Che le Alpi siano tornate a essere attraversate forzando e raggirando il confine è oramai un dato di fatto conclamato. Chi non ha le carte in regola – e non per modo di dire, ma letteralmente – da alcuni anni compie attraversate improvvisate e pericolose, anche invernali, dei passi alpini. In particolar modo si è spesso fatto riferimento alla cosiddetta “rotta valsusina” verso la Francia, lì dove hanno preso forma iniziative di solidarietà attiva con le e i migranti, cortei sulla neve (qui raccontammo a nostro modo la giornata “Briser les frontières”), ma anche dove sono state messe in scena coreografie “alpinazi” con presenza di fascisti e nazisti in montagna (ricordate “Defend Europe – Mission Alpes” e “Generazione identitaria”?) su cui scrivemmo già a suo tempo parole incontrovertibili:
Per noi la montagna è altro, è innanzitutto luogo di memoria e di resistenza, di incontro e confronto. È solidarietà.
Luigi D’Alife segue da anni, come attivista e videomaker, la situazione al confine in alta Valsusa. A inizio 2018 lo intervistammo per Alpinismo Molotov proprio sulla situazione tra Bardonecchia e il Colle della Scala, evidenziando già nel titolo di quel post che le Alpi, ahinoi, erano tornate a essere «confine reale e disumano». Circa un anno dopo una nuova intervista, con Claudio Cadei e Nicola Zambelli, incentrata sul loro progetto The Milky Way, un docufilm il cui tema centrale è proprio l’attraversamento da parte delle e dei migranti del confine italo-francese, allora in lavorazione e in cerca di sostegno attraverso un crowdfounding (a cui anche Alpinismo Molotov partecipò).
Con piacere segnaliamo che The Milky Way è ora terminato e sono state annunciate le date delle anteprime (che trovate nella locandina pubblicata sotto). Ci auguriamo che il docufilm trovi spazio nella programmazione delle sale e che in molte e molti lo vedano.
In questi stessi giorni, all’estremo opposto dell’arco alpino, la situazione al confine italiano lungo la cosiddetta “rotta balcanica” registra una nuova tappa di disumanizzazione con la proposta di installare lungo i sentieri del Carso delle fototrappole «per individuare in tempo reale i transiti di immigrati irregolari», come ha dichiarato l’assessore regionale alla sicurezza, Pierpaolo Roberti. Individuare e catturare, questo l’obiettivo che porta gli “imprenditori della paura” ad alimentare un discorso pubblico teso alla costante criminalizzazione delle migranti e dei migranti e alla continua crescita di un sistema repressivo che, per restare al Friuli-Venezia Giulia, va dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Gradisca d’Isonzo – lì dove sabato scorso, 18 gennaio, è morto Vakhtang Enukidze cittadino georgiano, secondo alcune testimonianze morto per mano degli stessi che lo avevano in custodia – alla boutade sulle fototrappole.
Queste fototrappole, di cui ora si propone la barbarie dell’uso per la caccia a chi viola i confini, sono gli stessi dispositivi utilizzati a scopo scientifico per il monitoraggio della fauna selvatica, in particolar modo di lupi e d’orsi. Nell’apprendere questa notizia è stato per noi automatico collegarla con il discorso sul “lupo animale politico” che affrontammo con il guardaboschi Luca Giunti in un’intervista in due parti, la cui seconda parte, significativamente, venne pubblicata sotto al titolo “il lupo è un clandestino”.
Allo stesso tempo ci sembra interessante far notare come l’uso delle foto-trappole sia passato da un’iniziale uso a fine scientifico (per lo studio della fauna selvatica), quindi presentato come neutrale (se non positivo: la scienza, la ricerca, ecc.), per poi essere utilizzate dai bracconieri e – per contrastare quest’ultimi – dalle guardie forestali, quindi un uso motivato da una causa giusta, per arrivare ora alla caccia di uomini e donne sans-papiers. Anche in questo caso – come per il controllo sociale pervasivo e la valorizzazione capitalistica delle relazioni sociali attraverso i social network, di cui si è scritto e si discute qui – la storiella della «rana nell’acqua che bolle» è una metafora azzeccata e chiarificatrice, quanto agghiacciante.