Nel post Diverso il suo rilievo 2018: pronti, si parte! abbiamo indicato brevemente quali sono le ragioni che ci hanno fatto decidere – subito dopo il successo della prima festa nazionale di Alpinismo Molotov – dove si sarebbe tenuta l’edizione 2018 della nostra festa. Innanzitutto, sugli Appennini, perché siamo convinti – come abbiamo già scritto molte volte – che se la voce della montagna in generale è presa in ostaggio dalla narrazione che proviene dai “centri” e dalla “pianura”, questo è ancor più vero per la seconda catena montuosa italiana, che spesso deve subire la visibilità delle più blasonate Alpi.
Andando via via restringendo la localizzazione, la scelta doveva ricadere sugli Appennini centrali, lì dove a partire dall’agosto 2016 si sono susseguite scosse di terremoto che hanno devastato il territorio, con pesantissime ripercussioni sociali per gli abitanti di quelle aree. È un tema a cui abbiamo cercato di dare spazio sul blog, in primo luogo offrendoci come amplificatore di “notizie di prima mano” provenienti dal centro del cratere, ossia dei racconti di chi in loco ha immediatamente iniziato a costituire una rete autonoma di resistenza e opposizione sociale all’infinita gestione emergenziale, denunciando la «strategia dell’abbandono».
Va ribadito che contribuire a dare forza ai messaggi di resistenza provenienti dal cratere rimane tuttora fondamentale, sia perché fuori dai canali d’informazione indipendenti si sono alternate – e continuano ad alternarsi – fasi di silenzio a fasi di sensazionalismo spinto, con la conseguenza che ogni segnale che proviene dal cratere rischia di perdersi nel rumore generato, sia perché riteniamo che sia una forma di ingiustizia subita – e insopportabile – la sostituzione della voce di chi è coinvolto direttamente nel dramma della disastrosa gestione del post-terremoto con quella terza e fredda della narrazione giornalistica mainstream.
In ogni caso, è bene sottolinearlo, una festa nazionale Alpinismo Molotov se la può permettere solo attraverso il coinvolgimento e il supporto di chi vive e anima con quotidiane lotte un luogo. L’anno passato erano i compagni e le compagne del Vis Rabbia di Avigliana, quest’anno grazie ai resistenti e alle resistenti che si oppongono – in varie forme – all’abbandono di aree che già prima del terremoto erano in sofferenza. Questa edizione 2018 sarà quindi possibile grazie a Marco Scolastici, ai bar e ristoranti che si occuperanno dei pasti, a reti come Terre in moto e alle tante e tanti “terremutati” che daranno una mano nella realizzazione della 3 giorni.
Fino a pochi mesi fa queste erano le già validissime e convincenti ragioni per proporre Diverso il suo rilievo 2018 negli Appennini centrali. Stringendo ancora lo zoom, precisamente tra i Monti Sibillini, dove abbondano storie di resistenza e racconti fantastici che possono essere rielaborati in «“nuove armi” con cui affrontare il vivere quotidiano».
Poi è successo che da borderland, le Marche si sono trovate negli ultimi mesi loro malgrado al centro della scena. Prima il terrorista fascista che spara a chi ha la pelle nera per le strada di Macerata, a cui ha fatto seguito la mobilitazione antifascista, mobilitazione che ha fatto lezione per la capacità di non farsi dirottare verso un antifascismo di facciata e di convenienza.
A seguire giunge la notizia che incombe sulle aree colpite dal sisma l’Entità, che si presenta qui con diversi nomi, Tap o Snam, ma sotto medesima forma di lunghissimo tubo metallico che attraversando quei territori trasporterà gas combustibile; l’ennesima grande opera inutile e dannosa, un progetto che non ha che da avvantaggiarsi dalla buona riuscita della «strategia dell’abbandono» che ostacola i processi di costituzione di un’opposizione sociale a un’opera dannosa e pericolosa per chi già vive in quei luoghi.
