L: Siamo in vetta, su un pianoro panoramico devastato esteticamente da un obelisco di 15 metri a forma di croce. Ho bisogno di qualche minuto per recuperare la respirazione, prima di apprezzare il luogo e il momento. Faccio la conoscenza con un altro giapster e assieme a Mariano ufficializziamo l’esperienza di alpinismo molotov autografando il libro di vetta, la cui pagina viene immediatamente twittata a testimonianza dell’impresa. Questo esorcismo ci consente di affrancarci simbolicamente dallo scomodo e indesiderato expopatrocinio citato pocanzi. Nel frattempo, la vetta si popola di mentalisti e di escursionisti. I mentalisti fanno parte del gruppo, a nostra insaputa. Nel tempo che trascorriamo in vetta esibiscono la loro perizia di magnetismo escursionistico, in una contaminazione che è ormai refrattaria a qualunque tentativo di classificazione. Per quanto riguarda gli escursionisti “altri”, spicca un bimbo biondo imbragato sulla schiena di un giovane papà, che ci umilia lamentando il tempo di salita eccessivo, 90 minuti (noi, zavorrati di spiritualità, ci abbiamo impiegato due ore abbondanti…).
M: Al termine del pranzo è il turno del secondo mentalista in quota. Ho conosciuto Emanuele qualche mese fa, restando incantato dalle sue doti sceniche e dalla solidità delle storie che mette in scena. Anche il suo numero è stato creato intorno alle storie del Musinè. Si riparte da don Pautasso, e quattro spettatori diventano i rappresentanti dei quattro comuni in lotta. Caselette, Almese, Rivera e Valdellatorre si schierano accanto a lui e scelgono liberamente una carta ESP.
Sono quattro carte diverse: un cerchio, delle onde, un quadrato e una stella. I simboli rappresentano i pareri discordanti. Chiusi in una busta, vengono fissati al collo di ciascuno. I partecipanti vengono poi bendati e invitati a immergersi in un sogno lucido.
Sono seduti intorno a un tavolo, nella canonica di Caselette. Nel sogno, il conflitto si scioglie: si trova un accordo e ci si decide per l’erezione di una croce.
Una volta sbendati, i quattro aprono la propria busta. I simboli si sono trasformati in una croce, e dall’alto della sua imponenza, una placca di bronzo sul monumento di don Pautasso annuncia il finale dell’effetto magico: le parole “In Hoc Signo Vinces” si riferiscono al simbolo della croce — ma nel clima post-onirico in cui Emanuele ci ha proiettati, non è chiaro se a quella di cemento o a quella sulla carta.
Primi mentalisti a esibirsi in quota, Emanuele e Vanni lasciano la loro firma sul libro di vetta. Da recensore, plaudo alla perfetta costruzione dei numeri messi in scena, plasmati direttamente sugli oggetti e sulle storie che abbiamo incontrato sulla cima del Musinè: un’attenzione rarissima, in genere riservata a clienti danarosi che impongono di coinvolgere un prodotto nella routine magica, facendone occasione di marketing. Qui in quota, tra punti elettrodinamici e sacerdoti poveri in canna, due effetti magici del genere profumano di rivoluzione; commentando l’escursione, Wu Ming 1 individuerà in questo approccio alla montagna
fortissimi tratti di originalità: chi mai aveva messo insieme escursionismo, debunking ufologico, lotta di classe e mentalismo?!
Prima di iniziare la discesa, e per coronare i numeri di illusionismo, leggiamo le vicende di due burle dall’enorme effetto mediatico. Alle orme di giganti realizzate nel 1973 sulla neve da Mario Bariona Stampa Sera di Torino dedica sei colonne:
Il menhir farlocco su cui compare un disco volante, svelato come burla nel 1988, è ancora sulla copertina dell’edizione 2013 del libro Musinè di Giuditta “Mark” Dembech.
Y: Simone, dopo averci portato in cima, si congeda dal gruppo a causa di un impegno. Con passo deciso si incammina verso valle. Davide non ci ha raggiunti, la bimba gioca e due cani scorrazzano sul prato fra la croce in cemento armato e il segnale di vetta.
