Incendio in val Tramontina
A ceneri ancora bollenti dalla Valsusa colpita da immane incendio, Davide Gastaldo – attivista No Tav e consigliere comunale a Mompantero – alcuni giorni fa ha scritto un racconto delle lunghe giornate e nottate vissute in valle a contrastare le fiamme, racconto pubblicato su Giap col titolo L’incendio in Valsusa raccontato da dentro. Una narrazione in prima persona che oltre a fornire importanti informazioni di prima mano ha anche un forte impatto emotivo in chi legge.
A seguito di questa pubblicazione Alpinismo Molotov ha ricevuto un contributo da parte di Gregorio Piccin, coinvolto nel contrasto a un incendio che nel 2012 si sviluppò per nove giorni consecutivi in Val Tramontina, una vallata nelle Prealpi Carniche. Piccin all’epoca era volontario di Protezione Civile e assessore all’ambiente del comune di Tramonti di Sotto (PN) e, dopo l’incendio, scrisse – proprio come Davide Gastaldo – una memoria di quanto successe, ponendo al contempo una serie di spunti di riflessione sull’inadeguatezza sistematica con cui gli incendi di aree boschive vengono affrontati.
Leggendolo siamo rimasti colpiti dalle forti analogie con quanto successo nelle ultime settimane in Valsusa e, più in generale, nel piemontese. Ma, trattandosi di limiti strutturali, è chiaro che questi pesano su ogni situazione d’intervento in caso d’incendio.
Dal 2012 sono passati cinque anni, la situazione generale è nettamente peggiorata, sia per l’intensificarsi degli effetti del global warming – la macrocausa che favorisce gli incendi – e la mancata volontà politica di adattare la gestione forestale alle nuove condizioni climatiche, sia per scelte governative e amministrative scellerate, come il decreto Madia che ha depotenziato ruolo e capacità d’intervento della Guardia forestale e dei Vigili del fuoco.
Il racconto/riflessione di Gregorio Piccin ci sembra, in questo momento, un contributo importante, che abbiamo quindi deciso di pubblicare.
Prima di lasciarvi alla lettura, una nota: pur certi che la proposta avanzata da Piccin di una “leva obbligatoria” in cui «l’obiezione di coscienza sia convogliata nella protezione civile» sia lontanissima da convinzioni militariste (come è già evidente dalla sua contestualizzazione), questa ci lascia – per più di una ragione – perplessi.
Il grande Sikorsky: microstoria di un grosso incendio, storia di una diffusa irrazionalità
di Gregorio Piccin
Il grosso incendio
A volte la natura gioca con se stessa in un modo che ci può apparire bizzarro.
In Val Tramontina, una delle zone più piovose e ricche d’acqua d’Italia erano mesi che non nevicava o pioveva…
Sabato 24 marzo arriva finalmente un temporale, ma dura giusto il tempo di scaricare un paio di fulmini sul monte Brusò: è il fuoco, nella sua versione più primitiva e pura.
Domenica, già in mattinata, personale del Corpo Forestale e volontari della Protezione Civile organizzano un vascone a Campone per assistere un elicottero con una benna da 800 litri che comincia la staffetta da lì verso l’incendio mentre iniziano i primi interventi da terra.
Ma il fuoco di notte non dorme ed anzi si risveglia anche più forte di prima offrendoci uno spettacolo davvero impressionante.
Lunedì i vasconi diventano due, così pure gli elicotteri affittati dalla Protezione Civile; poi si aggiunge qualche sortita di un Canadair ma soprattutto entra in scena un grosso elicottero Sikorsky-Erickson S-64F salutato da tutti come decisivo per risolvere la questione.
La situazione infatti già si presenta di difficile gestione: lo scenario è costituito da impervi e stretti canaloni montani, con l’aggravante della scarsa visibilità dovuta al fumo.
I Canadair, comunque già impegnati anche su Tolmezzo dove è scoppiato un altro incendio, non sono nelle condizioni di poter agire sempre in sicurezza e con efficacia mentre il grosso S-64F esce di scena per un’avaria dopo alcune ore di intervento e non tornerà più.
Ogni notte che passa l’incendio si stiracchia le ossa e, nutrendosi di ghiotte e resinose conifere, si muove spesso in modo imprevedibile usando le pigne come tizzoni per lanciarsi oltre il suo stesso fronte.
Le squadre a terra composte da forestali e volontari della Protezione Civile continuano a lavorare strenuamente e così pure i due elicotteri più piccoli, ma le loro piccole benne non possono molto.