Della settimana scorsa, poi, la notizia di nuove scosse di forte intensità che hanno avuto epicentro proprio dalle parti dell’altopiano di Macereto, a cui sono seguiti i soliti lanci di agenzia, le solite quanto distraenti polemiche da social network, mentre risultavano non pervenute le voci di chi ha avuto – ancora una volta – la terra che tremava sotto ai piedi.
Questo che segue è il messaggio di ragguaglio e aggiornamento giunto nella nostra mailing-list il 10 aprile scorso, poche righe che danno conto dell’abisso rispetto alla narrazione veicolata dai media mainstream:
Paura e condizione di stress sono probabilmente la conseguenza peggiore della scossa di questa notte, perché si va avanti con la terra che trema da troppi mesi e perché questo si inserisce in un post terremoto mai finito e in uno stato di emergenza perenne. Con casette ancora da consegnare, schede AEDES da fare, ricostruzione leggera che non parte ecc. Per quanto riguarda i danni materiali si stanno facendo le verifiche ma non dovrebbero esserci situazioni particolarmente serie (ovviamente rispetto al contesto generale post 2016). Le cose più gravi sia da un punto di vista materiale che simbolico sono i problemi all’interno delle SAE (casette), sono venuti giù mobili e si sono staccati pensili montati solo qualche mese o settimana fa, apparentemente poca cosa (infatti on-line si stanno facendo battutine veramente di merda) se non fosse che le casette sono costate come una villa, che sono state realizzate poco fa e che soprattutto sono state costruite proprio per ospitare terremotati in un luogo in cui si sapeva che lo sciame sismico sarebbe stato lungo, inoltre last but not least, se un pensile di legno cade su un bimbo di 5 anni da un metro e mezzo di altezza lo ammazza.
Un nostro compagno marchigiano, per descrivere questa inaspettata presa della ribalta da parte delle Marche, ha usato un’immagine che, per chi non è giovanissimo, è familiare: in una pubblicità molto diffusa negli anni Ottanta di un marchio di rubinetteria, si vedeva un idraulico in una stanza alle prese con degli spruzzi d’acqua che zampillavano dalle pareti. L’idraulico monta dei rubinetti per bloccare queste perdite d’acqua e, per ogni rubinetto che installa e chiude, si trova a dover rincorrere e intervenire su un nuovo zampillo che sgorga dalle pareti, così fino a quando – zampillo e rubinetto, uno dopo l’altro – il prodigo idraulico si ritrova con l’acqua che gli sprizza dalle orecchie.
In un lasso ristretto di tempo, da borderland a caput mundi, le Marche. E chi lì quotidianamente lotta e resiste, si è ritrovato nella necessità di rincorrere situazioni che richiedono la composizione paziente e determinata di un fronte di opposizione, a intervenire per cercare almeno di tamponare, se non di fermare, l’ennesimo zampillo d’acqua che fuoriesce incontrollato dalle pareti. Di evitare che quei fiotti d’acqua che si susseguono incontrollati ristagnino sul terreno e trasformino in una palude mefitica le lande marchigiane, facendone l’ambiente ideale di proliferazione dell’Entità e di rafforzamento dei suoi poteri distruttivi.
Ma c’è un elemento che nella storiella dell’idraulico non torna, se applica a quanto sta avvenendo nelle Marche: nella réclame l’uomo in salopette blu è solo nell’improbo compito di fermare le fuoriuscite d’acqua. Il cratere è invece animato da donne e uomini che, con cura e determinazione, tessono la trama di un’alleanza che possa offrire riparo a chi non ha intenzione di piegarsi alla solitudine e all’arrendevolezza, che alimenti la convinzione che per salvarsi, o ci si salva tutte e tutti insieme, oppure non si salva nessuno.
Oggi, per tutte queste ragioni, più che quando decidemmo di slancio poco meno di un anno fa che la nostra festa si sarebbe tenuta negli Appennini centrali, siamo convinti e felici di portare il nostro diverso rilievo nel centro del cratere, per condividere cammino e racconti, per sentirci – tutte e tutti – meno soli nella lotta corpo a corpo con l’Entità.