In questo resoconto si incrociano récit relativi a due camminate sul monte Musinè: la prima esplorativa, ne scrivono Filo, Yamunin, Davide; la seconda spirituale, ne scrivono Mariano e Luigi. Entrambe sono decisamente Molotov. Mariano Tomatis sul suo blog aveva già pubblicato un primo resoconto della salita “sulle orme della meraviglia” organizzata per la manifestazione Torino Spiritualità, ma soprattutto aveva predisposto una preziosissima guida dal titolo Camminata spirituale sul Monte Musinè in cui sono raccolte le storie da lui raccontate durante l’ascensione – si può scaricare qui e, per chi ha buon occhio, contiene nella copertina un omaggio ad Alpinismo Molotov – oltre a una vera e propria estensione ipertestuale di queste storie – con documenti originali, materiali inediti e curiosità – intitolata Verso la cima del Monte Musinè. Ringraziamo il wonder injector Mariano.
Il post è dedicato a Peter Kolosimo, archeologo spaziale: grazie a lui è stato possibile diluire il tempo e trasportare le due escursioni in una dimensione atemporale.
A breve seguirà la seconda parte del récit. Buona lettura.
Partenza: campo sportivo di Caselette (378 mslm)
Arrivo: cima del Musinè (1150 mslm)
Dislivello: 772 metri
Tempo di percorrenza: 15 giorni (dal 7 al 21 settembre 2014, per la precisione)
Y: Ok, deciso: faremo una camminata esplorativa sul Musinè. Accompagneremo Mariano così che possa perlustrare la zona, raccogliere materiali per la camminata che ci sarà fra qualche giorno organizzata all’interno di Torino spiritualità. Mariano sostituisce Wu Ming 1 che si è infortunato sul Triglav. Ancora non sappiamo chi di noi altri potrà partecipare, ma questa è nostra, questa è esplorativa e molotov.
Faccio una veloce ricerca in rete: il Musiné, sembra un po’ meno impegnativo del Rocciamelone, è alta 1.150 m s.l.m. ma il dislivello è di 790 m. Di sicuro poi è un po’ più gustosa, a causa delle storie che le ruotano intorno, questa montagna la si vuole misteriosa.
Sarà il caso, mi dico, di drizzare bene le orecchie e ascoltare il canto dei sentieri. Ognuno ha il suo suono particolare, il suo canto. Il Musiné è una montagna sovraesposta. È il luogo di narrazioni strambe, alcune tossiche altre invece liberano linee di vite. Ad esempio su un versante si racconta una storia nota a tanti, racconta – in breve – che Tav=Mafia.
Che storie nascondono questi sentieri? Quassù ci sono stati avvistamenti di croci fiammeggianti e fuochi fatui, qui – da quanto ho letto – l’acqua può scorrere addirittura al contrario. Il Musinè è la sede di una base aliena, qui si ritrovano o ritrovavano le streghe e fu luogo di esilio di Erode. Si possono fare incontri ravvicinati con gli alieni. È quindi un luogo di mistero, un luogo ricco di “energia cosmica” (il monte come punto radiante di linee ortogoniche) dove fantascienza e magia si uniscono e si confondono per, magari, mostrasi per ciò che sono: artificio per provocare stupore.
Le storie mi influenzano, caricano la camminata di aspettative, stuzzicano quella parte di me avida di racconti da ascoltare. Sarà Mariano colui il quale potrà dipanare qualche nube, sciogliere enigmi e stupire con il racconto.
F: Mi sembra l’occasione giusta per rubare le parole a Frank Zappa, perché il Musinè è davvero una regular picturesque postcardy mountain.
È alta solo 1150 metri, ma c’è poco da sfottere, anche sulle montagne piccole ci sono storie buone. Il Musinè conduce la sua ultramillenaria esistenza a pochi chilometri da Torino, che a onor del vero è estremamente più giovane. Riconoscerlo è facile: sta un po’ per sé, in disparte rispetto all’affollamento di cime che gli stanno alle spalle, quelle che separano la Val di Susa dalla Valle di Viù. Come già detto ha un po’ l’aspetto delle montagne da cartolina. Nelle giornate limpide, se siete nella piana del torinese, lo si può vedere bene praticamente da ovunque.
Il Musinè apre le porte della Val Susa e a me è sempre piaciuto pensare che ne costituisca uno dei due bastioni difensivi: l’altro ovviamente è il Monte Pirchiriano, sulla cui cima sorge la Sacra (mi raccomando, non “sagra”) di San Michele.
Sul Musinè ci sono sempre andato abbastanza volentieri, anche quando giuravo e spergiuravo che odiavo la montagna. Solo che ci ho messo un po’ di anni prima di abbandonare la comodità e la sicurezza della tagliafuoco e puntare alla cima. La prima ascesa l’ho fatta con Sara, la mia compagna, il primo dell’anno del 2009 o del 2008, non ci ricordiamo più.
