna. L’unica “anomalia” di cui si può dire è stata la temperatura alquanto mite per una giornata d’inverno.
Venti gradi per meglio dire, una tipica giornata da crisi climatica. Con ogni probabilità più “fredda” di quelle che vivremo di qui in avanti, nemmeno fresca rispetto allo storico di stagione. Va pertanto esclusa anche una delle tipiche cause dei crolli invernali: il ghiaccio che si gonfia e sgonfia come un mantice tra le rocce. Quello del 16 dicembre è lo smottamento spontaneo di una porzione di monte che cede sotto al proprio peso, una non-notizia, sia che la si analizzi sulla base della storia geologica del Garda, anche recente, sia che si presti invece attenzione alla morfologia delle sue sponde.
La frana di Tremosine
E allora, perché ce ne occupiamo?
Per un dettaglio significativo, legato all’antropizzazione intensiva della costa di questo lago.
Anzitutto, il cedimento ha trascinato con sé una parte dell’infrastruttura di depurazione delle acque che fornisce i comuni gardesani. Un danno ingente, se oltre alla popolazione residente pensiamo che Limone sul Garda ospita più di un milione di turisti all’anno.
In secondo luogo è stata danneggiata la via della Forra di Tremosine, una strada assai frequentata, realizzata nel 1913 al prezzo di un morto e mezzo per chilometro dei circa sei che misura.
Il reale motivo del nostro interesse per la vicenda, tuttavia, è che un’altra opera correrà proprio lungo quel sistema di falesie: la ciclopedonale del Garda, in fase di approvazione nei suoi tratti di Riva, Limone–Riva, Torbole.
Le condizioni della Forra a seguito del distacco
Le ciclabili: un’istantanea
Per come le si progetta e poi realizza, le ciclabili italiane sono spesso giocattolini costosi e improbabili, danni ambientali a uso turistico. Una ciclabile non è che uno strumento, quel che conta, che la rende o meno sana, è il modo con cui la si mette in relazione col contesto in cui è inserita.
Durante le alluvioni emiliane dello scorso maggio, ad esempio, l’argine del Senio ha ceduto perché la sua vegetazione era stata eradicata e sostituita da una lingua d’asfalto che, come ogni altro ostacolo all’esondazione del fiume, è stata spazzata via.
Un’immagine che parla da sé
Riflettendo sul perché di una ciclabile, su quale fine abbia, quali benefici possa portare alle comunità – umane e non – che attraversa, pensiamo che vada fatta una prima distinzione tra progetto di mobilità – urbana o meno che sia – e progetto turistico. Il proliferare di itinerari del secondo tipo distorce l’immaginario. La funzione primaria di una ciclabile è migliorare gli spostamenti, andrebbe cioè realizzata un’infrastruttura leggera, pensata per facilitare la mobilità in bicicletta e ridurre la circolazione delle automobili. Opere sempre più rare e realizzate sempre peggio: ciclabili che contendono spazio ai marciapiedi, che li dimezzano con un tratto di vernice; ciclabili che non tolgono spazio alla strada ma che la affiancano ai suoi margini, nella migliore delle ipotesi. Ciclabili spot. Così “strette”, e brevi, da essere inutili.
Strumenti trasformati in cantieri. Utili a accontentare qualche impresa edile.
Certo, osteggiare speculazioni edilizie conclamate è più facile che criticare il progetto di una ciclabile, di un “concetto green”. È anche però la mancanza di critica a consentire che si realizzino opere malfatte, disegnate senza nessuna competenza specifica in merito al loro tracciato, alla pendenza, alla gestione dei loro attraversamenti o spazi.
Piste del profitto in sostanza. Frequentate e contornate da oggetti irrilevanti.
Un passo di lato: le ciclabili “buone”
Parenzana e Tarvisio-Venzone. Un’altra ciclabilità possibile
Prima di tornare al Garda volgiamo lo sguardo altrove, a altri luoghi e modalità. Pur se a macchia di leopardo, è possibile imbattersi in piste sensate, che hanno saputo restituire al territorio una giusta dimensione.
La ciclovia dell’Alpe Adria ad esempio, nel suo tratto Tarvisio-Venzone, come la Parenzana, un percorso che attraversando l’Istria scavalca i confini italiano, sloveno e croato, rappresentano un intelligente lavoro di recupero. Più a Sud, un esempio non dissimile è quello del collegamento tra Lauria con la contrada di Pecorone, tre chilometri in falsopiano ricavati da un tratto ormai dismesso delle ferrovie calabro-lucane.