Il personale del Corpo Forestale gestisce la situazione al meglio e senza risparmiarsi tentando di dare un verso al fuoco, incanalarlo, fregarlo. Non è un impresa semplice, specialmente in uno scenario così difficile ed in certi casi proibitivo.
Ogni mattina, per diverse ore, il fumo persistente avvolge con una fitta coltre tutto il capoluogo, le sue borgate ma soprattutto il teatro delle operazioni.
L’unica cosa che rimane da fare è impedire che l’incendio si sviluppi verso est in profondità verso zone ancora più impervie o sul versante nord del monte Brusò: meglio portarlo a fondo valle dove il capoluogo quasi lambisce il bosco e lì fermarlo definitivamente.
La notte di sabato (dopo una settimana di sviluppo) l’incendio finalmente si mostra agli abitanti di Tramonti in tutta la sua spettacolare, inquietante, inesorabile, indimenticabile forza: dalla piazza del paese il monte Brusò (mai toponimo fu più appropriato) è coperto dalle fiamme che come una valanga gialla ed arancione cala verso le pendici più basse.
Domenica, lunedì e martedì l’operazione di contenimento funziona e finalmente il fuoco è domato.
Mercoledì una lieve pioggerellina completa l’opera.
Sono passati nove giorni e andati in fumo 400 ettari di bosco.
Nessuno, se non qualche immancabile sciocco, potrà dire che il personale del Corpo Forestale ed i volontari di Protezione Civile non hanno fatto, e bene, tutto ciò che potevano.
Considerando il fatto che in nove giorni di operazioni si sono susseguite decine e decine di persone, che sono stati mantenuti operativi 3 vasconi, che due piccoli elicotteri hanno volato per 12 ore al giorno senza tregua e che nessuno si è fatto male, l’azione di tutti costoro è davvero degna della massima stima.
Decisamente scadente, al contrario, la qualità dei decisori (governi e legislatori) che dovrebbero assicurare a queste persone il supporto di mezzi e strumenti organizzativi adeguati.
La diffusa irrazionalità
Su ogni esperienza bisognerebbe riflettere, da ogni esperienza bisognerebbe trarre gli spunti per rendere più efficaci le nostre azioni.
1) Il vero problema che si palesa già nei primi giorni è l’inadeguatezza dei mezzi messi a disposizione per affrontare la situazione.
L’impiego dell’elicottero Sikorsky-Erickson S-64F sarebbe stato con buona probabilità decisivo per stroncare lo sviluppo dell’incendio.
Questo mezzo infatti riesce a caricare nella sua pancia 9000/10000 litri d’acqua in 45 secondi (ben dieci-undici volte la capacità dei piccoli elicotteri di cui sopra) ed è in grado di scaricarla sia per mezzo di un’unica strisciata lunga fino a 500 metri sia, più chirurgicamente, per mezzo di un cannone posto nella parte anteriore.
Come già detto il S-64F impiegato a Tramonti esce di scena quasi immediatamente per un’avaria. Nessun altro suo simile è stato inviato sul posto per rimpiazzarlo…
Perché?
Perché in un paese come l’Italia, che va fuoco ogni anno in più punti contemporaneamente, con una morfologia come quella tramontina presente in ogni regione, gli S-64F sono solo 4 (quattro).
Capite bene che ciò non ha alcun senso e non vale nulla l’argomento che tali mezzi sono costosi se pensiamo che stiamo acquistando 90 (novanta) inutili cacciabombardieri ammazzatutto F-35 con dei costi esorbitanti (decine di miliardi di euro); a proposito di elicotteri, quanto ci costa oggi mantenere operativo un Mangusta in Afghanistan?
2) Oggi le giornate che i volontari di Protezione Civile dedicano alla collettività, sottraendole al loro lavoro, non sono rimborsate.
Ciò significa che costoro devono prendere ferie o permessi per intervenire. E’ possibile che in questo martoriato paese i lavoratori debbano pagare tutti i conti, dalle speculazioni finanziarie all’inettitudine dell’alta politica (governi tecnici compresi), dalle guerre agli interventi contro gli incendi boschivi, le alluvioni, i terremoti?
In concreto questa situazione fa in modo che la disponibilità di personale sia fortemente ridimensionata rispetto alle reali potenzialità e necessità.
Anche in questo caso dire che soldi non ce ne sono è una immane balla: fiumi di miliardi scorrono liberi sopra alle teste del 99% della popolazione.
Sono infatti decenni che in questo paese i redditi da lavoro vengono progressivamente prosciugati a favore di rendite e profitti.
3) Nel nostro comune ci sono borgate che, a seguito dello spopolamento, sono state progressivamente circondate dal bosco e non credo che questa situazione sia un’esclusiva della Val Tramontina.