Mi stendo un attimo a guardare il cielo, un attimo in cui chiudo gli occhi e assaporo la stanchezza. Intanto intorno sento i compagni aprire gli zaini e tirare fuori il necessario per il nostro picnic on mount Musinè. Il cielo diventa bianco e basso, improvvisamente. Pare che stia per nevicare ma la temperatura è stabile. Tutti guardiamo in su, in bilico sulla cima del monte. Guardiamo su. Delle linee nere ortogonali appaiono sulla superficie bianca come il latte. Sembrano delle porte gigantesche. Scorrono uno dentro l’altro i pezzi di cielo, le porte si aprono e appaiono ruote di camion articolati, la luce rimbalza sulla ghisa dei cerchioni. Si muovono insieme verso il basso, ma quanti sono?, lentamente vengono giù e sento la mia voce ululare un arrivano, stanno arrivando!
Marco mi scuote e mi passa una sigaretta e un bicchiere di vino.
– Ecco qua.
– Cazzo… gli alieni.
– Dove?
– Sul Musinè.
– Sei sveglio?
Mi tiro su e bevo un sorso.
F: Questa storia degli ufi sul Musinè io la sento fin dalle medie. E poi fra il serio e il faceto c’è sempre qualcuno pronto a giurare che il Musinè di volta in volta emana, racchiude o produce un’energia tutta particolare. Qualche anno fa ho addirittura conosciuto uno che sosteneva di aver passato una notte in tenda e di aver assistito all’atterraggio di una navicella di grigi, proprio lì, vicino alla croce. Mariano scartabellando nell’archivio di Paolo Fiorino, oltre a diversi interessanti articoli, ha persino scovato uno schizzo di una base aliena che dovrebbe celarsi nel cuore del monte. Ca-po-la-vo-ro!
Quando l’ho vista mi è venuto subito da pensare che la vera ragione per cui si è deciso di cambiare il tracciato del TAV sia proprio quella base lì.
Ho visto questo rettiliano incazzatissimo sbattere la planimetria del progetto sul tavolo di Virano e l’ho sentito dire una cosa tipo:
– Insulsa forma di vita, qui – e con le dita squamose indicava il Musinè sulla carta – c’è la casa mia e dei miei amici. Tu prova a fare il tuo buco di merda e ti giuro che noi aggiungiamo una serie di buchi supplementari alla tua repellente persona.
Nella mia fantasia, questa raffinata argomentazione convinceva Virano e tutta la banda dell’opportunità di cambiare versante.
Ecco, se davvero fosse andata così, ci sarebbe da chiedere a questi rettiliani di cominciare a frequentare i presidi e, di tanto in tanto, di farsi un giro alla Maddalena: in poco tempo non sentiremmo più parlare di Tav oppure, forse, tanto l’esercito è già bello che schierato, inizierebbe la guerra: alieni e No Tav contro esercito e mafia. (Ho già uno script pronto, se c’è un produttore hollywoodiano che mette la grana, si fa un film di successo!).
Scopri qui gli incontri ravvicinati avvenuti alle pendici del Musinè
M: Sulla sommità del monte incontriamo Davide, un altro giapster. L’escursione Molotov è seguita anche da lungi: Mr Mill invoca su Twitter un passaggio extraterrestre per raggiungerci. Sulla placca che individua la sommità del monte firmiamo un libro di vetta personalizzato.
Raggiungiamo la palina militare su cui ignoti hanno applicato una strana placca dal contenuto esoterico. Definisce il Musinè “un punto elettrodinamico” (!) e fa riferimento ad “astrali entità” tra cui figurano Gesù Cristo, Buddha e Gandhi.
Vanni svela di essere un illusionista. Noto per le sue “meraviglie multiple” e attento nella cura delle narrative dietro ogni gioco di prestigio, lavora come prestigiatore presso il parco divertimenti Movieland e ha preso ferie per esibirsi con noi in quota. È bello poter dire «Io c’ero» nel giorno del primo incontro tra escursionismo e mentalismo. Oggi è anche l’equinozio: la magica coincidenza non può essere casuale.