Di quell’ascesa mi ricordo questo sentiero rognoso, arso, quasi tutto esposto a Sud. Un percorso che fatto d’estate, per quelli che patiscono il caldo, dev’essere come l’ingresso all’inferno. Per giunta in salita. Precisiamo, si tratta di un’impresa alla portata di tutti e che con l’alpinismo eroico ha poco a che fare: su questa cima ci si va per guadagnarsi un pic nic, godere della vista, o segnare nel proprio diario da trail runner un buon tempo in allenamento.
A giugno scorso, in una delle rare domeniche senza pioggia, Sara e io abbiamo deciso che saremmo saliti sul Musinè. Arrivati al parcheggio di Caselette abbiamo capito che non avremmo mosso nemmeno un passo. Miriam, nostra figlia, si è messa in sciopero. Di solito camminare o essere portata in fascia per boschi e monti le piace molto, ma quel giorno ha puntato i piedi e non c’è stato verso. Noi ci siamo guardati rassegnati, poi le abbiamo chiesto:
– Dove vuoi andare?
Lei non ha esitato un secondo:
– Bisi!
E così abbiamo trasformato una passeggiata in montagna in una biciclettata, e il pic nic l’abbiamo fatto sulle sponde del Sangone.
Tutto bellissimo, eh! Ma il Musinè m’è rimasto sul gozzo e infatti, quando ho saputo che Mariano avrebbe condotto la passeggiata spirituale, gli ho scritto una e-mail:
Se fai una ricognizione e ti serve compagnia io ci sono.
Mi sono proposto per una ricognizione e non per l’uscita ufficiale perché quella domenica lì, il 21 settembre, il Comitato No Tav Val Sangone aveva in programma una passeggiata sulla collina morenica e non sarebbe stato bello che mancasse uno degli organizzatori.
Comunque, Mariano mi risponde che va bene e estende l’invito agli altri alpinisti molotov di zona.
M: Il bus ci attende a Torino su un lato di piazza Vittorio Veneto. La comitiva è composta da 11 partecipanti. Completiamo il gruppo io e lo storico dell’alpinismo Enrico Camanni.
La meta della camminata — il monte Musinè — si staglia solitaria all’imbocco della Val di Susa e ci attira a sé attraverso i vetri della navetta. La lieve foschia non impedisce di scorgerne la croce sulla cima, ora delle stesse dimensioni di un moscerino sul parabrezza. Tra poche ore la incontreremo nella sua rutilante imponenza.
L: Il ritrovo comune a tutte le camminate spirituali è piazza Vittorio. Il nostro bus è il più piccolo: probabilmente il monito “per escursionisti ben allenati”, che contrassegnava la nostra escursione, ha contribuito a scoraggiare i meno ardimentosi. Faccio conoscenza con i nomi dei miei compagni, resisto alla tentazione di spalmarmi sul sedile posteriore, già occupato, e partiamo per il campo sportivo di Caselette.
La meta della camminata — il monte Musinè — si staglia solitaria all’imbocco della Val di Susa e ci attira a sé attraverso i vetri della navetta. La lieve foschia non impedisce di scorgerne la croce sulla cima, ora delle stesse dimensioni di un moscerino sul parabrezza. Tra poche ore la incontreremo nella sua rutilante imponenza.
Y: Dopo il solito giro di e-mail e messaggi con Diserzione e Marcobabouche fissiamo l’orario. Decidiamo di partire di buon mattino, convinti di dover percorrere un lungo tragitto, così da arrivare in tempo nonostante il traffico. Punto la sveglia che ineluttabile mi tira giù dal letto alle 6:00. Faccio colazione, controllo le e-mail, ne trovo una di Mariano: “Partendo alle 7:30 con l’auto sarete al Musiné alle 8:00. Se invece partirete a piedi allora come orario va bene”. Comincio a ridere di me e dell’ansia che ci ha fatto puntare la sveglia all’alba. Per Diserzione sarà stato anche peggio. Puntuali alle 7:30 Babouche e Diserzione sono già nel parcheggio in corso Casale ad aspettarmi, arrivo con 10 minuti di ritardo. Montiamo in macchina e partiamo.
Andiamo piano dice Marco, andiamo con lentezza.
Il viaggio ci permette di raccontarci un po’ di cose sul monte, sulle leggende, sarà una camminata poco impegnativa ma è la terza uscita della colonna occidentale della banda di Alpinismo Molotov e il gioco è, come tutti i giochi, serio e divertente.
