di Roberto Gastaldo
Sabato 3 giugno, all’interno di Diverso il suo rilievo, abbiamo effettuato un’escursione ai Quattro Denti di Chiomonte (che, come qualcuno ha notato durante la salita, non sono esattamente quattro, il nome è dovuto al fatto che in piemontese “quatr” si usa per “un po’ di”). Siamo stati piacevolmente stupiti dal numero dei partecipanti,siamo partiti in 94 per un’escursione di oltre 1000 metri di dislivello, alcuni hanno dovuto fermarsi lungo il percorso, ma 84 persone sono arrivate fino in cima, e questa, assieme ai commenti sentiti durante la discesa, è stata una grande soddisfazione. Il numero ha portato però ad una certa dispersione, in conseguenza della quale quando la coda del gruppo ha raggiunto il Gran Pertus la testa aveva già proseguito verso la cima, e così alcuni non hanno potuto ascoltare la storia di quell’opera. Per loro, per chi si era fermato prima e per chi proprio non era partito pubblichiamo qui gli appunti che sono stati letti.
Il nome ufficiale è “Trou de Touilles”, ma tutti lo conoscono come “Il Gran Pertus”, il grande buco. Fu scavato nel XVI secolo su richiesta degli abitanti di Cels, frazione di Exilles, e di quelli delle Ramats, frazione di Chiomonte, per portare le acque del rio Touilles sul versante exillese e chiomontino. Si dà per certo che esistesse già un acquedotto sospeso in legno che aggirava i Quattro Denti, ma era di scarsa portata e richiedeva molte spese di manutenzione, inoltre era utilizzabile nei soli mesi estivi. In anni precedenti si era già tentato di realizzare il traforo, ma l’impresa era stata abbandonata dopo pochi metri di scavo per i problemi che presentava. Fu Colombano Romeàn, un minatore nato a Ramats e che aveva lavorato tutta la vita in Francia, nel dipartimento del Gard, che tornando al paese natale ormai cinquantenne decise di riprenderla e concluderla. Ancora oggi l’opera idraulica viene indicata sulla cartografia con il toponimo di “Traforo Romean”.
Non si tratta del primo traforo alpino, il Buco di Viso viene realizzato quasi 50 anni prima e ad una quota ancora superiore, ma la lunghezza del Pertus, circa 6 volte i 75 metri del predecessore, rende il lavoro enormemente più complesso, sia per la difficoltà nel mantenere l’orientamento dell’opera (e in effetti anche il Romeàn a un certo punto dello scavo effettua, non volendolo, una leggera deviazione), sia per la necessità di realizzare un impianto di aerazione.
Il Trou de Touilles viene scavato negli anni compresi tra il 1526 e il 1533, come si deduce dalla documentazione rinvenuta presso una famiglia delle Ramats; in particolare uno dei documenti, rogato dal notaio chiomontino Jehan Rostollan il 14 ottobre 1526, è il più significativo poiché vengono riportati i termini del contratto. Definito «Conventio facture aqueducti de Tulliis inter habitantes de Celsis et Ramatis cum Columbano Romeani» è l’atto ufficiale nel quale si chiede al minatore di perforare o proseguire il già incominciato traforo sopra le Ramats e Ambournet. Gli si concedono due opzioni: scavare un nuovo acquedotto, oppure proseguire quello già iniziato. Colombano Romeàn promette di «terminare il già cominciato foro il più brevemente possibile».
In cambio del lavoro svolto, gli abitanti di Cels si impegnano a fornire: «un sestario di buono e comune vino ed una emina di buona e comune segala per ciascun mese»*, mentre quelli delle Ramats devono fornire mensilmente un sestario di vino ed uno di segala. Per contratto qualora il minatore avesse avuto bisogno di un aiutante, le quantità stabilite sarebbero state raddoppiate, mentre per un eventuale secondo aiutante avrebbe dovuto provvedere in proprio. Romeàn però lavorò sempre da solo, e si dice che addirittura per ritirare i rifornimenti o far rifilare gli attrezzi non scendesse in paese ma inviasse a valle il cane con uno zaino appositamente costruito.