Ispirandosi alla strana “antenna elettrodinamica”, Vanni ha con sé un bullone, che fissa a un filo per improvvisare un pendolo. Coinvolge Maria, le chiede di pensare a un’entità astrale “positiva” e di scriverne il nome su un biglietto da visita. Per produrre un certo contrasto, invita altri sei a scrivere su altrettanti biglietti delle cose “negative” (qualcuno nomina l’EXPO2015, la TAV e l’omofobia). I sette biglietti vengono mescolati e appoggiati a una pietra, con le scritte rivolte verso il basso. Piera avvicina il pendolo a ciascuno, invitata a cercare il magnetismo “positivo” in mezzo ai biglietti carichi negativamente.
Mentre il bullone sembra muoversi per proprio conto, protoni Mark ed elettroni Smart fanno scintille. Con un processo di selezione, Piera isola tre biglietti da visita, poi uno. Si capovolgono gli altri: ognuno riporta “cose” negative. Il più eversivo mostra la parola “soldi”. L’unico biglietto ancora da svelare riporta l’entità astrale pensata da Maria. Piera è riuscita a individuarla con il suo pendolo, ma a indovinarne l’identità è Vanni. Sembra intuirlo dal movimento degli occhi di Maria e lo annuncia con sicurezza: si tratta del Buddha. La ragazza conferma tra gli applausi.
Ci si sposta ai piedi della croce per un rilassato picnic.
Y: Arriva il momento delle foto: mettiamo in posa, alla base del segnale di vetta, una copia di Point Lenana, una di L’arte di stupire e Mariano tira fuori dallo zaino una copia di Italia mistero cosmico di Peter Kolosimo.
Ci godiamo un po’ di riposo e di cibo. C’è chi prende appunti, chi legge.
A pochi chilometri da Torino, sul monte Musinè, circondato ancor oggi da un alone superstizioso, non danzano le streghe né atterrano i dischi volanti, come affermano alcuni abitanti dei dintorni suggestionati dai misteriosi bagliori notturni che a volte si accendono sui pendii. Il sinistro rilievo, su cui nulla attecchisce se non l’erbaccia che in estate nasconde grovigli di vipere, fu sede di un’antica comunità preistorica che ha lasciato, nitidi, i segni della sua presenza, costruendo rifugi, innalzando pesanti massi, raffigurando con graffiti scene di vita quotidiana, di caccia, persino di navigazione. Li ha scoperti Mario Salomone, il quale ha trovato qualcos’altro esaminando le coppelle che abbondano sul monte fra i 400 e i 900 metri di quota: un’intera carta celeste – unica al mondo – incisa nella roccia!
Be’, andiamo a cercarli!
È Filo che ci racconta dell’esistenza delle coppelle e delle incisioni, la lunga citazione invece è tratta dal libro di Kolosimo.
Cominciamo la discesa e finalmente riusciamo a vedere bene la vallata e i monti intorno. Mariano di tanto in tanto ci racconta come alcune storie di avvistamenti sono state riportate con i piedi per terra e svelate. Diserzione mi da in prestito i suoi bastoni da montagna e superato l’impaccio iniziale mi rendo conto che se li avessi avuti sul Rocciamelone mi sarei risparmiato un po’ di fastidi.
F: Va bene, esagero, lo so.
Tranquilli: non sono in cerca di un deus ex machina che risolva conflitti, né credo agli extraterrestri. Anzi, mi correggo: non è che non ci creda – nessuno di noi ha gli elementi per smentire l’ipotesi che esistano altri pianeti popolati da creature viventi – è che mi sembra altamente improbabile incontrarli.
Peter e Caterina Kolosimo ne I misteri dell’universo scrivono:
Come l’uomo ha posto piede sulla Luna, come ha inviato e invia sonde sui corpi celesti vicini, ai confini del sistema solare e oltre, così altre civiltà, provenienti da chissà quali pianeti, potrebbero aver tentato e tentare l’esplorazione del regno del Sole.