Il buon senso dovrebbe consigliarci di impegnare risorse (che ovviamente i piccoli comuni montani non hanno) per attuare una urgente e ragionevole prevenzione.
Dire che c’è la crisi e che quindi non ci sono risorse da dedicare a questo genere di cose non convince più nessuno: per il cemento infatti i soldi saltano sempre fuori. Senza considerare il progetto TAV, che è l’idiozia nazionale più monumentale, eclatante e costosa. Pensiamo al solo Friuli dove dalle casse di espansione sul Tagliamento alla Sequals-Gemona (sempre sul Tagliamento) si partoriscono strampalati progetti che sembrano usciti dal cassetto ammuffito di una scrivania degli anni Cinquanta.
Esiste tanto di quel lavoro legato alla manutenzione dei territori montani (e non solo) che si potrebbero superare tre crisi: certo bisognerebbe avere il coraggio di imporre una cura dimagrante coatta ai grandi costruttori italici.
A margine di tutto questo ragionamento e considerato che si parla di prevenzione da attuare ed emergenze da affrontare va detto che, dal punto di vista dell’interesse collettivo, una delle più evidenti, ingenti ed irrazionali fonti di spreco di risorse è proprio il mantenimento di un esercito professionale.
A seguito delle orrende imprese coloniali perpetrate ai danni di spagnoli repubblicani, libici, etiopi, eritrei, somali, jugoslavi, greci e albanesi dal regio e fascistissimo esercito italiano, chi scrisse la nostra Costituzione pensò bene di chiudere definitivamente con la nefasta tradizione che vedeva le forze armate come un prolungamento della politica estera e commerciale dello stato. Dissero e scrissero chiaramente: «L’Italia ripudia la guerra come strumento […] di risoluzione delle controversie internazionali».
L’idea, validissima, lungimirante, attualissima, era quella di ridimensionare l’uso delle forze armate alla sola difesa dell’integrità territoriale dello Stato e della Costituzione repubblicana.
Dagli anni Novanta in poi i vari governi indifferentemente di centro-sinistra-destra hanno voluto riportare lo strumento militare sui binari (molto poco costituzionali) di un rinnovato e costosissimo neo-colonialismo. Non saprei in quale altro modo definire tutte le umanitarie aggressioni e democratici bombardamenti a cui abbiamo disinvoltamente partecipato in questi ultimi quindici anni e che ci stanno procurando, tra l’altro, una lunga lista di nemici di cui non avremmo certo bisogno.
Al di là dell’aspetto etico, risulta evidente come un esercito pensato per essere proiettato fuori confine è sostanzialmente inutile sul territorio dove le vere minacce alla sicurezza degli italiani non sono barbuti terroristi ma terremoti, alluvioni, dissesto idro-geologico e incendi…
Riportare la forma ed il senso delle nostre Forze Armate nell’alveo costituzionale permetterebbe un enorme risparmio di risorse e di logistica ed un più utile e razionale impiego di mezzi e uomini per affrontare le “minacce” di cui sopra.
Ciò di cui si parla non è certo l’esercito-carrozzone di panciuti marescialli che chi ha fatto la “naja” (compreso il sottoscritto) può ricordare bensì un esercito di leva, aperto a donne e uomini, dove l’obiezione di coscienza sia convogliata nella protezione civile e dove appunto tutta la logistica e l’organizzazione venga rivolta/convertita, in prevalenza, ad un nuovo concetto di difesa, manutenzione e prevenzione ambientale.
In sostituzione dell’attuale irrazionale moltiplicazione dei comandi, dei dirigenti, delle centrali operative, degli eli-aereoporti, potremmo avere a disposizione uno strumento popolare, meno costoso e più efficace di salvaguardia e difesa del territorio.
In un quadro del genere ci sarebbe spazio anche per il grande rilancio di un patrimonio industriale nazionale come Finmeccanica.
È incredibile come un evento locale (il grande incendio in Val Tramontina) possa dischiudere ragionamenti (per quanto solo accennati) di così ampio respiro.
Del resto o si comincia ad uscire dal localismo contribuendo ad immaginare soluzioni organiche e di sistema o si continuerà (considerati il servilismo, l’opportunismo, l’ignoranza dell’alta politica) a subire la realtà senza nemmeno comprenderne le ragioni.
Tramonti di Sotto, Marzo 2012
LoFi
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A proposito di analogie, segnalo quest’altra inquietante “risonanza” con la Val Peligna: https://www.facebook.com/notes/claudio-giorno/comunicazione-condivisione/10155164530253691/
https://www.alpinismomolotov.org/wordpress/2017/08/31/la-majella-brucia/