Lo scorso 15 marzo si è tenuto, presso il CSA Magazzino 47 di Brescia, un incontro organizzato da APE Brescia dal titolo Il cambiamento climatico si beve i ghiacciai. Il relatore dell’incontro era Andrea Toffaletti, da 15 anni operatore del Servizio glaciologico lombardo. La sua relazione si è aperta partendo da elementi generali di glaciologia, per passare poi allo specifico delle condizioni attuali dei ghiacciai alpini e, in particolare, di quelli adamellini. La documentata e ricca relazione è stata registrata e l’audio si può ascoltare a questo link, dove è possibile anche scaricare le slide utilizzate come supporto visivo alla relazione.
A margine di questo incontro, abbiamo posto alcune domande ad Andrea e oggi pubblichiamo l’intervista: così come per l’iniziativa di APE Brescia, anche noi abbiamo cercato di toccare nell’intervista argomenti più teorici e generali, per poi entrare nello specifico dell’area dell’Adamello, comunque significativa rispetto alla generalità dell’arco alpino, di cui Andrea ha maggiore conoscenza.
La pubblicazione di questa intervista ci offre l’occasione per segnalare, sempre in tema di ghiacciai e riscaldamento globale, la recente pubblicazione del volume curato da Italian Limes dal titolo A Moving Border. Alpine Cartographies of Climate Change (Columbia University Press, 2019). La pubblicazione era stata incidentalmente anticipata dal nostro blog circa un anno fa, nell’intervista alla crew di Italian Limes, che sarebbe stata ospite a Diverso il suo rilievo 2018, intervista significativamente intitolata I confini della patria nella lunga estate calda.
In questo volume, che rappresenta in qualche misura la summa del progetto quinquennale sviluppato da Italian Limes, il rapporto tra ghiacciai e mutamento climatico è interrogato dal punto di vista storico-geografico, quindi eminentemente politico. È stato questo “diverso rilievo” che sin dal primo contatto con il progetto Italian Limes ci ha affascinato, perché mostra in tutta evidenza la capacità di penetrazione di uno sguardo obliquo in un tema “molare”, come, nello specifico, quello dei confini e, quindi, dello Stato-nazione e della sua costruzione storico-politica. E ancora, la capacità di individuare e hackerare lo strumento-concetto di «confine mobile», facendone un attrezzo atto a sabotare l’aura trascendente del dispositivo che comunemente chiamiamo “confine”.
Tra i contributi presenti nel volume è presente una conversazione tra Italian Limes e Wu Ming 1 – pubblicata in lingua italiana su Giap –, ulteriore slittamento di prospettiva che permette di evidenziare con ancor maggiore forza che
l’idea di «confine naturale» è in realtà il prodotto di una precisa narrazione storica, politica e geografica, e ci si apre davanti agli occhi una verità più ampia: il cambiamento climatico mette in discussione dalle fondamenta l’idea stessa di sovranità territoriale.
Il cambiamento climatico si beve i ghiacciai. Intervista ad Andrea Toffaletti
AM: Tu sei un operatore del Servizio glaciologico lombardo (SGL), un’associazione scientifica no-profit che dalla fine degli anni Ottanta monitora i ghiaccia lombardi con campagne annuali. Prima di tutto, ci racconti brevemente quali sono i soggetti con cui collabora il SGL per monitorare i ghiacciai presenti in Italia?
AT: Il Servizio glaciologico lombardo fa parte di un più ampia rete che racchiude tutte le associazione regionali che operano sull’arco alpino. In Piemonte opera la Società meteorologica italiana, in Trentino il Comitato Glaciologico Trentino, in Alto Adige c’è il Servizio glaciologico Alto-Adige, anche in Veneto esiste un monitoraggio così come in Valle d’Aosta con la Fondazione montagna sicura. Siamo tutti coordinati dal Comitato glaciologico italiano, che è l’associazione nazionale, nata nel 1914, dove confluiscono tutti i dati delle campagne glaciologiche che vengono poi pubblicati su Geografia fisica e dinamica quaternaria. Lì si fa il punto sulla situazione dei ghiacciai alpini ed appenninici, per quest’ultimo settore il monitoraggio avviene per il Ghiacciaio del Calderone che viene ancora considerato un ghiacciaio vero e proprio, anche se ormai è da considerarsi un glacionevato avendo perso quasi completamente la sua dinamicità
AM: Qual è la situazione dei ghiacciai alpini?