Per il compenso si stabilì che sarebbero stati pagati a Romeàn, o ai suoi (inesistenti) eredi, «cinque fiorini di moneta corrente, […] per ogni tesa di detto acquedotto»[1].
I committenti dovettero inoltre costruirgli presso l’imbocco della galleria una capanna con un letto, una madia, una botte e fornirgli le lanterne per l’illuminazione, gli strumenti per lo scavo e un mantice, usato probabilmente per pompare l’aria in tubi di tela con cui Romeàn aveva realizzato nel cunicolo un impianto di ventilazione fozata simile a quelli delle stive delle navi.
L’ingresso del Pertus è situato nel bacino del Gran Vallone, ai piedi dell’omonima cima (2435 m s.l.m.), ad una quota di circa 2034 m s.l.m., misurata all’esterno dell’attuale grata di sicurezza posta sulla volta del condotto; l’uscita sul versante chiomontino è a quota di 2019 m s.l.m, il dislivello tra l’ingresso e l’uscita, misurato sul fondo del condotto, è di 12,56 metri. Il condotto si sviluppa per 433,24 metri, lo scavo è avvenuto dal versante chiomontino verso il Gran Vallone. La presa delle acque è situata sotto il ghiacciaio dell’Agnello; il canale esterno di convogliamento è lungo, dalla presa all’imbocco del Trou, circa 1100 metri. Attualmente l’opera di captazione è costituita da moderni tubi corrugati plastici inseriti in tubi di cemento e collocati sul tracciato originale.
Percorrendo il tunnel si vede chiaramente che l’abbattimento della roccia è stato reso uniforme e rifinito con particolare cura, inoltre ad una cadenza abbastanza regolare sono presenti nicchie d’appoggio per le lucerne, alcune accuratamente scavate e adornate con riquadrature, in alcune della quali sono anche scolpiti visi, croci ed un giglio del Delfinato (di cui Chiomonte ed Exilles facevano allora parte).
La galleria è larga circa un metro e alta circa 170 cm, per circa 7 anni Romeàn ne scavò una media di 20 centimetri al giorno, alla media di un metro cubo di roccia ogni 3 giorni, lavorando da solo con martello e scalpello. Il lavoro fu ultimato nel 1533 e qui la leggenda si intreccia con la storia: si dice infatti che quasi al termine dei lavori, per evitare l’esborso dei 1.600 fiorini dovuti, pari a 320 scudi (si consideri che il bilancio di Chiomonte alla metà del 1500 si aggirava sui 500 scudi), egli fu avvelenato. Altro finale della storia è che Colombano morì di idropisia a causa dell’umidità e del freddo patiti durante il suo lavoro sotterraneo, malattia aiutata dalla passione per i vini che si narra egli sviluppò al termine di questo lavoro. Secondo un’altra versione alternativa, Colombano semplicemente lasciò la valle e si trasferì a Torino.
Probabilmente proprio questo finale indeterminato ha fatto sì che su questa impresa siano stati scritti un romanzo (La canzone di Colombano, di Alessandro Perissinotto) ed un’opera teatrale (Il contratto di Colombano, di Luciano Nattino).
Ad oggi, pur con interventi manutentivi e restauri, soprattutto all’esterno, l’acquedotto funziona ancora, quasi cinquecento anni dopo la sua realizzazione.
[1] Traduzioni dei documenti di Felice Chiapusso. Ho riportato i dati come riferiti sui siti elencati sotto, tuttavia credo che dove scrive “per ciascun mese” sia da intendere “per ciascun giorno”, in quanto un sestario corrisponde a circa mezzo litro ed una emina ad un quarto di litro.
Fonti
– Comune d Chiomonte
– Rifugio Levi-Molinari
Link
– Video sul “Pertus”
– Video girato attraversando il “Pertus”
– La canzone di Colombano
– Il contratto di Colombano
Aggiungo una nota sul Glorioso Rimpatrio valdese, di cui si è parlato sempre durante l’escursione, per segnalare un buon romanzo sulla guerra valdese Neve in Val Angrogna di Marina Jarre.