Tra una storia e l’altra arriviamo al parcheggio da dove partono i sentieri che le 8:00 sono passate da poco. Cerchiamo un bar aperto per bere qualcosa di caldo ma a Casellette di domenica non c’è nessuno. È tutto chiuso e il navigatore ci porta a spasso inutilmente per un paese ancora addormentato.
Alla fine troviamo un chiosco nella piazza principale, dopo un caffè e una brioche raggiungiamo il posto dove aspettare l’arrivo di Filo e famiglia, Mariano e Simone. Diserzione vorrebbe riposare ma intanto continuiamo a parlare di agonismo e di quanto sia lontano dal nostro modo di intendere la montagna – senza sponsor, senza cronometri – e del passo lento che invita a parlare. Ipotizziamo le prossime uscite, e ci chiediamo: “Che cos’è l’alpinismo molotov?”.
Per essere mattina presto abbiamo già snocciolato un sacco di parole. Alla fine Diserzione crolla e si mette a dormire in auto, con Marco ci sediamo su una panchina a fumare e parlare.
Due sentieri partono dallo spiazzo in cui ci troviamo, quale prenderemo? Non abbiamo una cartina del monte quindi possiamo solo ipotizzare il percorso guardandolo. Prenderemo il 457b, seguiremo la cresta fino in cima. Un tizio in tuta arriva trotterellando nel piazzale e imbocca di corsa il sentiero, lo guardo e accendo una sigaretta rinforzata.
E gli Ufo?
Il Musinè è il monte degli avvistamenti, della magia occulta, di stranezze puntualmente inserite nelle pagine di cronaca. Non credo negli avvistamenti, o meglio, ho fortissimi dubbi sul “fenomeno degli avvistamenti”. Ma, d’altra parte, trovo davvero strano che si possa pensare che ci sia vita solo sul nostro pianeta blu. Come si può essere, noi “terrestri”, così soli in tutta l’immensità dell’universo? “È praticamente ovvio che esistano altre forme di vita” cantavano i Blu Vertigo, e sono d’accordo con loro.
Arriva Filo con la famiglia al completo. La bimba è assonnata e Filo ci assicura che è già avvezza alla montagna. Mi viene da pensare alla futura generazione di alpinisti molotov, stiamo creando qualcosa di duraturo?
Subito dopo arriva Mariano.
Arriva il messaggio di Davide, forse ci raggiungerà più tardi.
Simone arriva col suo solito passo da macinatore di dislivelli, sarà lui a farci da guida.
Diserzione si è svegliato ormai da un po’.
M: A Caselette incontriamo la guida escursionistica Valentina Salerno. Più tardi scopriremo che sulle spalle porta lo zaino di Mary Poppins: tra libri naturalistici, kit di pronto soccorso e viveri ha il necessario per provvedere a qualunque cosa potremmo aver dimenticato a casa; ce ne accorgeremo quando, a un certo punto, ci offrirà un paio di bastoncini supplementari per la discesa. Conosce strade e insidie, regola il passo sui nostri ritmi, ha già in mente i (pochi) punti in piano dove fermarci per le letture.
Partiamo dal campo sportivo del paese, la cui strada è costeggiata da murales volgari e razzisti. Scherziamo sulla loro rilevanza archeologica: oggi conosciamo gli uomini preistorici attraverso i segni che lasciavano sui muri; quelle testimonianze lasciate ai pronipoti del 5000 d.C. evidenziano gli aspetti peggiori dell’odierna civiltà umana.
A me è affidata l’introduzione alla giornata. Citando L’arte di stupire, racconto che i fan del wrestling si dividono in due categorie:
[…] i Mark e gli Smart. I primi prendono per vero tutto quello che accade dentro e fuori il ring: le botte, gli insulti, le rivalità tra gli atleti, i siparietti dietro le quinte. Per loro, il wrestling è uno sport che premia il perfetto mix tra muscoli, agilità e astuzia. Gli Smart sono più avveduti: lo considerano uno spettacolo messo in scena dai wrestler, attori/stuntmen che recitano una parte in una trama messa a punto da un team di autori. Secondo loro il wrestling è una forma di intrattenimento senza alcuna vera competitività.
Ritroviamo gli stessi atteggiamenti davanti a qualunque finzione, ed è un errore pensare di dover scegliere una volta per tutte tra l’uno o l’altro; un sano equilibrio tra i due è, al contrario, l’unico approccio pienamente compatibile con la realtà liquida in cui ci muoviamo. I fan del wrestling in grado di esercitare questo atteggiamento si chiamano Smark.