AT: La situazione è ovviamente negativa per tutti i settori alpini: ci sono settori che alcuni anni beneficiano di nevicate più importanti di altri ma in definitiva il trend è negativo ovunque. Soprattutto sulle Alpi Occidentali e Sud-Occidentali, come le Alpi Marittime, si è registrato una netta e veloce deglacializzazione, ma in tutte le Alpi, la situazione è la stessa: una forte accelerazione del regresso glaciale. La caratteristica che si è venuta a creare negli ultimi anni è che la “linea di equilibrio”, chiamata fino a qualche anno fa “limite delle nevi perenni”, si è portata dai 2.950 m slm degli anni Novanta fino oltre i 3.200-3.300 m slm del periodo attuale. La linea di equilibrio è quella linea dove il bilancio del ghiacciaio è uguale a 0 e che suddivide il ghiacciaio stesso in una zona a monte dove prevalgono gli accumuli (neve, valanghe, accumuli eolici) e una a valle dove sono preponderanti le perdite, variando di quota in funzione delle condizioni climatiche. Di conseguenza sono ormai ben poche le zone delle Alpi che sono interessate da un glacialismo in equilibrio, con l’attuale fase climatica, e attivo. In Lombardia l’unica zona dove, nelle ultimi difficili annate, si è conservata neve alla fine dell’estate, è quella dell’Altopiano di Fellaria, in Val Malenco, a sud della cima del Bernina, un altopiano posto attorno tra i 3.400 e i 3.600 m slm dove si registra – grazie al cielo! – una permanenza di neve residua anche a fine estate.
In annate come quella attuale e quelle degli anni precedenti stiamo assistendo a precipitazioni invernali decisamente scarse o tardive che, con le temperature estive sempre più elevate, fanno sì che i ghiacciai rimangano privi della copertura nevosa già all’inizio del mese di agosto. La quantità di neve dei mesi autunnali è la più importante per il glacialismo, sia per la generale maggiore densità della neve stessa, sia poiché quest’ultima ha la possibilità di consolidarsi nei mesi invernali risultando quindi maggiormente resistente ai processi di fusione della tarda primavera / estate.
AM: Cosa si intende con “ghiacciaio attivo”?
AT: Per ghiacciaio attivo si intende un ghiacciaio in cui sussiste dinamicità, dove sussiste un trasferimento di massa dalle zone più a monte verso quelle più a valle dovuto all’accumulo della neve e al trasferimento di massa, dalle zone più elevate verso quelle poste a quote inferiori. Ultimamente stiamo assistendo anche a una diminuzione di questo flusso proprio perché a monte, nei bacini di accumulo, non rimane più neve residua dell’inverno e, di conseguenza, viene a mancare l’alimentazione stessa del ghiacciaio. Quest’ultimo, più che fluire verso valle fonde sul posto. Sta diminuendo sempre più, in generale, la dinamicità dei ghiacciai delle Alpi lombarde, specie per quelli di più limitate estensione. Molte lingue glaciali stanno lasciando il posto a pittoreschi laghi proglaciali. Anche sul ghiacciaio dell’Adamello, dove la linea di equilibrio si pone sempre più frequentemente oltre i 3.300 m slm, non rimane più neve residua alla fine dell’estate e il ghiacciaio si ritira e sempre meno massa viene trasferita da monte verso valle, una caratteristica che è appunto fondamentale per definire un corpo di ghiaccio, un ghiacciaio. Se un corpo di ghiaccio è privo di tale caratteristica, viene denominato in termini tecnici glacionevato. Molti sono stati i ghiacciai che negli ultimi decenni si sono trasformati in glacionevati.
AM: Dato che citavi l’Adamello, si tratta di un ghiacciaio particolare per conformazione, questa particolarità lo espone più o meno alle condizione climatiche attuali?
AT: Eh, siamo lì lì per cambiargli la definizione morfologica… diciamo che l’Adamello era ed è tutt’ora uno dei ghiacciai più belli e caratteristici delle Alpi. Sia perché è il più vasto delle Alpi italiane – il ghiacciaio del Mandrone – Pian di Neve ha una superficie superiore a quello dei Forni in Ortles – Cevedale, – sia perché era un ghiacciaio di tipo scandinavo, ossia un ghiacciaio di “altopiano con lingue radiali”: da un corpo centrale si irradiavano varie lingue o effluenze: Mandrone, Lobbia, Adamé, Salarno. La stessa conformazione del ghiacciaio, un grande altopiano con limitate differenze di altitudine, lo rende estremamente dipendente dal variare della quota della linea di equilibrio: quest’ultima, risalita oltre quota 3300 m, fa sì che tutto il ghiacciaio si venga a trovare al di sotto di tale linea e quindi rimanga del tutto privo di neve residua dell’anno su quasi tutta la sua vasta superficie al termine dell’estate, privando il ghiacciaio della sua alimentazione.