È assurdo negarlo a priori, adducendo ad esempio, l’impossibilità di superare distanze enormi in un tempo relativamente breve: abitanti di altri globi potrebbero avere realizzato quell’astronave a fotoni ideata dal grande studioso tedesco Eugen Sänger, per la cui costruzione noi incontriamo ancora difficoltà apparentemente insormontabili.5
Condivido la sostanza di questo passaggio: non è per sfiducia nella tecnologia aliena che dubito nella possibilità di un contatto con civiltà extraterrestri.
Dubito per via dell’antropocentrismo.
Ogni volta che sento una storia, guardo un documentario, leggo un libro sugli alieni mi domando: ma possibile che queste creature ce le dobbiamo immaginare come la versione nana e muta di Marylin Manson? È possibile che la base aliena ce la figuriamo con i servizi? Ancora, è possibile che questi extraterrestri nelle nostre menti si dividano in colonialisti senza scrupoli o salvifici messia? Non potrebbero essere mossi da tutt’altro tipo di interessi?
A dire la verità, nel brano citato, anche i Kolosimo cascano nell’antropocentrismo con tutte le scarpe: a noi chi ce lo dice che gli alieni non siano così longevi da potersi permettere viaggi a bassa velocità? Potrebbero persino apprezzarla di più questa lentezza, e avere voglia di godersi lo spettacolo dell’universo. Ancora, chi ci dice che solchino lo spazio con un veicolo? Perché non potrebbero spostarsi per mezzo dei loro corpi o delle loro menti?
Lo so, sto galoppando a briglia sciolta e qualcuno è già pronto a chiamare la neuro, ma se non facciamo ipotesi pazzesche come possiamo pensare di essere davvero pronti a incontrare e riconoscere l’altro?
L: La discesa, che percorriamo lungo un versante più boscoso e meno ripido, è ritmata come l’ascesa da altre soste e storie di misteri. Sostiamo in un’area dove si materializza un inquietante ingresso a un mondo sotterraneo, da cui mi tengo a prudente distanza, causa claustrofobia e “markana” passione per il cinema horror. Più avanti, in un’improvvisazione di radura, Mariano fa riaffiorare alla mia memoria frammenti di Peter Kolosimo, che credevo sepolti per sempre. Mi pare di ricordare anche l’esistenza di una Caterina Kolosimo, che mi riprometto di googlare al ritorno. L’esposizione è appassionata, tanto che anche il cagnolino Enea si siede affascinato ad ascoltare: la sua padrona farà una fatica non indifferente a riappropriarsene.
M: Affrontiamo la discesa lungo un percorso più ombreggiato e ripido, che attraversa il bosco di Ramà e concede un certo sollievo alle caviglie nei pressi di un piccolo pianoro. Ci fermiamo per consultare i misteriosi piani dei sotterranei della montagna: c’è chi ha individuato (forse in sogno) un gigantesco complesso che si estenderebbe per chilometri, sotto la roccia.
A farci sognare è un pozzo dalla base squadrata. Si inoltra nel ventre della montagna, conducendo chissà dove. Tronchi di legno lo recintano con premura. Al mio annuncio che lì vivono degli gnomi, Beatrice si avvicina per sbirciare guardinga.
La discesa è piacevole, il sole si è nascosto dietro le nuvole e non si suda troppo. Una seconda sosta ci consente di rievocare Peter Kolosimo, il “guerriero dell’Immaginario” che sul Musinè scattò la fotografia che finì sulla copertina del suo Italia mistero cosmico. Il posto migliore dove collocare la sua foto con il pugno chiuso è a sinistra di una coppella.
F: C’è un romanzo di Stanislaw Lem, Il pianeta del silenzio, che è un vero e proprio trattato in forma narrativa sull’incontro con gli alieni. Non entro nei dettagli per non spoilerare, anche se Fiasko, il titolo originale polacco, lascia poche sorprese sull’epilogo della storia.