L: All’arrivo conosciamo la guida ambientale, che avrà il compito di orientarci verso la cima. Io mi oriento come una lumaca in un prato: per me il mondo è un filo d’erba. La prima lettura di Mariano, che si svolge sotto gli occhi attenti del gruppo spirituale e quelli stupefatti degli escursionisti di passaggio, prende spunto dal mondo del wrestling per esortarci ad affrontare la camminata con uno spirito smark, ovvero di credulità sospesa, che accolgo sfrattando temporaneamente lo scettico che abita dentro di me.
F: La mattina del 7 di settembre, nel parcheggio di Caselette, insieme a Mariano, c’è Diserzione, Yamunin, Marcobabouche, Simone Franchino, Sara e Miriam ed io. Diserzione, Yamunin e Marcobabouche hanno sbagliato i calcoli e sono arrivati con netto anticipo, gli altri invece sono tutti in moderato ritardo. Ma quando il gruppo è tutto lì, mi lego Miriam in fascia e si parte.
Simone è di zona e ci suggerisce un percorso che taglia la Via Crucis. Non è il sentiero della nostra ascesa di Capodanno. Questo è molto più morbido ed è in gran parte nel bosco.
Mentre andiamo su, chiacchiero con Simone, apparteniamo entrambi alla grande famiglia No Tav e abbiamo molte conoscenze in comune.
Su un falso piano si potrebbe aprire la vista, ma c’è foschia e non si vede un granché: giusto Caselette e brandelli ectoplasmatici della Val Casternone. Ci fermiamo, Miriam chiede qualcosa da mangiare e lo zaino con i viveri ce l’ha Sara, dobbiamo aspettare.
Y: Miriam è assicurata da una fascia sulla schiena della mamma, Filo segue poco distante. C’è Simone che sta in testa a dare il ritmo, macina metri su metri, noi dietro con un passo decisamente più calmo.
Mariano registra scorci della montagna, il panorama solcato da traiettorie di dischi volanti burloni, mentre racconta storie di incontri ravvicinati con presunti alieni protetti da caschi integrali impegnati in addestramenti militari, di un mago piemontese di dubbia fama, di esoterismo e burle montate da artisti del racconto mediatico. Ci racconta che da decenni c’è un gruppo di studiosi che cataloga e smonta pazientemente tutti i presunti avvistamenti avvenuti non solo sul Musinè ma in Italia.
Ad esempio l’arresto di un militante di estrema destra residente nei dintorni del Musinè, che viaggiava con un auto carica di armi, gettò una luce sull’incontro avvenuto con un gruppo di alieni da parte di alcuni escursionisti storditi da forti lampi di luce.
M: Il monte Musinè è così carico di storie insolite da essere (anche) una palestra per esercitare una credulità distaccata — la stessa capacità che esercitiamo quando ci commuoviamo di fronte a un film senza dimenticare che si tratta di una finzione messa in scena da un attore.
L: Si comincia a salire, lungo una mulattiera docile. So già che non sarà tutta così perché resoconti letti preventivamente citavano “tratti ripidi e scivolosi”, ma al momento la strada è tranquilla. Le cappelle votive lungo la salita ci ricordano la pervasività e l’ingordigia di EXPO2015, che pare aver fagocitato anche la nostra iniziativa, il che renderà necessaria una qualche forma di purificazione. Nel giro di pochi minuti arriviamo alla chiesetta di Sant’Abaco, dove ascoltiamo la storia dell’uomo a cui è intitolata e della sua famiglia.
M: La prima parte del percorso è agevole: il sentiero di ciottolato attraversa un bosco ombreggiato; sui lati della stradicciola ci accompagna la Via Crucis fatta installare tra il 1854 e il 1857 dal conte Carlo Cays.
Se in origine il percorso serviva a ricordare i patimenti del Cristo, qualcuno ha avuto la bella idea di rinnovarne il messaggio: duemila anni dopo, a portare la croce saremo noi — suggeriscono alcuni volantini dedicati all’EXPO2015 e al suo devastante (e tentacolare) impatto sociale, economico ed ecologico.
Il sole è piacevolissimo ed è ora di liberarci dalle giacche. Durante una pausa ci chiediamo se qualcuno abbia mai effettuato la salita con un contatore Geiger, per rilevarne la leggendaria radioattività. Sofia, del CICAP Piemonte, ci racconta di averlo fatto. Risultato: il Musinè sembra addirittura averne meno rispetto alle montagne circostanti. Il sospiro di sollievo dura poco: è piuttosto l’asbesto a essere in concentrazioni più elevate della media. Una settimana fa Sofia ha tenuto una conferenza sulle montagne misteriose in Piemonte; scopriamo che il Musinè ha un gemello misterioso vicino a Cuneo: la Bisalta.
