Dopo la guerra non rimangono eroi, rimangono soltanto zoppi, mutilati, deturpati, davanti ai quali le donne girano lo sguardo.
Dopo la guerra tutti dimenticano la guerra, persino quelli che vi hanno preso parte.
Anche questo è giusto, perché la guerra è inutile, e non bisogna elevare alcun culto a coloro che si sono sacrificati per l’inutilità.[1]
Le catene montuose – insieme a fiumi, mari e deserti – si identificano sovente come frontiere naturali, dando la falsa idea che naturale sia il confine che rappresentano, mentre questo è sempre politico e costituitosi lungo un processo storico-sociale. Una catena montuosa può essere infatti rappresentata come un linea spaziale che separa e divide, ma allo stesso modo può essere una linea di giuntura, una cerniera tra popoli e culture.
Un secolo fa le Alpi vennero mutate in un fronte che sul confine italo-austriaco si sviluppò per 370 chilometri lungo l’arco alpino, un esteso campo di battaglia su cui si combatterono migliaia di soldati, in un ambiente – spesso a quote superiori ai 3.000 metri s.l.m. – dove fino ad allora mai si pensò si potesse fare la guerra, tra erte pareti di roccia, spesso coperte di neve e ghiaccio. Furono allora trincee e baraccamenti, strade militari e posti di vigilanza, cunicoli scavati nella roccia o nel cuore dei ghiacciai, passerelle sospese fra le creste e postazioni d’artiglieria. Filo spinato e carni straziate.
Nel corso di un secolo sulle vicende della mattanza che fu la Grande Guerra si è accumulato un enorme armamentario retorico – lo evidenziano già i nomi: Grande Guerra, che fu guera granda principalmente per il numero delle vittime e la portata delle devastazioni che produsse; Guerra Bianca, che nulla ebbe di candido –, narrazioni tossiche che in occasione degli anniversari tracimano nel discorso pubblico e strumentalmente vengono utilizzate per riplasmare gli eventi ai fini del presente. Uno dei fatti recenti che ci pare significativo e indicativo di questa onda retorica che tracima sono le bandiere tricolori esposte sugli edifici pubblici lo scorso 24 maggio, su indicazione di Palazzo Chigi, nella data di entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Interessante è il ruolo assegnato a questo conflitto da Wu Ming 1 nel suo Cent’anni a Nordest in cui, come scrive Lo.Fi. nella recensione pubblicata su questo blog, la guera granda rappresenta ancora oggi «l’agente patogeno primario» di processi di costruzioni d’identità artificiose quanto odiose per razzismo, identitarismo e revanscismo mai sopito.
Per Alpinismo Molotov le montagne rappresentano un punto di vista privilegiato da cui osservare la superficie terrestre, calpestarne i sentieri e spostarsi lungo pendii e creste un’occasione per dotarsi di nuovi strumenti per affrontare le contraddizioni della quotidianità; odioso è che siano violate con trincee e linee di confine, ieri come oggi.
Nell’anno delle celebrazioni per il centenario dell’inizio di una guerra, noi vogliamo ricordare gli ignari mandati al macello, i disertori e i fucilati per insubordinazione, il dolore, la disperazione e la fame di chi patì la guerra nelle trincee, ma anche lontano da queste, nelle case dalle dispense svuotate dall’economia di guerra. Indifferentemente dalla parte del confine in cui albergarono queste sofferenze.
Oggi – a un anno dall’ascesa al Rocciamelone, battesimo “ufficiale” di Alpinismo Molotov (su Giap il récit) – lanciamo una proposta a chi segue il nostro blog, una campagna che provi a disinfettare parte di quelle montagne dalla cupa retorica della guera granda, seguendo l’esempio della spedizione molotov al Monte Učka del 1° marzo 2015. Per partecipare a questa campagna di disinfezione non si dovrà far altro che caricarsi sulle spalle insieme allo zaino questo motto:
Montagne contro la guerra / L’alpinismo non ha patria
Scritto su un foglio, riportato nei libri di vetta o di rifugi e bivacchi, stampato su carta, t-shirt, adesivi o altro nella grafica dedicata – realizzata da Inpuntadisella, già autore del logo di Alpinismo Molotov – che potete scaricare cliccando sull’immagine che segue.
Fotografatelo in ambiente e condividetelo sui social network con l’hashtag #montagnecontrolaguerra e inviateci le foto a info@alpinismomolotov.org indicando quale montagna avete simbolicamente disinfettato e magari raccontandoci le vostre montagne contro la guerra. Noi daremo poi conto sul blog dell’andamento di questa campagna.
We don’t give a fuck about patriotism.
[1]Jean Giono (reduce della prima guerra mondiale)
#Montagnecontrolaguerra. Depuriamo vette e crinali da nazionalismi, militarismi e memorie falsificate - Giap
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[…] Prosegue (da qui al 1918) su Alpinismo Molotov → […]
alcuni aneddoti dal futuro degli altri | 22.07.15 | alcuni aneddoti dal mio futuro
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[…] AlpinismoMolotov, “#Montagnecontrolaguerra. Una campagna di disinfezione dalla retorica patrio…: Nell’anno delle celebrazioni per il centenario dell’inizio di una guerra, noi vogliamo ricordare gli ignari mandati al macello, i disertori e i fucilati per insubordinazione, il dolore, la disperazione e la fame di chi patì la guerra nelle trincee, ma anche lontano da queste, nelle case dalle dispense svuotate dall’economia di guerra. Indifferentemente dalla parte del confine in cui albergarono queste sofferenze. (via) […]