di Filo Sottile
Un anno fa usciva Ailanto: l’albero maudit che porta il paradiso fra il cemento, un articolo che ha girato tanto e che ha fatto discutere, cosa che non può che farci piacere.
In questi mesi ho incontrato molte persone che hanno voluto dirmi la loro sull’ailanto. Sono grato in particolare a due contadini – uno per passione, l’altro anche per mestiere, Gino Gallo e Luca Abbà – che un po’ a denti stretti mi hanno confessato che l’articolo ha in parte saputo ristrutturare l’idea che si erano fatti della malapianta.
Questo inverno ho conosciuto una donna, una compagna, che ha definito l’articolo ingenuo. Poi, indagando, ho scoperto che nel giardino della casa in cui è andata ad abitare si è trovata a dover combattere con la strenua voglia di vivere dell’ailanto. Capisco perfettamente la questione, mi procuro la maggior parte dei soldi che mi servono per campare facendo il giardiniere e da apprendista orticoltore ho una cognizione molto chiara e nient’affatto romantica di cosa sia il diserbo manuale. Ma, intendiamoci, non è mia intenzione andare in giro a disseminare ailanti, sono in grado di disseminarsi da soli e non necessitano dell’aiuto di nessuno. Tra l’altro, nel frattempo, ho scovato un articolo1 del 29 settembre 1919 che dimostra che per un periodo gli ailanti in Italia sono stati coltivati e il governo addirittura li regalava.
Non volevo nemmeno scrivere un “nessuno tocchi l’ailanto”, perché appunto il ragazzo è robusto e sa difendersi da sé. Mi interessava invece far notare che le retoriche che stanno alla base delle campagne denigratorie contro immigrati e ailanti sono le stesse e che, in entrambi i casi, con un po’ di studio2 e di curiosità, le si può smascherare per ciò che sono: un mucchio di panzane.
L’ailanto entra nel mirino anche dei partiti del decoro, quelli che si vantano di combattere il degrado. Su questo aspetto rubiamo le parole di Wu Ming 23, quelle fra parentesi quadre le ho aggiunte io:
Le battaglie per il paesaggio, per rendere migliore il luogo dove si vive, rischiano di colpire il popolo dei margini, se alla lista degli inquinanti [e infestanti] da combattere non si aggiungono l’oppressione e il pregiudizio. Rivendicare un diritto impone di interrogarsi su quanti ne sono esclusi. Altrimenti, le prossime ruspe [e motoseghe] arriveranno in difesa dei beni comuni.
Comunque, fino a questo momento non ci è giunta nessuna dimostrazione scientifica che provi che l’ailanto minacci realmente l’esistenza delle specie autoctone. Qualche giorno fa sono tornato a visitare i primi due ailanti che ho conosciuto, quelli sotto i quali l’anno scorso avevo scovato un nostranissimo acero montano. Beh, adesso lì sotto, all’ombra di quei due giganti, sono nati anche un frassino e un noce. Gli ailanti che ho incontrato continuano a nascere e vivere nelle fabbriche dismesse, sui cigli delle strade, nelle aree abbandonate, su pendii inaccessibili.
Richard Mabey nel suo Elogio delle erbacce4 scrive:
[Le erbacce] sono coinquiline, squatter vegetali, una sorta di graffito vivente, sfacciate, abituate alla vita di strada, un passo avanti rispetto ai costruttori e ai puritani lamentosi. In loro vive lo spirito di Banksy.
Si potrebbe dire che sono come i centri sociali. Riportano la vita in edifici abbandonati, in zone degradate, laddove il capitale ha spremuto il profitto e lasciato le sue deiezioni. Le erbacce, e gli ailanti fra queste, sono gli agenti che si occupano di rigenerare i nostri deserti lastricati di cemento. Lo dice chiaro Mabey nell’ultimo brano che cito nell’articolo, ma il concetto è tornato anche nell’intervista che abbiamo fatto a Luca Giunti sul lupo, quando dice:
L’altro elemento che bisogna capire è che ovunque in questo universo, con le regole assegnate a questo universo, la natura non ha mai vuoti e se tu lasci uno spazio, la natura lo riempie. Non lo riempirà con le cose che piacciono a te, ma con quelle che piacciono a lei. Abbiamo abbandonato le coltivazioni nelle montagne, le prime cose che arrivano dopo, sono cose che a noi non piacciono: le runse (rovi, in piemontese). La natura non lo lascia il vuoto, arrivano le runse. Il naturalista o il botanico ti diranno che è solo questione di tempo. Dopo le runse arriveranno due betulle e qualche frassino, però ci vorranno almeno 15 anni, poi, dopo le betulle e i frassini, arriverà qualche faggio, ma ci vorranno 50 anni e, fra un secolo e mezzo, se non facciamo niente, probabilmente l’ambiente circostante sarà uguale a quello che c’era prima che arrivassero i primi coloni a segare gli alberi.
Ci sembra opportuno citare anche questo studio fatto in Germania sulle infestanti in ambiente urbano (robinia pseudoacacia, nello specifico) e sul loro impatto positivo sulla biodiversità.
Tree invasion thus did not induce biotic homogenization at the habitat scale. We detected no positive effects of alien dominance. Our results illustrate that invasions by a major tree invader can induce species turnover in ground-dwelling arthropods, but do not necessarily reduce arthropod species abundances or diversity and might thus contribute to the conservation of epigeal invertebrates in urban settings
Continuiamo in definitiva a essere convinti che l’ailanto sia un tassello importante della vita su questo pianeta e che sia perfettamente inserito nel circolo virtuoso della biosfera, sarebbe una grave omissione però se non dicessimo che a febbraio scorso su Storia in rete, una rivista che raccoglie scritti dal tono nostalgico e irredentista, il nostro articolo è diventato uno dei pretesti principali per attaccare i Wu Ming e le inchieste su foibe e confine orientale di Nicoletta Bourbaki. E quindi per onestà intellettuale ci piace sottolineare che l’ailanto essuda davvero sostanze irritanti e che sono particolarmente nocive per una ben nota categoria di persone.
1 Si regalano piante, La Stampa, 29 settembre 1919, p. 5
2 Questa per ora ci pare la scheda più completa su ailanto e sua diffusione: http://www.cabi.org/isc/datasheet/3889
3 Wu Ming 2, Il Sentiero Luminoso, Ediciclo, 2016
4 Richard Mabey, Elogio delle erbacce, Ponte alle grazie, 2011