Una sosta presso la chiesetta di Sant’Abaco è l’occasione per raccontare la storia di quattro immigrati torturati e decapitati a Roma; in tempi di ISIS, è interessante riportare a galla i giorni in cui eravamo noi a tagliare le teste. Vittime della barbarie: Abaco, suo fratello Audiface e i genitori.
Prima dell’avvento dell’aeronautica, “decollati” voleva dire una e una cosa sola.
Laurentius Surius, De probatis sanctorum historiis, Vol. 1, Gerwin Calenius & Johann Erben
Dalla cappella in avanti, la strada si fa più sconnessa e ripida. Valentina ha scelto per noi il percorso più panoramico. La vista abbraccia un orizzonte via via più vasto e la foschia, sempre più fitta, confonde il confine tra terra e cielo.
Salendo il gruppo resta compatto, ci regoliamo su una velocità media e tutti sembrano affrontare il ripido sentiero con una certa tranquillità. L’occhio vigile di Valentina mette sicurezza. Il percorso è l’occasione per raccontarsi vicendevolmente.
F: Quando Mariano ci raggiunge inizia a parlare con Simone dell’orso.
Aguzzo le orecchie, non si tratta di Daniza.
– Che storia è questa?
– Hanno avvistato un orso a Valdellatorre.
– Era su Luna Nuova. C’è anche una foto, ma se guardi il muso un po’ di sbieco sembra un cane.
– Sarebbe fico se fosse vero – dico io.
– Diventerebbe una perfetta mascotte No Tav.
Sara arriva, Miriam riceve un biscotto e riprendiamo il cammino.
Simone mi chiede se io vada a funghi. Gli spiego che mi ci portano da anni, in Val Sesia, ma che a parte un porcino minuscolo cinque anni fa, solo questa estate ho davvero contribuito a riempire la padella con un bel carico di cantharellus cibarius (garitula in piemontese). Parliamo dei posti in cui se ne trovano in Val Susa e della pessima e leggendaria fama dei fungaioli della Val Sangone: quelli ti tagliano le gomme se ti beccano nella loro zona!
– Però alla fine ad andare a funghi mi rompo. Va bene per il primo quarto d’ora, ma poi di stare sempre con gli occhi a terra e di andare solo nei posti dove si sa che vengono, mi scoccio. Preferisco uscire per camminare e se incontro un fungo, lo porto a casa.
Ne conviene anche Simone: quello del fungaiolo è un modo di vivere il bosco troppo specialistico e mirato: ci sta un po’ stretto.
D: Giunto al campo base solo nel primo rovente meriggio, causa precedenti cogenti impellenze, mi risolsi a raggiunger quanto più celermente i compagni di cordata, imboccando quella che mi parve la via maggiormente diretta (impressione dettata dalla cartellonistica nonché dalla mia faciloneria atavica).
Edotto alla vigilia sulla relativa semplicità dell’ascesa avevo ritenuto idoneo un frivolo abbigliamento constante in pantaloni in tessuto tipo “Genova”, maglietta smanicata e scarpe a suola liscia. Niente zaino. Niente acqua né altri orpelli. […]
Y: Lentamente guadagniamo metri e vediamo la vallata che si apre sotto di noi. C’è un po’ di foschia e ci fermiamo a leggere il paesaggio. Individuiamo la zona dove hanno installato il cantiere del tunnel geognostico, dove dovrebbe nascere la nuova stazione per il TAV, leggiamo la stupidità della cosa. Ne prendiamo ancora una volta atto. Concordiamo tutti che l’Alpinismo molotov è NoTav e che difendere la Val di Susa – difendere il paesaggio dalla devastazione – è giusto.
Le nostre camminate sono atti di libertà.
F: Poco prima della metà del cammino incrociamo i primi trail runner di ritorno dal loro giro di allenamento. Salutano tutti, grondano sudore e vanno giù saltando come camosci. Ogni volta ci schiacciamo ai bordi del sentiero per dargli strada. Nella mia testa riprende un discorso cominciato scendendo dal Rocciamelone e continuato su Twitter con alcuni altri giapster: a me quel modo di vivere la montagna, di corsa, con l’occhio al cronometro e pronti a trasformare in competizione ogni incontro fortuito [a me dico] proprio non mi interessa.
Ora non so ricostruire esattamente la catena dei pensieri, ma nel giro di poco mi trovo a pensare al flaneur dei passages di Benjamin. Ecco un approccio che mi appaga: quando scarpino sui monti, mi piace di sentirmi un flaneur extraurbano. Penso che sarebbe divertente riscrivere gli appunti di Benjamin in salsa boschiva e montana, verrebbe fuori una cosa di questo genere:
Per noi ogni sentiero è scosceso e ci conduce in un passato che può tanto più ammaliarci in quanto non è il nostro passato privato[1]. Sul battuto su cui camminiamo, i nostri passi destano una sorprendente risonanza[2] e col procedere, mentre si fa sempre più irresistibile il magnetismo della prossima svolta[3], prendiamo coscienza che i sentieri sono dimora di collettività[4].
