di Filo Sottile
Ieri un’amica mi ha raccontato che sua figlia, sette anni, ha celebrato in classe l’arrivo dell’autunno. Le hanno dato una scheda prestampata con una foglia d’acero, una castagna, una zucca di Halloween e l’indicazione di colorare senza uscire dai margini.
«Il giardino della scuola – mi dice l’amica – è pieno di alberi e nel parco lì vicino ci sono gli ippocastani, non era meglio mettere la giacca ai bambini e far loro scoprire l’autunno all’aria aperta?»
L’esperienza del mondo naturale è continuamente ostacolata da filtri che, con o senza il nostro consenso, vengono frapposti.
La foresta nascosta, un anno a osservare la natura di David George Haskell (Einaudi, 2014) è un invito potente a riappropriarsi del tempo della contemplazione diretta, non mediata. Un tempo in cui affinare i nostri sensi, plasmati per fiutare l’odore della terra fertile e riconoscere i frutti sulle piante, mica solo gas di scarico e luce al neon. Un tempo di conoscenza di noi stessi e del mondo, un tempo dedicato alla bellezza.
La foresta nascosta è un oggetto narrativo non identificato, un diario che raccoglie un anno di osservazioni di un singolo metro quadro di foresta primaria nel Tennessee. Ogni incontro, accidente, mutamento apre scenari in cui l’aspetto divulgativo, quello lirico, filosofico ed ecologico sono strettamente connessi. Haskell per esempio, seguendo le orme di un cervo, ci conduce a considerare l’assenza di profondità storica di certe analisi ambientali, e ancora più in là, con il viatico delle intuizione di Darwin, a riconoscere la stazza di un bradipo gigante nella conformazione degli agrifogli e degli spini di Giuda.
Uno degli aspetti che più colpisce del libro è l’esaltazione del corpo umano come porta della conoscenza. Haskell non teme di imbarazzare il lettore: si sdraia a terra a fiutare, si spoglia, a quindici gradi sotto zero, per “sentire” quel che sentono le cince, e indirettamente ci dice della mutilazione di cui sono oggetto i nostri sensi nella nostra società, del nostro autunno tutto compreso in tre disegni stilizzati su un foglio A4.
La foresta nascosta ci invita a scegliere il nostro metro quadro, fosse anche in un parco cittadino, e prestar attenzione al succedersi dei suoni, dei colori, degli odori; a osservare i mutamenti, lo svolgersi continuo delle relazioni fra gli esseri viventi.
Il modo di osservare di Haskell è allo stesso tempo paziente e aperto alle sorprese, un’attitudine che lascia spazio a inquadrature inconsuete. Gli oggetti, gli esseri, i fenomeni che transitano quel singolo metro quadro si illuminano di nuova luce. Un palla da golf diventa “la manifestazione della mente di un primate intelligente e giocherellone”, il suono lontano delle motoseghe la base ritmica su cui impostare un ragionamento sui servizi ecosistemici, una giornata di vento la rivelazione che sono gli alberi gli ispiratori del pensiero taoista.
Ma far da leit motiv del libro è l’attenzione alle relazioni che uniscono gli esseri viventi. La natura non è solo competizione e sopraffazione: i muschi, i licheni, i batteri che abitano il rumine, gli avvoltoi, le micorrize, sono solo alcuni degli esempi di organismi collaborativi, e dovrebbero invitarci, scrive Haskell, ad aggiornare “l’antica visione della natura rossa di zanne e d’artigli”. Il mondo descritto da Haskell è complesso. La natura non è buona, né cattiva: è un insieme di rapporti, una moltitudine di equilibri in divenire. Predati e predatori si modellano vicendevolmente, gli esseri superspecializzati creano alleanze, l’errore genetico è il meccanismo che permette alle specie di rispondere al mutare delle esigenze..
In chiusura, la visione di una famiglia di scoiattoli intenta a godersi l’ultimo sole autunnale, apre una profonda riflessione sulla scienza.
La scienza, se sviluppata correttamente, rafforza la nostra intimità con il mondo. Ma esiste un pericolo in una forma mentis esclusivamente scientifica. La foresta si trasforma in uno schema, gli animali diventano dei semplici meccanismi, le meraviglie della natura sono ridotte a grafici. […].Potrebbe essere pratico o vantaggioso descrivere la natura come uno schema a blocchi, ma questa utilità non deve essere confusa con una conferma che le nostre ipotesi restrittive riflettano la forma del mondo, (…) l’hybris di una scienza applicata in maniera circoscritta risponde ai bisogni di un’economia industriale.
L’invito di Haskell è esplicito: prendersi il tempo, osservare, cogliere la profondità delle relazioni, usare il corpo empaticamente, lasciarsi sorprendere dalla bellezza, lasciarsi deliziare dallo stupore.