AM: Le lingue oggi però risultano “segate”…
AT: Fino a non molti anni fa il Passo della Lobbia Alta, per esempio, era glacializzato, ora non più. Così come vari settori del vasto complesso glaciale adamellino sono rimasti scollegati dal corpo principale a causa del ritiro glaciale. Paradossalmente aumenta il numero dei corpi glaciali ma al contempo si riduce la superficie totale dei ghiacciai stessi. Le effluenze del complesso glaciale adamellino inoltre si stanno riducendo velocemente e ormai si sono ritirate quasi completamente sopra il gradino glaciale.
AM: E quindi questo comporta che la fusione è più rapida?
AT: Diciamo che una volta che vengono a giorno finestre rocciose, si ha un’accelerazione della dissoluzione glaciale: le rocce si scaldano e aumentano il tasso di fusione del ghiaccio attiguo. Si registra quindi un feed-back positivo, nel senso che il fenomeno sopra descritto accelera la fusione in maniera esponenziale.
AM: Da anni sul ghiacciaio del Presena – ma anche in altre zone, come a Livigno – vengono posti teli geotermici su parti del ghiacciaio, almeno per quelle aree interessate dalle piste di sci…
AT: Nel corso degli anni il Ghiacciaio di Presena è stato un ghiacciaio “violentato”; oltre al posizionamento dei teli per limitare la fusione glaciale, che possono assumere una certa valenza solo in punti limitati, nella parte superiore del ghiacciaio, il settore dove prevalgono gli accumuli, la neve è stata ridistribuita con i gatti delle nevi e portata verso la parte terminale del ghiacciaio, alterando completamente l’equilibrio del ghiacciaio stesso. Inoltre non sempre i teli vengano tolti alle prime nevicate. Certe volte le nevicate precoci avvengono con i teli ancora posizionati, alterando così il bilancio del ghiacciaio. Teniamo poi presente che i teli non sono costituiti da materiale biodegradabile. Infine non dimentichiamo l’indagine della Procura di Trento nel 2007 per prelievi di acqua non autorizzati dai laghetti di Presena da parte delle società impiantistiche per la produzione di neve artificiale.
AM: Prendere la neve dalle quote più alte e trasferirla con i camion per eventi turistici dove la neve non c’è, è una notizia che non fa più notizia oramai, visto che i casi sono numerosi, per esempio la “caspolada” di Vezza d’Oglio di pochi mesi fa…
AT: Sì, a questa pratica sono ricorsi in passato anche a Madonna di Campiglio e Pinzolo, sia per lo sci di fondo che per alcuni punti delle piste di sci alpino, anche a parti invertite: sparavano la neve giù nella conca di Tione per maggior disponibilità di acqua, la caricavano sui camion e la portavano in alta valle per fonderla nuovamente nei bacini di accumulo per poi rispararla un’altra volta, oppure per utilizzarla in alcuni parti specifiche delle piste. Si assiste nel corso di questi ultimi anni alla proliferazioni di bacini artificiali per la raccolta delle acque per la produzione di neve artificiale anche in zone soggette a protezione.
AM: La crisi idrica dei laghi d’Iseo e del Garda è una notizia arrivata da poco, anche quest’anno, sulle pagine dei giornali, almeno quelli locali. E questo è solo uno dei primi segnali di una catena di effetti che iniziano a monte e via via si allargano verso valle, allargando anche le questioni che vengono toccate e sulle quali sarà necessario intervenire in futuro…
AT: Il problema della fusione glaciale si ha soprattutto nei mesi estivi, quando la componente glaciale nei fiumi – cioè l’acqua di fusione che dai ghiacciai arriva nei fiumi stessi – è attorno al 15%-20%, una componente che i fiumi appenninici non hanno. Quindi i fiumi che provengono dalle Alpi e dalle zone glacializzate hanno in estate una componente di portata data appunto dai ghiacciai. Man mano che i ghiacciai fondono rilasciano molto acqua in un primo tempo, poi con la riduzione del volume rilasceranno sempre meno acqua, quindi se in una prima fase si assiste ad un incremento di acqua di fusione nei fiumi, a lungo andare questa portata è destinata a diminuire sempre più poiché ci sarà sempre meno ghiaccio che contribuirà a fornire acqua ai nostri fiumi.
Di conseguenza, ci si dovrà porre il problema di cambiare il tipo di coltura per limitare l’uso dell’acqua in pianura – come ad esempio il mais, che necessita di grandi quantità d’acqua per arrivare a maturazione –, spostando la produzione su altre colture meno esigenti in termini di quantitativi d’acqua.
Le immagini nel post sono tutte tratte dalla presentazione di Andrea Toffaletti, disponibile in download qui. Lo ringraziamo per la disponibilità.