D: Imboccai così uno stretto sentiero ch’avea parvenza di una bëalera (per i foresti: piccolo canale idrico) in secca rivestita di pietre, pietrisco e a tratti fango e si dipanava tra fronde arboree. Con spregio del pericolo (l’assolato dì settembrino pareva invitar rettili maligni) di buona lena iniziai ad inerpicarmi. Poiché la via si faceva vieppiù ardua e richiedeva saltuariamente financo l’ausilio delle mani per proseguire, taluni dubbi iniziarono ad insinuarsi in me, relativi alla possibilità che quello non fosse il percorso prescelto dai compagni. Tentai dunque tramite i più moderni ausili tecnicologici di mettermi in contatto con gli altri, ma la pur valente nostra tecnica ancora nulla può contro la dura roccia. Da quel poco che mi giunse sul dispositivo dal compagno Diserzione, evinsi che era meglio cambiar via, dunque ridiscesi rapidissimevolmente la china fino ad attraversar a mezza costa una cheta verzura, da cui giunsi sul percorso detto “della via crucis”; […]
Y: Arriva la telefonata di Davide, chiede che sentiero abbiamo preso, ci raggiungerà appena possibile. Continuiamo la salita, la bimba viene presa in consegna da Filo,ormai è sveglia e comincia a parlottare. Mi viene in mente il racconto che Chatwin fa delle madri africane, di non ricordo quale etnia, che lavorano, camminano, con la prole assicurata da una fascia sulla schiena e la relazione che, secondo lui, si instaura fra il ritmo dei passi della mamma e il racconto, la narrazione che è scoperta del mondo. Guardo Filo che parla con la bimba e sorrido.
Continuiamo un passo dopo l’altro, il sentiero è impossibile perderlo, gli aneddoti si susseguono e il passo è buono. Si continua.
La salita è poco impegnativa ma non proprio semplice. Il sole comincia a picchiare, il sentiero si inoltra fra gli alberi e troviamo un po’ di frescura. Saremo a metà del percorso, se non oltre, davanti agli occhi si apre una finestra su Arda e una splendida amanita ci dà il benvenuto. Seguiamo il sentiero fatto di muschio e rocce, racchiuso dalle fronde di alberi, ci muoviamo nell’aria improvvisamente più densa e ricca di umidità e odori del sottobosco, nella luce pulviscolare che filtra tra i rami sembra di stare sul sentiero che porta alla casa di Elrond. Scattiamo un po’ di foto e do un’occhiata frettolosa in giro alla ricerca di una porta hobbit.
F: Mentre ci avviciniamo a quelle che Mariano fotograferà come rovine della città di Rama – non ci si crede a quanta archeologia farlocca ci sia in Val di Susa – incontriamo un’enorme e bellissima amanita muscaria, buona per illustrare le pagine di Cappuccetto Rosso. Miriam ama le cose rosse e recentemente ha trovato i suoi primi funghi, mi chiede di fermarmi per guardarla. Io accetto e lei rilancia:
– Voio cende.
L’ho già vista in altre situazioni cacciarsi in bocca le cose più impensate e quel cappello rosso sgargiante sembra meritare un assaggino. Incurante delle proteste, tiro dritto.
Ci sfilacciamo di nuovo. Simone si ferma per ricompattare il gruppo e, mentre aspettiamo, mi fa notare che la fascia si è sfilata da sotto le natiche di Miriam. Tasto con le mani e capisco che non è cosa che si possa risolvere in un attimo, devo rilegarla da capo. Allora slego la fascia, metto giù la piccola, le do da bere. Ma quando gli altri ci hanno raggiunto ed è ora di ripartire, Miriam non ha nessuna intenzione di risalire in fascia. Rifiuta anche il passaggio di Sara.
– Hai voglia di camminare?
– Sì!
– Beh, voi andate pure, verremo su un po’ più lenti.
– Ma siamo quasi arrivati – ci rassicura Simone – ci saranno meno di cento metri di dislivello. Ci vediamo su.
Sara, Marco ed io ci mettiamo al passo di Miriam. A lei piace camminare, ha buona resistenza e un bel passo, ma è una bimba di due anni e quattro mesi: non ha ancora selezionato e inscatolato il mondo, le interessa tutto. Si ferma, raccoglie pietre, ghiande, foglie, riparte, chiede che cosa sia stato quel rumore e perché questo sia un albero.