Questi percorsi sono progettati per correre su vecchi sedimi ferroviari abbandonati.
Dove un tempo sfrecciavano treni, ora pedala altro…
Riguardo agli adattamenti è necessario prestare attenzione, spesse volte le ferrovie vengono dismesse per ragioni economiche e sostituite con ciclabili, col risultato di impoverire ulteriormente il trasporto pubblico. Nei casi che abbiamo portato, le ferrovie erano abbandonate da decenni e non più utilizzabili per svariati motivi tecnici, ne era impedito l’utilizzo. Lungo i primi due percorsi, inoltre, villaggi mezzi abbandonati si stanno rivitalizzando, vi si sta sviluppando una microeconomia fatta di trattorie, negozi di alimentari, perfino una libreria a Chiusaforte, e qualche B&B.
Andata e ritorno: il bacino del Garda, la sua ciclabile
Per quale motivo il progetto del Garda non convince? Perché nonostante una frana che ha dissestato una strada pubblica e danneggiato un depuratore, ci si ostina a spingere il cantiere di una pista ciclopedonale che percorrerà i medesimi luoghi.
Per comprenderlo è necessario entrare nel merito della posizione che il lago occupa in rapporto ad alcune questioni rilevanti. Il Lago di Garda è il principale invaso italiano. Dal suo lato più meridionale, situato in quella Pianura Padana densamente abitata e inquinata, attingono a fini idro-potabili svariati comuni e prevedono di farlo in futuro anche città più o meno vicine. Sappiamo bene, però, che la qualità di un bacino non si misura soltanto in relazione alla quantità di acqua che è in grado di portare, alla sua “sfruttabilità”. Il Garda è un caso unico per l’elevata qualità delle sue acque nonostante lo scarso afflusso di ricambio, la maggior parte del quale affluisce direttamente dal sistema di ghiacciai dei massicci dell’Adamello, Presanella e Carè Alto. Un “sistema” delicato, a maggior ragione se si considera il suo profilo “ecologico”: il Carpione (Salmo Carpio), specie in via d’estinzione, si riproduce proprio in corrispondenza dei luoghi di frana.
Altra questione di assoluto rilievo è quella dello sfruttamento intensivo del territorio circostante. Il bacino rappresenta la seconda-terza area nazionale in termini di afflusso turistico, stando ai numeri elaborati dal Ministero.
Rappresentazione geografica delle principali destinazioni turistiche del Nord Italia (elaborazione su dati cartografia ISTAT)
È del tutto evidente come le prime tre aree per numero di presenze – Riviera Romagnola, Costa del Veneto, Lago di Garda – registrino singolarmente un afflusso turistico triplo rispetto alla quarta, la Costa Marchigiana, e che sommate attraggano più di un quinto degli arrivi e di un terzo delle presenze nazionali.
L’area del Garda si caratterizza poi per una serie di altre peculiarità: è l’unica delle aree a maggior “vocazione” turistica a non affacciarsi sul mare, vanta una cospicua porzione di territorio montano costituito da piccoli comuni non immediatamente collegati alle città ed è l’unica ripartita tra tre differenti Regioni, Lombardia, Trentino e Veneto. La sua sola porzione bresciana, quella interessata dalla frana, registra sette milioni e mezzo di presenze per un milione e settecentomila arrivi annuali, la “turistificazione” del Garda poggia insomma in maniera invadente su un territorio delicato.
In questo contesto un progetto come quello della ciclabile è specchio di buona parte di ciò che sta avvenendo lungo tutta la penisola: lo si “vende” come green, voluto da presunti “amici dell’ambiente”, tanto più che l’intera porzione montana della sponda ovest del Lago è iscritta nel Parco Regionale dell’Alto Garda Bresciano. Istituzione quest’ultima che dovrebbe tutelare il territorio ma che, complici meccanismi di “semplificazione” imposti per legge, si è trasformata in un organismo intercetta fondi. Sono infatti gli stessi Sindaci dei comuni aderenti ad aver funzione di controllo e garanzia della tutela ambientale e paesaggistica. Se aggiungiamo poi che l’interesse pubblico del luogo è stato in larga parte incamerato da élite economico-turistiche in grado di indirizzare le amministrazioni, il quadro si va componendo. Gruppi di pressione ottengono la realizzazione di opere, come quella del depuratore in un’area esposta a fenomeni di dissesto, e interloquiscono direttamente di progetti di sviluppo, anche della ciclabile, con i rispettivi centri di potere regionale. Lavorano in sostanza dentro alle dinamiche pubbliche. Da questo punto di vista il caso di Limone sul Garda, sul quale torneremo poi, è emblematico.