Nel Pianeta del silenzio, gli esseri umani hanno finalmente la tecnologia per viaggiare alla velocità della luce e inviano l’Hermes, una nave con dodici uomini a bordo, a cercare un contatto con gli abitanti di Quinta, uno dei pianeti orbitanti intorno alla stella Zeta Harpyiae. Nel corso del viaggio e della permanenza nel sistema solare alieno, i nostri astronauti commettono tutti i possibili errori di valutazione e di approccio. L’equipaggio della Hermes, menti brillanti, scienziati valenti, sembra impossibilitato nell’immaginazione, non fa altro che proiettare le proprie aspettative su comportamenti che giudica incomprensibili.
Il Pianeta del silenzio è una miniera di spunti di riflessione sul rapporto con l’altro, sulla violenza e sul concetto di opzione zero, ovvero la rinuncia a un progetto insensato vista come un progresso e non come una sconfitta.
A un certo punto i terrestri, stazionati a pochi minuti luce da Quinta, fotografano palmo palmo la superficie del pianeta, alla ricerca di templi, piramidi e antichi palazzi reali. Nell’impossibilità di individuarli, demandano a Deus, il supercomputer di bordo, l’impresa di cercare qualcosa che equivalga all’architettura culturale della Terra.
L’incapacità di Deus di venire a capo di quelle migliaia di immagini fece capire all’equipaggio dell’Hermes che anche nella macchina… la quale era giudicata assolutamente obiettiva nella sua elaborazione delle informazioni… sopravviveva l’ostinata eredità dell’antropocentrismo.6
Il punto è proprio questo: l’antropocentrismo, l’equivalente su scala cosmica di ogni etnocentrismo. Quell’abito mentale che non può che generare razzismi, violenze, incomprensioni, soprusi. Una via semplice per catalogare e inscatolare tutto ciò che ci viene a tiro, senza porci domande, senza metterci in discussione. Si tratta, in definitiva, di quell’approccio all’esistente che David Foster Wallace in Questa è l’acqua chiama modalità predefinita, quella che ci fa pensare di essere il centro esatto dell’universo. L’idea che tale modalità ci consenta di riconoscere gli alieni è grottesca. Altro che contatto, il massimo del diverso tollerabile e riconoscibile continuerà a essere Marylin Manson.
Gli extraterrestri potrebbero avere un aspetto così alieno che percepirli con un sistema sensoriale non diverso da quello di un babbuino7 potrebbe essere arduo, senza parlare del fatto che la loro intelligenza potrebbe essere per noi completamente incomprensibile.
Se non lavoriamo per ampliare le nostre possibilità immaginative e abbandonare definitivamente l’idea che l’uomo sia misura di tutte le cose, ci precludiamo la possibilità dell’incontro, sia qui, sulla Terra, che nel cosmo intero.
Peter Kolosimo, questa è un’altra delle chicche scovate da Mariano nell’archivio di Paolo Fiorino, pare essere dello stesso avviso. Il suo atto unico Picnic sul Musinè mette in scena il disastroso incontro fra una coppia di umani e un alieno. Gli umani si dimostrano ciechi, chiusi nel loro egoismo e nel loro patetico orgoglio. L’epilogo non può che essere sanguinoso e sinistramente simile a quello del Pianeta del Silenzio: un altro fiasko.
La nostra specie è composta (e spesso sceglie di farsi rappresentare in organi istituzionali) anche da individui che organizzano questo genere di pericolose pagliacciate [foto faccedimelma]. E viene da pensare: ma se rifiutiamo di incontrare e conoscere le storie dei nostri simili, che possibilità abbiamo di incontrare e conoscere le storie di chi viene da un altro sistema solare?
L’Alpinismo Molotov si dichiara universalmente antifascista, antirazzista e contrario a ogni discriminazione di genere e noi, umili estimatori di questa pratica, in quella giornata sul Musinè, ce l’abbiamo messa tutta per disporci all’accoglienza degli alieni. Il nostro sforzo è stato premiato. Giunti in cima, dopo esserci rifocillati, un oggetto volante – maledetto antropocentrismo che torna a far capolino – in tutto e per tutto simile a un comune coperchio di pentolino, si è rivelato ai nostri occhi attoniti.
