Il fenomeno dell’éliski sulle Alpi è diffuso solo in Italia (tranne che nelle provincie di Trento e Bolzano) e in Svizzera. L’Alpinismo Molotov è in completa antitesi con questa pratica, come si è potuto vedere da alcune notizie che abbiamo riproposto sul nostro tumblog. Qui riportiamo le nostre motivazioni del “perché no”.
È un’attività che porta benefici a pochissimi e reca disturbo a molti. Il trasporto in alta quota di pochi sciatori costringe intere valli a subire per molte ore il rumore degli elicotteri.
Gli animali selvatici, spaventati dall’apparizione dei velivoli a motore, si danno alla fuga. Impauriti, percorrono grandi distanze con un elevato e inutile dispendio di energie (fino a dieci volte rispetto a quando camminano) che può essere fatale – soprattutto in inverno (periodo di maggiore scarsità di cibo), durante il quale gli animali sono costretti a migrazioni giornaliere.
Il rumore spaventa e crea disturbo non solo agli abitanti ma anche a chi affronta silenziosamente i pendii con le pelli o le ciaspole.
L’éliski impedisce di rendersi conto delle condizioni di innevamento aumentando notevolmente il rischio di causare valanghe. Come ci ricorda Robert Macfarlane[1], Il rischio rimane un elemento importante e costitutivo dell’andare in montagna, ma eticamente esso è tollerabile se ce lo procuriamo by fair means e non se è frutto di una pratica di sistematico sfruttamento commerciale.
Il No éliski per la montagna, proprio come il No tav per l’ambiente in generale, è un’occasione di presa di coscienza su quanto il mercato abbia inquinato il nostro modo di viverla. Non possiamo condannare l’éliski e poi rimanere indifferenti alla commercializzazione sempre più aggressiva del mountaineering.
Chi difende l’éliski sostiene che si tratta di un modo per aiutare la difficile economia di chi continua ad abitare le montagne e che è un’attività meno invasiva dello sci alpino, basato su piste e impianti di risalita.
Anche a voler rimanere su un piano prettamente utilitaristico di costi-benifici, ciò non è vero: gli introiti per gli operatori locali sono minimi, inoltre le società che forniscono gli elicotteri provengono da altre regioni, così come spesso accade per le guide alpine che accompagnano i facoltosi clienti.
È vero che anche il classico turismo montano invernale è molto invasivo, e andrebbe sottoposto a dura critica (basti pensare a ecomostri d’annata come quelli di Cervinia o alle conseguenze dovute all’innevamento artificiale) ma non per questo ci pare sia una buona ragione per aggiungere orrori nuovi ad orrori preesistenti.
Negli ultimi anni – a differenza dello sci alpino – lo scialpinismo, l’escursionismo con le ciaspole e l’osservazione della fauna selvatica, hanno visto un notevole incremento. Attività, queste, che non sono certo compatibili con il rumore provocato dai decolli, dai sorvoli a bassa quota e dagli atterraggi degli elicotteri.
L’elicottero in montagna rimane comunque uno strumento prezioso, ma per il soccorso e per il rifornimento nei rifugi. Usare questo costoso e invasivo strumento just for fun, per noi equivale all’utilizzare le autoambulanze per giocare all’autoscontro.
L’éliski condivide con lo sci alpino degli impianti di risalita la devastante logica dell’esternalizzazione negativa: lo sciatore si scarica dalle spalle la fatica del portarsi in vetta e la riversa sotto forma di disturbo sul groppone di qualcun altro (la montagna, gli animali, la comunità).
Questa éliteski porta la sua abbiente utenza a fruire in esclusiva della natura incontaminata, violandola. Quello che dovrebbe essere il meritato premio delle fatiche del viaggio vissuto fino in vetta, diventa un bene di lusso da pretendere in virtù del prezzo pagato per goderselo. L’éliski perciò si inserisce appieno in una logica capitalista, praticata da sciatori facoltosi disinteressati alla montagna in sé, ma che vedono l’ambiente come una merce da consumare, come un qualsiasi luna park. Hanno in questo non molte differenze con chi è disposto a sborsare migliaia di euro per scalare le vette più alte del pianeta lasciandosi dietro una scia di plastica e liquami.
Noi siamo contro lo sfruttamento del territorio e per un modo creativo di vivere la montagna.
Noi siamo contro l’ignoranza.
[1] Robert Macfarlane, Come le montagne conquistarono gli uomini, Arnoldo Mondadori, Milano, 2005.