Se hai fretta di arrivare è snervante, ma noi fretta non ne abbiamo. Non dobbiamo correre dietro al cronometro e cediamo il passo volentieri a chi sale e a chi scende. Godiamo del suo sguardo che apre meraviglia su cose che agli adulti paiono scontate e consuete. Non è il passo scientifico del fungaiolo professionista, né quello ritmato del trail runner. Poi Marcobabouche dice una cosa tipo:
Se potessimo conservare l’attenzione e lo stupore dei bambini saremmo un po’ tutti alpinisti molotov.
M: C’è Piera che fa l’educatrice in un asilo nido. Condividiamo una certa curiosità per la spontanea meraviglia che si scorge negli occhi dei bambini. Una mia amica porta spesso il figlio di 3 anni in stazione, a vedere i treni partire. La stessa attività non è più così eccitante per me, quasi quarantenne. Per meravigliarsi davanti a una locomotiva, cosa sa quel bambino che io non so più? O viceversa, sono io ad aver imparato qualcosa che dovrei riuscire a dimenticare?
C’è Maria, arrivata ieri con il treno da Capua (CE): veterana delle camminate spirituali, fa trekking nel casertano ma le piace mescolare la passione per montagna e quella per la letteratura. Ama creare performance sonore, intrecciando parole e musica in reading che poi condivide su YouTube. Ci troviamo a discorrere di patafisica e ridiamo della vecchia predicatrice di Kerouac, che sputava per terra nei giardini di San Francisco a Chinatown. Sogna di visitare la West Coast prima che ci lasci anche Ferlinghetti.
C’è Eleonora, avvocato e attrice di Torino, che da qualche tempo ha trovato una brillante sintesi tra le due discipline: il suo spettacolo “Per questo!” è un one woman show che racconta la storia di Giovanni Falcone e del pool anti-mafia. La prossima replica torinese è la numero 94.
A metà percorso sostiamo su un ampio poggio panoramico.
Siamo più vicini al cielo e anche i soggetti delle storie diventano più eterei. Era il 1960 quando il primo disco volante fu avvistato sul Musinè da una famiglia di Mathi (ma secondo Luigi manca una “t”). Nomino Paolo Fiorino: è lui l’uomo da ringraziare per l’impressionante mole di documenti sul Musinè che ha voluto condividere con noi. La sua collezione personale è un tesoro inestimabile per chi va a caccia di storie insolite. Il primo reperto è un disegno realizzato dal testimone dell’avvistamento del 1960:
Leggi qui la storia del primo avvistamento UFO sul Musinè
Come me, Luigi è un giapster torinese. Ci siamo conosciuti il giorno prima, durante la presentazione de L’armata dei sonnambuli con Wu Ming 1 alla libreria “Il ponte sulla Dora”. A lungo impiegato nell’IT, oggi si occupa di traduzioni e ha la passione per la scrittura. Con lui, la passeggiata si configura come un’escursione di Alpinismo Molotov.
C’è anche Alessandro, che a Torino gestisce un grande loft in cui ospita performance artistiche, danza e teatro: gli piace unire il piacere della camminata alla ricerca di nuove e originali forme espressive per i suoi spazi.
Beatrice è la mascotte del gruppo: salta da una roccia all’altra come un cerbiatto, sotto l’occhio vigile dei genitori. Non un filo di sudore fa capolino dai suoi capelli ricci. Il segreto è nella mela che ha addendato durante l’ultima sosta: non c’è spazio per merendine confezionate nel suo zainetto.
Ci fermiamo per un’ultima volta prima dello strappo finale. In assenza di spazi larghi, ci si sistema come può.
Le vicende rievocate si fanno via via più surreali. Votiamo Absu Ismaily Swandy come il personaggio più improbabile che abbia mai gravitato intorno al monte. Un alieno di 256 anni non si vede tutti i giorni. Segue la parte di sentiero più impegnativa: nei giorni scorsi ha piovuto molto, il fitto bosco ha impedito al sole di asciugare il fango e il fondo è scivoloso. La catena installata a pochi metri dalla sommità torna utile per aggrapparsi. E in pochi minuti siamo in cima. A valle, i campanili non hanno ancora battuto il mezzogiorno.
Ad attenderci, l’orribile Grande Opera di Don Francesco Pautasso. Una volta realizzata l’imponente croce in cemento di 15 metri, incapace di mettere d’accordo i quattro comuni a valle, il sacerdote dovette accollarsi metà della spesa di circa 30 mila euro. Proviamo a immaginarne 600 mila, una accanto all’altra. Tanto ci costeranno i lavori per la linea ad Alta Velocità Torino-Lione. Ma questa volta non ci sarà don Pautasso a pagarla per noi.