D: Stoicamente ignorando l’arsura che invadeva gola e petto, ostinatamente ascesi la nuova e comoda via fino ad incontrar, non prima d’aver rimirato le devozioni costruite lungo il cammino, la gioiosa spedizione in discesa. Li scorsi comparire ad uno uno e rischiai una malaparata rivolgendo a Diserzione un’innocua battuta: questi sulle prime non m’avea riconosciuto e parve piccarsi un poco, il tutto si risolse quando ci avvicinammo ed ebbe discernimento della mia identità. Idratato immantinente dalla generosità del gruppo, prendemmo a scendere discutendo di vari argomenti relativi alla montagna, l’attualità e la politica.
Y: Incontriamo Davide che ci racconta la sua salita in solitaria, insieme compiamo una piccola deviazione scegliendo un altro sentiero per la discesa, e andiamo alla ricerca delle coppelle ma senza successo. Giunti in un punto in cui la discesa viene sostituita da una terrazza di rocce e arbusti scattiamo una foto per celebrare la camminata esplorativa.
La discesa procede tranquilla tra aneddoti, ipotesi per la stesura del manifesto dell’Alpinismo Molotov e un paio di scivoloni senza gravi conseguenze. Un’altra piccola deviazione dal sentiero ci porta alla chiesetta di San Abaco e Mariano ci racconta la leggenda di questi immigrati persiani che attraversano il mare per dare sepoltura ai martiri cristiani e che, una volta scoperti, si rifiutano di abiurare la loro fede e per questo vengono giustiziati. Ma forse non erano persiani, forse.
F: Da quasi undici anni mi guadagno il pane (sempre meno) facendo un lavoro di fatica. L’esperienza mi ha insegnato a nutrire rispetto per chi suda insieme a me. La cosa può suonare un pochino ingenua e non nego che lo sia. Ma le persone con le quali fatico, che siano simpatiche o antipatiche, si conquistano un pezzetto del mio cuore e uno spazio vitalizio nella mia memoria.
Non credo di essere l’unico a viverla così.
La fatica sfoglia le nostre personalità, strappa l’abito sotto il quale ci piace nasconderci e ci costringe a riconoscerci come simili: bisognosi di cibo, conforto, riposo, parole, amicizia, rispetto.
Il sudore condiviso prodotto in montagna, persino quando si tratta dello sforzo modesto richiesto dal Musinè, mi fa lo stesso effetto.
Camminare su sentieri scoscesi in compagnia è in qualche modo un esercizio di sincerità. Ci si mostra in uno dei gesti caratteristici della specie, la deambulazione su due piedi, in una situazione che pone sotto stress la naturalezza dei movimenti.
Scendere su un sentiero sdrucciolevole, sentire i muscoli in tensione, le ginocchia che cominciano a cristonare e gli scarponi che di tanto in tanto vanno via può essere un fatto individuale. Fermarsi quando un compagno cade è un fatto di diverso genere. Guardare i volti l’uno dell’altro, arrossati, sudati, gli occhi che si riempiono di riflessi più vivi e selvaggi del solito, è ancora un altro paio di maniche. Più o meno misteriosamente qualcosa è stato condiviso, un legame si è creato.
A tre quarti della discesa, abbiamo incontrato Davide Gastaldo che ci veniva incontro. Ha appena staccato dal lavoro e, con delle calzature del tutto inadeguate, ha provato a raggiungerci. Scendiamo. Alla cappella di Sant’Abaco facciamo una sosta e poi lentamente percorriamo la Via Crucis al contrario.
M: Affrontiamo gli ultimi tornanti con un anticipo di nostalgia: Enrico ha migliaia di passeggiate alle spalle, ma ci confessa che questa è stata tra le più divertenti e scanzonate. Ci fermiamo a Caselette per sorseggiare un caffè e gustarci una bibita fredda. Distribuisco ai partecipanti una copia di Camminata spirituale sul monte Musinè, l’antologia che raccoglie le storie che hanno accompagnato l’escursione. Wu Ming 1 l’ha definita:
una guida al Musinè inaudita ed eversiva, diversa sia da quelle escursionistiche sia da quelle paranormal-mysteriche da giacobbini (con due b!)
