di Filo Sottile
Nella notte fra il 2 e il 3 gennaio lo spazio sociale VisRabbia di Avigliana è stato incendiato. La sera del 5 gennaio in Piazza del popolo centinaia di persone si sono trovate a dare la propria solidarietà e il proprio calore alle ragazze e ai ragazzi che da cinque anni gestiscono lo spazio. Le righe che seguono sono state scritte a caldo, quella sera stessa.
Ieri ho lavorato con William. A metà mattina, mi chiede notizie del recentissimo incendio di Val della Torre, gli dico che ne so quanto lui, ma insiste e mi chiede un parere, tipo se è doloso, come se fossi stato sul posto a svolgere indagini. William e io abbiamo lavorato insieme anche a fine ottobre, nei giorni in cui il fuoco imperversava in Valsusa, e mi ha sentito ricevere diverse telefonate di aggiornamento, sa che di quegli incendi mi sono interessato per Alpinismo Molotov e dunque, benché non abbia titoli spendibili in materia, mi chiede.
Allora ripeto ciò che dice Luca Giunti: l’autocombustione è un fenomeno rarissimo in Italia, perlopiù si tratta di incendi dolosi o colposi. Specifico poi la differenza, anche questa rimarcata da Luca, fra piromane e incendiario. Il piromane è una persona che ha un’attrazione irresistibile per il fuoco. Il livello patologico della filia è rarissimo, metti uno su un milione, per gli altri che piromani lo sono in forma più lieve, se hanno fegato se la risolvono arruolandosi nei pompieri o nell’antincendio boschivo oppure, se non ce l’hanno, fanno come me, si procurano una stufa a legna. Il piromane dunque si bea del fuoco, appicca e si gode lo spettacolo.
L’incendiario invece è una persona che, per motivi che esulano dal piacere di vedere le fiamme divampare, dà fuoco con l’intento esplicito di incenerire, distruggere, rendere inutilizzabile una determinata area o un determinato oggetto. L’incendiario gode della distruzione e del dolore che crea nelle persone che hanno a cuore l’area o l’oggetto incenerito. Per esempio, nel condominio in cui abitavo anni fa, una notte hanno dato fuoco a un’auto, l’incendiario in questione, presumo, ha goduto assai di più vedendo o immaginando la faccia del proprietario dell’auto che appiccando il fuoco.
A William piace sapere che c’è un colpevole dietro gli incendi e insiste a chiedermi se ci sono delle indagini e se lo prenderanno l’incendiario. Io esprimo i miei dubbi, mi pare assai difficile individuare il responsabile di un atto del genere se non lo cogli in flagrante.
Comunque, mentre rispondo alle domande di William, è di un altro incendio che avrei urgenza di parlare. Da meno di 24 ore so che lo spazio sociale VisRabbia di Avigliana è andato a fuoco. Il dolo pare evidente, l’impianto elettrico era a norma, aveva il salvavita e inoltre quasi tutte le attrezzature erano scollegate dalla corrente.
Sto per dirglielo a William che il VisRabbia se lo sono divorato le fiamme, ma poi mi fermo perché mi ricordo che nelle lunghe ore in cui abbiamo lavorato gomito a gomito a ottobre, William mi ha detto che i centri sociali non gli piacciono e che le volte in cui ci è andato, si è trovato male. Per inciso, e questo allora gliel’ho detto, anche a me è capitato – non faccio nomi – di sentirmi a disagio in certi centri sociali, ma ne ho visitati diversi in cui mi sono sentito meglio che a casa. Gli ho detto anche che, al di là dei disagi e delle simpatie personali, credo sia molto importante esistano luoghi in cui si sperimentano forme di autogestione e che offrono occasioni di socialità alternative, incontro, discussione, crescita.
Il VisRabbia era un luogo autogestito e le persone che lo hanno animato si organizzano orizzontalmente, non c’è una persona che comanda, non ci sono persone che eseguono, le decisioni – lo so perché mi è capitato diverse volte di partecipare alle loro assemblee – vengono prese collettivamente, dopodiché ognuna, ognuno, mette a disposizione le sue abilità, la sua intelligenza, le sue mani, il suo tempo per la realizzazione dei progetti.
Ognuno di questi progetti reimmagina il territorio, le attività che su questo si possono svolgere, gli interessi della collettività, l’umanità che lo abita, il tipo di relazione che si tesse con il contesto, l’ambiente e gli esseri viventi.
Pensare di aprire un mercatino delle autoproduzioni; dare spazio ai giovani che tornano a occuparsi di agricoltura; organizzare escursioni sui sentieri partigiani; aprire un circuito teatrale e musicale in un paese in cui gli spazi per chi si esibisce si fanno sempre più rari e inospitali; presentare libri; opporsi a opere devastanti, inutili e imposte; stringere alleanze e dare supporto logistico per le attività di collettivi che hanno un’attitudine simile; promuovere una convivialità autentica, svincolata dalle logiche di mercato; suggerire pratiche di autogestione e responsabilità a chi usufruisce dello spazio: tutto questo è, nella sua più alta accezione, fare politica.
Il collettivo del VisRabbia l’ha fatta e bene e l’ha fatta per il piacere, la soddisfazione e i bisogni dei singoli che ne fanno parte e di tutte le persone, reti, associazioni (informali e no) che con loro sono entrati in relazione in questi anni.
Stasera sono alla merenda di solidarietà indetta dal Vis dopo l’incendio. Ci sono centinaia di persone. Gente di Avigliana, del circondario, scesa dall’alta valle, da Torino, tutta desiderosa di confermare la propria amicizia, gratitudine, il proprio sostegno a quel progetto che reimmagina questo territorio.
Non si sa ancora, e credo che difficilmente verremo a sapere, chi ha dato fuoco al VisRabbia, ma a me pare certo che non si tratti di un piromane, ma di un incendiario, qualcuno che si è preso la briga di fabbricare un innesco artigianale, scavalcare la rete del Vis, rompere un vetro, buttare dentro l’innesco e dargli fuoco. L’ha fatto non per godere delle fiamme, ma per distruggere, nell’illusione che il lavoro politico di questi anni andasse in fumo con l’edificio e le attrezzature. Ma non ci è riuscito. Il fuoco ha distrutto due frigoriferi, ma ha illuminato la realtà di uno sbattimento gioioso che dura nel tempo, ha incenerito tavoli, ma ha testato la tenuta delle relazioni intessute, ha fuso infissi in alluminio, ma ha temprato la determinazione di chi concretamente continua a immaginare un mondo diverso.
E tuttavia quel posto non c’è più, ed è una cosa che fa male. Ora, nell’attesa – breve, speriamo brevissima – che le ragazze e i ragazzi del VisRabbia trovino un’altra casa, io credo che tutte le persone che si sono sentite ferite da quest’atto intimidatorio possano cominciare, se non l’hanno ancora fatto, e continuare, se lo fanno già, a mettere radici nei quartieri, nei paesi, nelle frazioni, nelle borgate; ad aprire una moltitudine di VisRabbia, a incontrarsi, discutere, scambiarsi saperi, sperimentare forme di autogoverno, imparare a discutere (che non significa imporre o farsi imporre decisioni); a immaginare il territorio in cui vivono, ricordarne la storia, i conflitti, le sconfitte, le vittorie; a renderlo ricettivo a chi viene da fuori, aperto al possibile, all’impossibile. Possiamo prenderci il lusso di comportarci come se la rivoluzione fosse qui, a un passo da noi.
È questa, credo, in barba a ogni competizione elettorale, la politica in cui investire le proprie energie.
Questo avrei voluto dirti, William.