Il codice dell’oro, di cui abbiamo già scritto sul blog, questo strano libro nato bifronte e che va arricchendosi di nuove facce adattandosi al contesto e all’occasione in cui viene presentato dai suoi tre autori (o meglio, quattro) – Mariano Tomatis, Davide Gastaldo, Filo Sottile e Matilde Dell’Oro Hermil –, si sta rivelando un prodigioso utensile per hackerare realtà e narrazioni.
Chi ha partecipato nel giugno scorso alla nostra festa cosmica ha avuto la possibilità di rendersene conto di persona, partecipando alla presentazione di questo libro sull’altipiano di Macereto. Una testimonianza nero su bianco della capacità di traslare dalle Alpi agli Appennini – per restare al caso appena citato – uno sguardo che non sia vittima della credulità e, al contempo, non rinunci al gusto dell’incanto e della meraviglia è Il paradiso della regina Sibilla. Un manuale per la creazione dell’Incanto, che Mariano Tomatis aveva curato proprio in occasione di Diverso il suo rilievo 2018.
Si tratta di procedere in bilico, muovendosi alla ricerca di sempre nuovi punti di equilibrio, cercando appoggi sicuri dove posare i piedi, dato che questo percorso – questa via, questa ricerca – non può che essere sconnesso e irregolare, così come irregolare è una linea di sutura.
Cosa c’entra con la montagna? Molto, almeno dal nostro punto di vista. Nel nostro manifesto è scritto che «l’Alpinismo Molotov va sulle montagne per recuperare storie che a piedi si vedono e tessono meglio», e ancora che «la “montagna” è un deposito di storie e segni di passate rivolte, resistenze, repressioni, che attendono di avere nuovamente voce». Non è invece scritto, ma andrebbe aggiunto, che altrettanto importante per noi è trovare il modo migliore per ridare voce alle storie recuperate e luce ai segni rinvenuti.
A partire da queste considerazioni l’occasione che si è data di poter presentare il Codice dell’oro in Valcamonica – la “Valle dei segni”, come sancito dalla macchina del marketing territoriale, che questa volta azzecca una scelta felice –, all’interno di uno dei parchi archeologici di arte rupestre di Capo di Ponte, non poteva essere che accolta con entusiasmo.
Prima di continuare, ecco i dettagli della presentazione: sabato 22 settembre 2018, ore 15:30, presso il Parco archeologico comunale di Seradina – Bedolina, Capo di Ponte (BS).
La Valcamonica, e in particolar modo il territorio di Capo di Ponte, è nota perché uno dei giacimenti di arte rupestre più ricco per quantità, più vario per temi, più ampio per la cronologia, al mondo. E se la Valsusa ha nel Rocciamelone la sua montagna “sacra”, in Valcamonica di montagne “sacre” c’è chi ne conta ben due, una in faccia all’altra, anche se questa qualifica è puramente deduttiva: il Pizzo Badile Camuno e la Concarena.
Le migliaia di segni muti incisi nella roccia – muti perché della preistoria non abbiamo narrazioni dirette e coeve in un linguaggio a noi comprensibile – sono stati raccontati nell’ultimo secolo da diverse voci: da quelle degli archeologi, figli del proprio tempo e della propria accademia, a quelle di chi, all’estremo opposto del campo, ha raccontato di «canali e “mappe stellari” rupestri» e «scivoli della fertilità», arrivando a rinvenire nelle rappresentazioni istoriate nella roccia prove a sostegno della cosiddetta «ipotesi del “paleocontatto”» o «teoria degli antichi astronauti». Utilizzando due categorie – che Mariano Tomatis ha mutuato dal mondo del wrestling – valide per individuare due diversi macro-atteggiamenti di fruizione di qualsiasi finzione, di elaborazione di qualunque narrazione, voci smart quelle dei primi – avveduti e accorti – e mark quelle dei secondi – sprovveduti e creduloni.
Certo, è bene marcarlo subito: dal punto di vista scientifico, una delle due polarità – facile indovinare quale – ha valore pari a zero. E noi le supercazzole le abbiamo in odio.
Ad ogni modo quel che ci interessa è la capacità di elaborare narrazioni che sappiano «mantenere il senso di meraviglia e di differenza» – come ha scritto Wu Ming 1: né smart né mark, dunque, ma smark.
In questo senso Il codice dell’oro è un ottimo esempio di come decostruire e ricostruire una determinata narrazione, un esercizio riuscito di “respirazione circolare”, dove i miasmi che impregnano mefiticamente l’aria che rigonfia, come fosse un palloncino, la narrazione uscita dalla penna della nobildonna Matilde Dell’Oro Hermil, sono via via sostituiti da una miscela gassosa salubre che induce nel lettore la predisposizione a una sana e rivoluzionaria «credulità distaccata».
Questo è possibile grazie alla triangolazione tra il wonder injector Mariano Tomatis e gli interventi di Filo Sottile e Davide Gastaldo: ricerca dell’attitudine smark, utilità di uno «sguardo alieno» nell’elaborare una narrazione che sappia «mostrare la sutura», perlustrazione del paesaggio – sia dei tratti fisionomici di un territorio che degli elementi antropici, materiali come immateriali (i toponimi, per esempio).
Presentare Il codice dell’oro è un modo di presentare un metodo, con la speranza che si diffonda, ché mille narrazioni ibride sboccino.
Come detto il terreno che offre la “Valle dei segni” è potenzialmente fertile per la germinazione di narrazioni ibride. A dirla tutta tra chi ha dato voce alle incisioni rupestri c’è un personaggio che, a suo modo, era uno smark ante-litteram. Si tratta di Battista Maffessoli (1929-2006), artista-falegname di Capo di Ponte, scopritore e diffusore di centinaia di incisioni. E “riproduttore” di incisioni, attraverso calchi in gesso delle stesse (oggi tecnica vietatissima). Ci è sembrato giusto quindi che a passare idealmente la parola alla band de Il codice dell’oro fosse questo personaggio, attraverso i suoi stessi calchi, raccolti e messi in mostra all’interno della struttura del Parco archeologico comunale di Bedolina-Seradina, e grazie alle parole di Alberto Marretta – direttore scientifico del parco – che ce li presenterà.
Sabato si semina, torneremo in Valcamonica a curare i germogli che cresceranno.