Y: Peccato, mi dico, peccato non saper riconoscere tutti gli alberi, riconoscere le foglie e i tronchi. Sì, qualcosa riconosco ma non tutto. E così anche gli animali, il sottobosco… Peccato non saper riconoscere il tipo di roccia che ho afferrato per tirarmi su dopo uno scivolone. Continuiamo il cammino e la cima del Musinè è lì, pochi metri ancora, e una croce in cemento armato – enorme da non credere, orribile e dozzinale – occupa la visuale. La guardo e davvero non riesco a credere a ciò che vedo: è enorme. Alla sua base c’è una piastra su cui c’è scritto: in hoc signo vinces – a perpetuo ricordo della vittoria del cristianesimo contro il paganesimo riportata in virtù della croce nella valle sottostante in principio del secolo IV sua maestà… ecc. In questo segno vincerai? La croce la associo subito alla statua della vittoria nel parco della rimembranza, sul colle della Maddalena, a Torino. Penso che la prova che gli alieni non hanno la base sul Musinè sta nel fatto che hanno lasciato che venisse costruita, ma mi posso sbagliare: il generale Gandal è astuto.
La cima pullula di escursionisti già intenti a mangiare e scattare foto. Il nostro gruppo punta verso il pilastrino di vetta e lì posiamo gli zaini e i libri da fotografare. Mi siedo a leggere la scritta incisa sul pilastrino, questa è decisamente più curiosa:
Qui è l’una antenna dei Sette Punti Elettrodinamici, che dal prorpio nucleo incandesccente vivo la Terra tutta respira emette vita. Qui operano le Astrali Entità che furono: Hatshepsut, Echnaton, Gesù il Cristo, Abramo, Confucio, Maometto, Buddha, Gandhi, Martin Luther King, Francesco D’Assisi, (arrivo a questo punto e penso 1. Tutti maschi; 2. Manca Diego Armando Maradona), e anche Tu (ecco qua, ci siamo…), se vuoi, alla fratellanza costruttiva di tutti i Popoli. (Cosa?) Pensaci intensamente, 3 minuti: Pensiero è Costruzione.
Mi vengono in mente i versi di una canzone:
Chi l’avrebbe mai detto…
Cose fatte male, fatte in fretta…
F: Dicevo del Musinè come torre di avvistamento e bastione di difesa. Ma la Val di Susa ha bisogno di difendersi? E da che?
Tralasciamo Annibale, non ci sono certezze riguardo al suo transito in valle nel 218 a.C., quando per certo oltrepassò le alpi. Possiamo però parlare dei nazifascisti: durante la guerra, parte dei loro rifornimenti giungevano proprio sulla linea Torino – Modane e ai partigiani valsusini toccò di far saltare in aria il viadotto dell’Arnodera, fu un lavoro pulito e ben fatto.
In tempi ancora più recenti, la valle è stata minacciata da tre mostri serpentiformi, faccio i nomi: si chiamano Autostrada A32, Elettrodotto Grand’Ile-Moncenisio-Piossasco, Linea ad Alta Velocità Torino-Lione. Tre mostri contro i quali la valle ha combattuto e continua ancora a combattere.
L’ultimo, quello che comunemente chiamiamo TAV, per un certo periodo ha minacciato direttamente il Musinè. Uno dei primi progetti proposti ipotizzava di attraversarlo con un tunnel, il tracciato è poi mutato. La ragione ufficiale della modifica è l’amianto. Il Movimento No Tav negli anni precedenti aveva ripetutamente prodotto documentazione che ne certificava la presenza fra le rocce del Musinè. La questione è che l’amianto c’è anche nel massiccio d’Ambin, la formazione montuosa che dovrebbe essere attraversata dal tunnel di base. Eppure, il tunnel geognostico della Maddalena (nella stesso complesso montuoso) hanno cominciato a farlo lo stesso e i 54 chilometri di buco che dovrebbero finalmente aprirci le porte dell’Europa, amianto o non amianto, non sono affatto in discussione. I soliti maligni sostengono che sia stata la ghiotta speculazione che si prospetta all’interporto SITO di Orbassano a far passare la linea dal Musiné alla destra orografica della Dora, ché della salute delle persone, a questi qua, non gli frega una mazza.
In ogni caso, il Musiné, benché non più minacciato nel suo corpaccione di roccia, sfoggia una bella t-shirt militante e continua a star lì di vedetta.
In molti, però, sostengono che il nostro monte stia lì anche per avvistare altri visitatori, gente che viene da fuori, esploratori del cosmo, turisti dello spazio.
[1] W. Benjamin, Opere complete Vol. IX, I Passages di Parigi, Einaudi, Torino, 2000, p.465.
[2] Ivi.
[3] Ibidem, p. 466.
[4] Ibidem, p. 474.
—
La seconda parte di Picnic on Mount Musinè si trova qui.