L’ambiente ciclabile: due Garda
Il rapporto tra sovra-utilizzo turistico e qualità ambientale relativamente elevata, rendono il Garda un luogo molto attrattivo per gli investimenti immobiliari. Su tutte, la storia di Campione del Garda, raccontata in una serie di articoli dedicati alla parete del Volo delle Streghe, in cui una speculazione edilizia che ha stravolto l’intero paese, è avvenuta a ridosso di una falesia di centinaia di metri poi franata.
È desolante ammetterlo, per quanto riguarda la ciclabile nella sua parte meridionale c’è con ogni probabilità poco da intervenire. Si tratta della porzione più aperta di Lago, fatta di lunghi tratti di costa sfruttati a uso turistico, e funziona da apripista. Anche dove gli interventi sono stati realizzati in luoghi critici, il contesto territoriale è talmente antropizzato che l’impatto di nuove opere non è percepibile in tutta la sua violenza.
Lo stesso non si può dire del Garda settentrionale, qui la criticità dell’idea stessa di ciclabile è il forte impatto che avrà sugli ultimi tratti di costa preservati. Tratti “salvi” non per chissà quale lungimiranza, ma proprio per l’enorme rischio idrogeologico a essi associato.
Una ciclabile costellata di reti paramassi, testimonianza della fragilità del territorio alto-gardesano
La Provincia di Trento, ente capofila presieduto da Maurizio Fugatti, considera la ciclabile «prioritaria», e deciderà a breve della sua prosecuzione. Noi per contro registriamo come le opposizioni si siano invece saldate, definendo l’opera «inutile, costosa e pericolosa».
Il caso Limone
A proposito delle capacità di condizionare le politiche sovracomunali descritte poc’anzi, due righe vanno senz’altro spese per dar conto del caso Limone. L’operazione ciclabile prosegue perché Limone sul Garda ha già realizzato il proprio tratto a sbalzo di un paio di chilometri al costo di settemila euro al metro.
Una passerella a sbalzo che vanta ottimi numeri di frequentazione, ma che nulla ha a che vedere con una fruizione cicloturistica effettivamente rispettosa del territorio, oltre a essere foriera di dubbi sui pericoli ad essa correlati. Il vicesindaco della cittadina rivendica il successo dell’opera esortando a porre l’attenzione sui parcheggi sempre pieni, sorvolando sul fatto che per frequentare la ciclabile si intasi ancor più di auto la zona. Non immaginare un sistema di trasporto pubblico integrato resta il grande vulnus di questo modo d’agire.
Riassumendo e concludendo: il comune di Limone, il cui territorio ricade entro un Parco Regionale che dovrebbe monitorare e indirizzare, ha realizzato un proprio tratto di ciclabile che rappresenta l’ennesimo esercizio di arte ingegneristica italiana fine a sé stessa, se non a uso dei potentati economici locali. E l’operazione Limone sta facendo sognare il resto della cordata, quella che vuole a ogni costo l’anello a sbalzo nella sua parte settentrionale, nonostante questi sia in corrispondenza dei tratti più delicati e pericolosi della costa gardesana.
tuco
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Nelle zone pianeggianti e collinari ci sono innumerevoli strade campestri sterrate che potrebbero diventare “ciclovie” con pochissima spesa: si tratterebbe di sistemare il manto, colmando le eventuali buche (che con la pioggia diventano pozzanghere), e garantendo la manutenzione necessaria alla copertura in macadam. Spesso anche le strade vicinali, pur se asfaltate, sono talmente poco frequentate da poter essere automaticamente inserite in un percorso ciclabile. Ovviamente questo tipo di approccio e di interventi non sono appetibili per il complesso politico-cementistico che governa i territori. Non sono nemmeno “instagrammabili”: se a una ciclovia o a qualunque altra cosa non ci appiccichi un tagliere di affettati tipici eataliani, una bicicletta di design da 6000 euri, una “splendida cornice” e una bella ragazza bionda e ben pettinata, sei un povero stronzo.
Redazione_am
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Ieri La Busa ha ospitato il parere di Gianluca Frizzi, consigliere comunale e ex sindaco di Tenno. https://labusa.info/gianluca-frizzi-la-ciclovia-del-garda-vera-alternativa-al-traffico
Intervista sghemba, zeppa di frasi assurde e banalità. «La natura è totalmente indifferente all’uomo» dev’essere ad esempio una sua recente scoperta. Non si spiega altrimenti la necessità di farcelo sapere.