In tutti è chiara la sensazione che stiamo sperimentando forme di alpinismo completamente inedite. Senza urlarlo in modo esplicito, la copertina del libro dichiara la potente influenza di Wu Ming 1 su questa sperimentazione: lui avrebbe dovuto guidare l’escursione, ma un infortunio al ginocchio gliel’ha impedito. Al suo libro Point Lenana (leggi qui la mia recensione), scritto con Roberto Santachiara, devo uno sguardo sulla montagna come
costruzione culturale e storica potenzialmente oggetto di critica e demisticazione, come luogo dove si trovano specifiche contraddizioni, come terreno di conflitto tra usi del territorio diversi e incompatibili e come deposito di storie e segni di passate rivolte, resistenze, repressioni.
Point Lenana (Einaudi 2013) prende l’avvio da un altro libro di alpinismo insolito e spiazzante: No picnic on mount Kenya (1954) di Felice Benuzzi. Alla sua copertina mi sono ispirato per Camminata spirituale sul monte Musinè:
Sul retro di copertina della mia antologia lascio la parola a Benuzzi, che pur sedotto dal pensiero di stendere un velo esoterico su ciò che ha incontrato sulla montagna, sceglie la via della divulgazione e della condivisione.
«Ssss», fischiò il vento, e come nelle fiabe aggiunse, sussurrando: «Quello che avete appreso quassù dei meravigliosi segreti del Monte, conservatelo per voi. Non raccontate nulla ad anima viva». Io, invece, testardo, ne ho scritto un libro.
L: All’arrivo ricevo il libro dono, che mi faccio autografare. Siamo all’epilogo della contaminazione magnetico-alpinistica. Che per il sottoscritto rappresenta un concreto paradosso, per via della mia scarsa (almeno fino ad oggi) dimestichezza con il magnetismo e per il fatto che mi piace sì escursionare, ma io sto all’alpinismo vero come un diabetico sta alla cioccolata. E però, sicuramente per merito della sospensione della credulità, ho goduto intensamente di questa ibridazione. Salutiamo la guida ambientale e saliamo sul bus per il breve tragitto di ritorno. Brevissimo per quanto mi riguarda, dal momento che approfitto di una provvidenziale fermata sotto casa per congedarmi dalla guida spirituale e dai compagni di avventura, che mi auguro di ritrovare, in qualche altro luogo, esperienza o modalità.
Y: Giunti al parcheggio posiamo gli zaini, c’è chi toglie gli scarponi, chi fuma, chi continua a raccontare, alla fine la camminata non è stata una semplice passeggiata: sono sempre 800 m di dislivello e il sentiero non è sempre agevolissimo. Siamo felici di aver fatto la camminata esplorativa. Proseguiamo la camminata fino all’unico bar aperto, davanti a un bicchiere si continua a parlare e a ipotizzare nuove camminate, altri percorsi molotov.
F: Posati gli zaini in macchina, ci concediamo una birra al bar. La stanchezza dà alla conversazione un andamento liquido, quieto. Saltiamo di palo in frasca, si parla di Point Lenana e alpinismo molotov, Mariano ci racconta la storia di Sant’Abaco e poi apriamo una lunga carrellata di artisti rosi dalle dipendenze.
Si sta bene, c’è il sole, abbiamo chi già tolto, chi almeno slacciati, gli scarponi. Conosco questa gente poco o pochissimo e io di mio a volte sono un po’ orso, ma l’accelerazione che ha avuto la nostra confidenza da quando camminiamo insieme è incredibile.
Prima di salutarci, ci scambiamo una promessa:
– Ci sentiamo per il Gran Pertus!
Io spero sia una delle mie prossime passeggiate molotov.
M: Una coltre di nuvole incombe sul Musinè quando ripartiamo con il bus da Caselette.
Anche il cielo, scoprendo e ricoprendo la luce del sole, ha giocato sull’equilibrio tra Mark e Smart. Quella strana luce? Un UFO. O forse no.
—
La prima parte di Picnic on Mount Musinè si trova qui.