Nemmeno il tempo di sgranare gli occhi, che continua: «Se ora ragionassimo come gli ambientalisti, allora andrebbe chiusa anche la Statale perché se non va bene la ciclovia, per uniformità di pensiero neanche la strada è sicura».
Tentativo di argomentare furbo, finto-lineare.
Tentativo furbo perché i motivi di opposizione alla ciclabile sono molteplici, non soltanto la sua pericolosità.
Finto-lineare perché la strada c’è già, non sarebbe forse il caso di mettere in sicurezza quella (o il depuratore), anziché investire milioni in qualcosa pensato male e che sollecita ulteriormente la montagna?
No, perché «La verità è che il “rischio zero” non esiste» (segniamocela tutti, tornerà utilissima alla prossima misura repressiva in nome del securitarismo). Esiste però l’accanimento terapeutico, ben vengano infatti «gallerie naturali e artificiali dove sarà necessario».
Del resto «I numeri» di un percorso che ancora non c’è «dicono che […] diminuiranno di fatto le automobili». Come a dire che la gente non dovrà più raggiungere o andarsene dal Garda in auto, per scaricare scaricare la bici.
Probabilmente davvero nella visione di Frizzi la ciclabile non è qualcosa di turistico e “instagrammabile” come si legge ovunque, forse lui davvero crede che lo scopo primario di questa ciclabile sia la mobilità in sella a «E-bike che daranno la possibilità a tutti di sostenere lunghi tragitti ed ammirare le meraviglie del Garda». Panorama da dentro le gallerie, beninteso.
Basta così, la battuta sul battello la lasciamo a altri.
Redazione_am
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Domenica 04.02 Report ha dedicato il servizio di apertura ad alcuni casi relativi al Lago di Garda, tra i quali Limone e Riva, comuni interessati dalla pista ciclabile di cui abbiamo trattato. È evidente come le amministrazioni locali utilizzino a proprio piacimento l’insieme delle norme e dei vincoli pensati per la tutela del paesaggio e dell’ambiente.
Ne è emerso un racconto fatto di amministrazioni che operano investimenti pubblici con lo scopo di portare beneficio al comparto ricettivo, categoria influente sugli equilibri del potere locale. Ci risulta arduo pensare che sindaci che sanno «credere nelle risorse del territorio» lo facciano senza calcolare gli effettivi benefici alla cittadinanza, tantomeno pensando ai costi paesaggistici e ambientali del territorio. È questa un’ottica fideistica, quali benefici pubblici apportano ponti tibetani, spa di lusso o ciclabili deturpanti, oltre che inservibili ai ciclisti?
Facciamo questa premessa sulla responsabilità delle amministrazioni locali perché nei giorni intercorsi tra la nostra pubblicazione e la messa in onda del servizio su Rai Tre, il Parlamento si accinge a definire nuove regole costituzionali con l’obbiettivo dichiarato di eleggere il Sindaco di Italia. Introdurre norme plebiscitarie per trasformare l’elezione e l’operatività della presidenza del Consiglio in qualcosa di che assomiglia alle dinamiche amministrative appena descritte, e in parallelo togliere o aumentare il limite di numero di mandati possibili per i sindaci di piccoli comuni è qualcosa di poco rassicurante.
Torniamo alla ciclabile gardesana: scrivevamo che la materializzazione dell’opera è dovuta alla protervia di Limone sul Garda, in cui il peso degli albergatori è enorme. Il piccolo comune ha realizzato con risorse proprie il solo tratto a sbalzo ora esistente, dimostrando la potenziale fattibilità dell’opera alla vicina amministrazione trentina. Con la norma che consente il plebiscito a vita dissimulato da elezione, quante altre opere assurde sorgeranno in giro per l’Italia?
Quante altre ciclabili, ponti tibetani, spa di lusso ecc. saranno realizzati grazie a sindaci a vita in nome di un presunto «sviluppo economico»?
Riguardo alla parte di trasmissione relativa alla ciclabile-mostro, essa rispetta pienamente il genere Report: grande spazio al visuale, denuncia di impatto paesaggistico, pericolosità rappresentata dalle falesie incombenti, costi fuori controllo, e conseguente scenetta di politici in fuga. È però del tutto mancata una riflessione anche soltanto accennata circa il greenwashing e l’effettiva verifica del senso di un’opera in rapporto alle finalità dichiarate. Allo stesso modo non è stato sfiorato il nocciolo della nostra premessa: l’esplicitazione cioè delle dinamiche di potere locale che rendono possibile partorire mostri del genere, sul Garda o altrove.